«Tutto è cominciato il 17 agosto 1992. Alle sei del mattino mi sono trovata con alcuni volontari del Gruppo di auto aiuto alla Romania di Gordola, coordinato all’epoca da Silvia De Carli, che aveva organizzato la nostra prima missione a Buzǎu». Inizia in questo modo il libro Viaggio nel Paese delle meraviglie (pubblicato per celebrare i 25 anni di Ecer-Echanges culturels avec les enfants de Roumanie) e soprattutto il lungo viaggio di Gabriella Balemi, la presidente dell’associazione. Era un momento particolare per quel Paese dell’est Europa. Da soli tre anni era finito il regime comunista di Ceaușescu e la situazione era ancora piuttosto complicata. Basti pensare che nella sola capitale più di 5mila minorenni vivevano di espedienti nelle fogne o sotto la stazione centrale. Una situazione molto difficile che Gabriella Balemi ha vissuto in prima persona e che racconta in questo volume, insieme ad altre voci ticinesi e con testimonianze rumene. È operando con Michel Candolfi, vicedirettore del Centro Professionale Tecnico (CPT) di Locarno, che ha dato il suo contributo fondamentale alla pubblicazione del volume. Una storia che è mutata nel tempo anche in modo importante. Infatti, il libro (che contiene una prefazione di Cornelio Sommaruga) si divide in tre parti. Inizialmente vengono descritti i primi anni e si mette l’accento sulle visite agli orfanotrofi di Buzǎu (città di 150mila persone a un centinaio di km dalla capitale), dove l’associazione decise di intervenire. In che modo? Ce lo spiega la stessa signora Balemi: «All’inizio sono andata per studiare la situazione, per capire le priorità e soprattutto per ottenere la loro fiducia. Ci è voluto del tempo, ma hanno imparato a fidarsi e hanno compreso che li volevo solo aiutare. In questo modo sono riuscita a entrare negli orfanotrofi dove ho visto situazioni davvero problematiche: molti bambini erano malati e trascurati, alcuni denutriti e soprattutto dimostravano una chiara mancanza di affetto e attenzione. L’acqua era razionata e disponibile solo qualche ora al giorno. In quei primi anni ci siamo attivati soprattutto portando beni di prima necessità e legando il nostro lavoro agli aiuti urgenti».
Ma nel 1994 avvenne una svolta importante e iniziò la seconda fase del progetto: quella legata agli scambi culturali. «Era giunto il momento – spiegano Balemi e Candolfi – di aiutare oltre ai giovani anche chi lavorava negli istituti in modo più mirato e puntuale. Ecco perché è stata creata Ecer: un modo per sostenere la loro formazione professionale». Da quel momento i contatti furono ancora più frequenti e nacquero iniziative interessanti come la creazione di un gruppo di giovani mandolinisti rumeni che fecero un tour in Ticino e nella Svizzera romanda o l’organizzazione di una mostra fotografica (di Mauro Minozzi) con relativa sensibilizzazione nelle nostre scuole. La collaborazione con il CPT di Locarno è un altro tassello che si aggiunse all’organizzazione e permise a Ecer di creare dei gemellaggi tra le scuole. Sempre nello stesso periodo anche Coiffure Suisse si fece avanti per lavorare insieme. Come evidenzia l’attuale presidente cantonale nel volume, fu l’allora presidente Alberto Jenni a iniziare la collaborazione fornendo materiale didattico e attrezzature professionali per la formazione di parrucchieri. Oltre a ciò, allievi e docenti del liceo di Buzǎu furono accolti al Centro di formazione professionale di Giubiasco. A tale proposito, ricorda Michel Candolfi, era stato organizzato un gemellaggio con una scuola rumena, organizzando per qualche anno degli scambi tra classi di apprendisti parrucchieri, con certamente dei momenti anche di carattere interculturale.
La terza fase si è svolta negli anni 2000 e grazie soprattutto alla sinergia con la Supsi la quale affiancò Ecer con stages di tre mesi per i futuri operatori sociali che ebbero così l’opportunità di andare sul terreno e toccare con mano i problemi concreti di una situazione, quella rumena, ancora piuttosto difficile anche se in via di miglioramento. In questo contesto gli stage per bambini e ragazzi con disabilità presso case-famiglia sono stati altrettanto istruttivi. Parallelamente Ecer venne riconosciuta ufficialmente come associazione umanitaria.
Come aggiunge ancora Balemi, tra gli incontri che l’hanno segnata di più ci fu quello con il noto giornalista Mino Damato. «Mi ricordo che l’ho conosciuto al cantiere del villaggio per bambini in emergenza che stava costruendo. Mi venne incontro con una montagna di pane da distribuire agli operai e iniziammo a parlare come se fossimo amici di lunga data. Da quel momento i nostri rapporti si sono consolidati grazie alla sua assistente Aliz Duica che in seguito è diventata il nostro importante punto di riferimento».
E oggi? «La pandemia ha fermato i nostri viaggi in Romania, ma la situazione sta lentamente ritornando come era prima (anche se la Guerra in Ucraina aggiunge altra preoccupazione) e noi cercheremo di tornarci, per magari iniziare una quarta fase. I rapporti comunque continuano costanti grazie alle nostre antenne a Buzǎu. Il lavoro è ancora lungo ma io credo che il nostro modo di agire, e cioè entrare nel loro mondo in punta di piedi, senza modificare la loro cultura, sia stata la strada giusta e quella che intendiamo perseguire. Perché integrazione, a nostro avviso, significa preservare le proprie radici ed è quello che in questi anni abbiamo sempre fatto», conclude Gabriella Balemi.
Chi volesse saperne di più e approfondire la tematica può consultare il sito: www.culturomania.ch. Il libro con la storia dell’associazione è acquistabile anche online a 25 franchi.