Le talpe, piccole infaticabili scavatrici, fanno in fretta: segnano il percorso della loro galleria creando mucchietti di terra in superficie a distanza più o meno regolare. Per l’uomo è più complicato. Fare un buco nella montagna è semplice (si fa per dire), ma bisogna sapere dove si buttano gli inerti, il materiale di scavo. Naturalmente gli ingegneri sono in grado di risolvere tecnicamente i problemi connessi con lo sgombero del materiale, ma la decisione, politica, su dove depositarlo può essere complicata. A breve scadenza in Ticino bisognerà decidere dove portare la roccia che verrà estratta dal cuore del massiccio del San Gottardo, per realizzare il raddoppio stradale. I tempi stringono perché la legge prevede che quando si mette a punto il progetto esecutivo di un’opera debba essere chiara l’indicazione di come smaltire gli inerti.
Nel recente passato non si è fatto niente di originale. Per Alptransit sono state create discariche: alla Buzza di Biasca con il materiale della galleria di base, dove è nata una collina ora trasformata in frutteto di castagne. A Sigirino con gli inerti della galleria del monte Ceneri si è costruita una montagnetta artificiale. Buona parte degli inerti della Vedeggio Cassarate sono stati utilizzati per sistemare la rotonda a Lugano nord.
Per il raddoppio del San Gottardo sono aperte tre opzioni: USTRA, l’Ufficio federale delle strade nazionali, propone di scaricare il materiale dello scavo alla Buzza di Biasca, come già si fece per la galleria ferroviaria di base. Il Comune di Airolo chiede che gli inerti siano utilizzati per coprire l’autostrada tra la galleria di Stalvedro e l’accesso al tunnel stradale che porta a Göschenen. La terza variante è la rinaturalizzazione del lago tra Capolago e Melano. «Il Dipartimento del territorio – ci dice Moreno Celio, coordinatore del DT – spinge per utilizzare gli inerti del San Gottardo per riqualificare la riva tra Capolago e Melano. Un progetto ideale anche per la quantità di materiale a disposizione. È il progetto più interessante e propositivo, tecnicamente risolvibile con il trasporto via ferrovia fino a Melano, da dove si può proseguire con i nastri trasportatori».
L’opzione Buzza di Biasca sembrerebbe semplice. L’USTRA la propone perché non intende perdere tempo, ma nella regione c’è già chi insorge. «Loderio c’è» è un gruppo di cittadini della frazione di Biasca che ha lanciato una petizione perché «la Buzza di Biasca e la Legiuna non devono diventare discarica cantonale e federale». L’obiettivo del gruppo è invitare il Cantone a studiare soluzioni alternative. Anche a Pollegio un gruppo di cittadini reagisce dicendo che «Pollegio ha già dato» in occasione della costruzione della galleria di base. «Alla Buzza di Biasca sarebbe semplice organizzare la deponia – spiega Moreno Celio –, ma non sarà così facile. A differenza di Alptransit, che aveva piena autonomia su questo tema, USTRA non può fare da sola, deve concordare le soluzioni con il Cantone e i Comuni. La collaborazione è indispensabile».
Un Comune intenzionato a sfruttare gli inerti del raddoppio è Airolo. Il Consiglio comunale ha deciso in dicembre di stanziare 100 mila franchi per realizzare uno studio di fattibilità della copertura di buona parte dell’autostrada tra Stalvedro e l’imbocco della galleria del San Gottardo. Airolo ha il vantaggio di essere a ridosso dello scavo e quindi di poter utilizzare il materiale di risulta senza dover organizzare trasporti a lunga distanza. Il progetto potrebbe non essere semplice, visto che nello stretto fondovalle passano l’autostrada, la cantonale, la ferrovia e il fiume. Inoltre si tratta di un investimento i cui benefici sono limitati a un piccolo numero di abitanti.
«Il materiale di scavo del raddoppio del San Gottardo – afferma Paolo Spinedi, presidente della Società ingegneri e architetti (SIA) – simile a quello che è stato estratto dalla galleria di base, potrebbe a mio avviso essere utilizzato anche per riqualifiche di fondi e rive lacustri, laddove ve ne è la necessità, come per esempio il progetto Capolago Melano. Per USTRA ciò che gioca un ruolo importante è anche il costo del trasporto: se occorre andare fino a Capolago, al posto di fermarsi ad Airolo o a Biasca, il viaggio si allunga e così anche il costo: per 800 mila metri cubi l’ordine di grandezza del maggior costo è di alcune decine di milioni di franchi. Inoltre anche dal punto di vista ambientale è importante limitare il più possibile i trasporti. Va dunque ben valutato qual è il beneficio ambientale di riqualifica della riva di Capolago, in relazione ai comunque maggior carichi ambientali».
