Riciclare e compostare sono attività che svolgevano «naturalmente» anche i nostri nonni, più per professione, economia e per tradizione contadina che non per salvaguardare l’ambiente, ma restano interessanti le buone pratiche che in passato furono adottate. A partire dalla rudera dove si gettavano i resti dei cibi, ovvero i cosiddetti rifiuti organici, lasciandoli poi decomporre e fermentare per ottenerne un concime per la terra. D’altro canto, ancora oggi chi ha prati grandi può predisporre un’area (lontano dai vicini che potrebbero essere infastiditi dall’odore degli avanzi in decomposizione) sistemando uno o due contenitori del compostaggio, i più fortunati magari potrebbero persino evitare l’acquisto di una compostiera, come si fa ancora in montagna. Ma gli anziani applicavano la raccolta differenziata e il riuso, probabilmente senza saperlo, anche ad altri rifiuti e oggetti che oggi buttiamo senza pensarci troppo, anche perché molti mestieri non sono stati tramandati e i materiali di cui sono composti oggi gli stessi oggetti d’uso quotidiano non si presterebbero comunque più a un adattamento pratico.
Come conferma Giovanna Ceccarelli, collaboratrice scientifica al centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona che nel 2021 si è occupata dell’argomento in un testo inserito nel bollettino dell’Accademia di scienze umane e sociali a Berna: in passato si dava una seconda vita anche agli abiti usati, che venivano spesso smontati per trasformarli in più abiti diversi, magari per i bambini (pratica che anche oggi aziende di moda specializzate fanno). «Si recuperavano i vestiti – spiega Giovanna Ceccarelli – per esempio rivoltandoli, oppure si ricavavano due-tre cappotti per bambino da un cappotto militare, oppure delle calze si rifaceva solo lo scalfín, punta e tacco, tenendo buona la parte centrale». Altre volte, tessuti ormai strausati venivano anche consegnati allo strascée, che girava di paese in paese a ritirare stracci, pelli e altri oggetti ormai inutilizzati che poi provvedeva a trasformare. Ma i nonni avevano ben chiara anche la necessità di aggiustare ciò che si rompeva. I muléta, gli arrotini (v. foto), sistemavano i coltelli che non tagliavano più; i magnán, i calderai, riparavano le pentole; gli umbrelatt, ombrellai, davano nuova vita agli ombrelli; i cadregatt, impagliatori di sedie, ne sistemavano le sedute; i materassai rimettevano a nuovo i materassi ripettinando la lana.
Più semplice era utilizzare il metallo, quello delle pentole, ad esempio, che dopo essere state riparate più volte diventavano recipienti-mangiatoia per gli animali.