C’è qualcosa in grado di aiutare a guarire da disturbi diversi come ansia, depressione, aiutare chi è malato di tumore, ma anche dare una mano contro mal di testa e persino impotenza? Pare di sì. Non è un farmaco miracoloso, più banalmente, si parla di libri. Ebbene, la biblioterapia, è diffusa ormai da un secolo nei paesi anglosassoni. In Italia e in Ticino, fatica ad attecchire.
Nella vicina penisola, la psicologa Rosa Minnino, da noi contattata, ci ha spiegato di essere una pioniera e di aver voluto creare un sito internet per «promuovere la Biblioterapia come tecnica in psicoterapia, nei processi di crescita psicologica e culturale del singolo e dei gruppi. La lettura – precisa – è un potente strumento di crescita e cambiamento». Due inglesi, Ella Berthoud e Susan Elderkin hanno pubblicato a tal proposito, guarda caso, un ricettario.
In Ticino, l’unico studio di psicoterapia e psichiatria che utilizza ufficialmente la biblioterapia è il My Way di Bellinzona, del dottor Orlando Del Don (psichiatra e psicoterapeuta): «Abbiamo ideato e strutturato da alcuni anni un progetto articolato che integra alcuni elementi in un tutto coordinato e dinamico. Da un lato l’Atelier di biblioterapia, dall’altro il Laboratorio (la scuola) di scrittura creativa e – dallo scorso anno – anche la Flamingo Edizioni, la nostra piccola casa editrice che vuole favorire e aiutare chi vuole pubblicare i propri lavori. Ce ne occupiamo io e un’operatrice con formazione in arteterapia unitamente a una scrittrice che si occupa di scrittura creativa, affiancata da noi».
Dunque, secondo Orlando Del Don, la biblioterapia funziona: «I libri da sempre hanno aiutato gli uomini a guarire. Questo è indubbio. Ma lo hanno sempre fatto con discrezione ed elargendo i loro doni e i loro benefici solo a coloro che li hanno desiderati con la costanza, la determinazione e la passione di un amante. In ambito psicologico e psichiatrico il loro aiuto può pertanto essere molto, molto importante. La discriminante in questi casi è data però dai terapeuti, i quali da una parte devono essere in grado di porre le indicazioni clinico-diagnostiche corrette e dall’altra devono saper interagire in modo creativo e incisivo sia con i loro pazienti che con il testo o i testi di volta in volta scelti o indicati».
Come sempre, dunque, niente «fai da te». Secondo la dottoressa Minnino questa tecnica sarebbe come un supporto e un compito a casa per il paziente. Viene da chiedersi se non si potrebbe correre il rischio di seguire l’esempio di un personaggio che risolve situazioni con soluzioni valide solo nel mondo letterario, dal momento che la lettura crea empatia e dunque immedesimazione. Secondo Del Don questo «pericolo non esiste quando si è seguiti da personale esperto in ambito psicologico, psichiatrico e psicoterapeutico e quando non ci si affidi a soluzioni estemporanee o a pratiche e offerte discutibili e/o supportate unicamente dalla buona volontà o dalle buone intenzioni ma avulse da esperienza clinica e da una formazione accademica in ambito psicologico, psichiatrico e/o psicoanalitico».
Parlare di un libro come rimedio per un malanno è di per sé limitativo, perché ogni caso deve essere analizzato e calibrato, non qualcosa di standard e meccanico (oltretutto, si deve tener conto del livello culturale di una persona). «Non è un mero strumento a sé stante che può essere applicato utilmente in assenza di un approccio pluridisciplinare; clinico, medico, psicoterapeutico e riabilitativo/integrativo», ammonisce il nostro interlocutore. Pensare di guarire i reumatismi con Italo Calvino, senza un approfondimento, come suggeriscono Berthoud e Elderkin, è quindi semplicistico, dietro la biblioterapia c’è molto più di un rimedio miracoloso.
Se è plausibilissimo che problematiche di tipo psicologico o psichiatrico siano indicate per questa terapia, resta un dubbio su come possa «funzionare» per quelle «fisiche». Ma scindere le due componenti, per Del Don, è errato: «Le neuroscienze dinamiche e, in particolare, la psicoanalisi ci ha permesso di capire il funzionamento dell’inconscio e in che modo esso – come formulato da Lacan – sia strutturato come un linguaggio. Questo implica fra le altre cose che noi siamo il nostro inconscio e che questo è il frutto delle nostre continue interazioni con la cultura, il sapere, la conoscenza… e la lettura. In altre parole noi siamo tutto ciò che abbiamo visto, udito, letto e immaginato, amato, desiderato. Siamo cioè ciò che siamo riusciti a formalizzare e a concepire grazie al linguaggio. Tutto quanto è rimasto invece inespresso, non enunciato, afasico, tutto ciò che è rimasto al di fuori del linguaggio si traduce e si trasforma prima o poi in sintomo, sofferenza, malattia, non solo psicologica e psichiatrica ma anche fisica».
Dunque, leggere aiuta anche per disturbi che, a prima vista, possono apparire non provenienti dalla sfera psicologica, un po’ come accade con la musicoterapia, per la quale secondo il nostro interlocutore vale lo stesso principio.
S’è parlato di lettura, ma anche la scrittura è spesso definita un’ottima valvola di sfogo. «Anche lo scrivere, ovviamente, aiuta: moltissimo» conferma Del Don. «Ci sono stati grandi autori che proprio grazie alla scrittura hanno trovato un aiuto essenziale, se non vitale, nella loro parabola esistenziale. Scrittori del calibro di Joyce, Gadda, Berto, Svevo, Dickinson, Carrol… l’elenco potrebbe essere lunghissimo! Il rapporto fra scrittura e biblioterapia è infatti stretto e molto, molto affine. Difficile pertanto separare in modo scolastico e artificioso queste due modalità di intervento in quanto possibili strumenti terapeutici». Da qui, appunto, l’idea di sfruttare queste tecniche nel suo centro.
In Ticino, per contro, non vi sono altri studi di psicoterapia che abbiano operatori con una formazione clinica e professionale riconosciuta e qualificata nel campo. Ciò non toglie che qualcuno, magari amante della lettura, non suggerisca qualche libro. Una tecnica a costo quasi zero, che coinvolge la sfera emotiva, aumenta la cultura e può anche curare: cosa chiedere di meglio, soprattutto per chi in compagnia di un libro perde il senso del tempo?