Il progetto di far rinascere il tratto tra Capolago e Melano ha una valenza quasi avveniristica, che merita di veder la luce. Tra i due comuni affacciati sul Ceresio non esiste più il bordo naturale del lago, sacrificato dalla linea ferroviaria e dalla strada cantonale. Ricostruire la riva significa valorizzare il paesaggio e la natura e creare aree pubbliche e nuovi percorsi pedonali a lago. Il PAM 3, Programma d’agglomerato del Mendrisiotto di terza generazione, sottolinea che questo progetto crea «benefici per l’agglomerato valorizzando la qualità di vita degli spazi urbani, tramite l’introduzione di elementi di naturalità attrattivi e fruibili, il riassetto dei percorsi ciclabili e pedonali lungo la riva lacustre, separandoli dalla circolazione veicolare».
La riqualifica dei laghi è una storia che parte da lontano. Era il pallino di Bill Arigoni, deputato socialista in Gran Consiglio, deceduto prematuramente nel 2010, che nel 1999 depositò una mozione che chiedeva un piano di intervento per il recupero delle rive dei laghi ticinesi. Da questo atto parlamentare hanno preso le mosse una serie di studi del Dipartimento del territorio per valutare lo stato delle fasce lacustri e per esaminare come rivitalizzarle.
«La piena consapevolezza dell’importanza del patrimonio delle rive dei nostri laghi è relativamente recente», scriveva l’architetto Rolando Zuccolo nel 2006, quando era al Dipartimento del territorio. La tratta costiera complessiva è di 107 km, 43 sul Lago Maggiore e 64 sul Ceresio. «Le rive a carattere naturale – precisa Zuccolo – sono maggiormente presenti sul Verbano (ca. 24% contro il 17% sul Ceresio). Le aree edificate/costruite, oppure, contraddistinte da giardini privati, riguardano il 39% delle fasce lacustri sul Verbano e oltre il 48% sul Ceresio».
Sempre nel 2006 il DT ha commissionato alla Dionea di Locarno, una creativa società di consulenze ambientali, uno «Studio generale relativo al recupero delle rive dei laghi» in cui si sottolinea che «Sotto la pressione di interessi privati contrapposti, le fasce a lago, che nei progetti urbanistici ottocenteschi erano state inizialmente pensate quali spazi urbani pubblici, vengono frazionate e tramutate in parcelle edificabili». Infatti il Ticino ha concesso autonomia ai Comuni e ciò ha permesso di costruire a bordo lago senza una visione pianificatoria globale.
Lo dice chiaramente Il recente Piano direttore cantonale: «Con l’introduzione nel 1990 della Legge di applicazione della Legge federale sulla pianificazione del territorio, il Cantone rinuncia a un Piano cantonale dei laghi e gli obiettivi posti per l’elaborazione di nuovi strumenti pianificatori e giuridici – atti a garantire una migliore salvaguardia dei valori paesaggistici e naturalistici delle rive e dei laghi e a promuovere la loro accessibilità e godibilità pubblica – vengono meno».
Un progetto di massima per la valorizzazione del tratto tra Capolago e Melano è già stato elaborato dalla Dionea di Locarno su richiesta del DT. Il materiale di scavo del raddoppio del San Gottardo sarebbe in quantità e qualità sufficiente per realizzare l’opera.
«La scelta del Dipartimento di riqualificare la costa tra Capolago e Melano è da sostenere – ci dice l’architetto Rolando Zuccolo – perché è anche un risarcimento per questi villaggi che sono stati feriti da interventi infrastrutturali pesantemente incisivi: ferrovia, strada, autostrada. Per il Cantone è un’occasione per trasformare e riqualificare queste zone. Può essere un primo passo per dimostrare che si può agire puntualmente cominciando a recuperare segmenti di rive restituendole ai cittadini». Infatti, il lago era e rimane un insostituibile bene comune.