Lo scrittore e divulgatore scientifico David Quammen lo aveva previsto e descritto otto anni or sono: la futura grande pandemia («The Next Big One») sarebbe stata causata da un virus zoonotico trasmesso da un animale selvatico, verosimilmente un pipistrello, e sarebbe venuto a contatto con l’essere umano in un «wet market» cinese. Più che profezia, fu frutto di 12 anni di accurate ricerche per essere poi certo di spiegare che cosa è lo spillover, un termine che indica quel momento in cui un virus passa dal suo «ospite» non umano (un animale) al primo «ospite» umano: il paziente zero.
Nel 2012 egli pubblica il libro Spillover, Adelphi, 2014 (ndr.: anche sul numero 27 del 30 giugno 2015 di «Azione» fu pubblicato un articolo in merito a firma di Lorenzo DeCarli). Potente e sconcertante, narra dell’evoluzione delle pandemie e delle zoonosi, malattie che seguono il processo di spillover, delle quali fanno parte anche AIDS (30 milioni di morti), tubercolosi bovina, febbre del Nilo occidentale, il virus di Marburg, la Rabbia, e altre ancora fra cui una strana afflizione chiamata Encefalite di Nipah che ha ucciso maiali e i loro allevatori in Malesia.
Il libro prevede, in modo sconcertante ma scientifico, che si sarebbe verificata una pandemia causata da un virus (oggi abbiamo imparato a chiamarlo Covid-19) capace di evolversi e adattarsi rapidamente, che il virus sarebbe stato trasmesso da un animale (verosimilmente un pipistrello), che sarebbe avvenuto in un contesto dove gli esseri umani entrano in stretto contatto con gli animali selvatici vivi e che sarebbe successo in un luogo della Cina. Per descrivere tutto ciò nel 2012, Quammen intervista virologi, biologi e medici che gli spiegano come avviene il passaggio del virus da animale a uomo.
Così, nel libro, narra pure l’orrore provocato dall’inizio di una pandemia e traccia uno scenario oggi tristemente famigliare: a partire dall’evento scatenante, egli parla della ricerca del paziente zero, di come è avvenuto il salto di specie e quali sono gli «animali serbatoio» in cui i virus vivono. Convinto che tutto abbia un’origine, spiega le responsabilità dell’uomo nella distruzione della biodiversità, e la sua interferenza nell’ambiente che favorisce l’insorgere di nuovi virus come il Coronavirus: «Gli ecosistemi contengono molti differenti tipi di specie animali, piante, funghi, batteri e altre forme di diversità biologica, tutte creature cellulari. Un virus non è cellulare, ma è un tratto di materiale genetico all’interno di una capsula proteica e può riprodursi solo entrando all’interno di una creatura cellulare».
Molte specie animali sono portatrici di forme di virus uniche, dice: «Ed eccoci qui come potenziale nuovo ospite. Così i virus ci infettano. Così, quando noi umani interferiamo con i diversi ecosistemi, quando abbattiamo gli alberi e deforestiamo, scaviamo pozzi e miniere, catturiamo animali, li uccidiamo o li catturiamo vivi per venderli in un mercato, disturbiamo questi sistemi e scateniamo nuovi virus». La globalizzazione fa il resto: «Siamo 7,7 miliari di esseri umani che volano in aereo in ogni direzione, trasportando cibo e altri materiali, e se questi virus si evolvono in modo da potersi trasmettere da un uomo all’altro, allora hanno vinto la lotteria. Ecco la causa alla radice dello spillover e delle zoonosi che diventano pandemie globali».
Anche la responsabile per la protezione delle specie del WWF Svizzera Doris Calegari è dello stesso avviso: «A nostre spese stiamo imparando che la nostra esistenza dipende dall’equilibrio della natura, e stiamo scoprendo quali drammatiche conseguenze può generare lo sfruttamento del nostro pianeta». Sulle zoonosi, e il passaggio del virus da animale a uomo, afferma: «Se gli habitat vengono distrutti, le specie che prima vivevano in mondi completamente differenti sono costrette ad avvicinarsi all’uomo». Ecco spiegato l’aumentato rischio di una pandemia globale: «La stretta coesistenza tra l’uomo e gli animali di ogni specie, stressati, sfiniti e talvolta malati, offre le condizioni ideali per il proliferare di virus spesso altamente mutabili».
Al di là di fantomatiche teorie complottistiche, le informazioni attuali di cui disponiamo dicono che il Coronavirus è stato contratto per la prima volta dall’uomo in un mercato di animali selvatici in Cina. Questi mercati rappresentano un rischio globale per la salute e andrebbero chiusi, spiega Calegari: «Nei wet market si commercia frutta, verdura, pesce, frutti di mare, carne da allevamento o proveniente da animali selvatici. Vi si trovano anche animali vivi o macellati poco prima che le loro carni siano messe in vendita». Si parla di animali vivi o morti delle specie più disparate come ad esempio maiali, polli, pipistrelli, folidoti (pangolini), zibetti e cani esposti e costretti in spazi angusti. «Tra i banchi le condizioni igieniche lasciano ovviamente a desiderare, ma purtroppo la carne di animali selvatici è spesso considerata una vera prelibatezza e venduta a caro prezzo».
Comprendiamo così la complessità di una simile situazione e la necessità di mettervi ordine, persuasi che la stretta coesistenza tra uomo e animali di ogni specie offra le condizioni ideali per il proliferare del virus e il passaggio di specie a tutto svantaggio della nostra salute. E non è nemmeno una sorpresa, spiega la nostra interlocutrice: «La diffusione di agenti patogeni attraverso il contagio da animale a uomo è un fatto già tristemente noto: si pensi alla SARS, una malattia infettiva comparsa per la prima volta in Cina nel 2002, o alla MERS scoppiata in Medio Oriente nel 2012. Apparentemente a capo della catena di trasmissione di tutte e tre le patologie vi sono i pipistrelli». Eliminare i pipistrelli non è però la soluzione, ricorda dal canto suo Quammen: «La soluzione è lasciare i pipistrelli in pace, perché i nostri ecosistemi hanno bisogno dei pipistrelli».
Il WWF, dal canto suo, propone di proteggere la biodiversità ponendo fine alla distruzione degli habitat che: «Costringe animali di specie diverse, che per natura vivono in mondi completamente differente, ad avvicinarsi, Ciò favorisce pericolosamente le zoonosi. Ad esempio, un effetto diretto del calo della popolazione di caprioli in Svezia è stato l’aumento della zecca, un parassita che causa l’encefalite (meningite) e colpisce sistematicamente sempre più arvicole (ndr: roditori ospiti delle zecche) che sono ben più vicini all’uomo. Va da sé che per l’uomo il rischio di un morso da zecca e di contrarre le malattie che ne conseguono è aumentato».
Da animale a uomo
Mondoanimale - Le zoonosi e i loro devastanti effetti sull’uomo tornano sotto la lente
/ 18.05.2020
di Maria Grazia Buletti
di Maria Grazia Buletti