(Stefano Spinelli)

Cuore matto

Medicina Al Cardiocentro un ambulatorio per seguire da remoto le variazioni del ritmo del battito che possono portare all’arresto cardiaco, come quello occorso al sindaco di Lugano Marco Borradori
/ 16.08.2021
di Maria Grazia Buletti

«Quella mattina mi sono svegliata come sempre e ho fatto colazione. La baby-sitter di mio figlio di un anno e mezzo si era fermata a dormire da noi dato che il mio compagno era fuori: mi sarebbe stata d’aiuto perché io avevo una mano infortunata. Subito dopo colazione, so di averle detto che andavo al piano di sopra. Da quel momento in poi non ricordo più nulla se non attraverso il racconto di altri, malgrado siano passati tre anni». È la testimonianza di C. (nome noto alla redazione), e dei momenti in cui la sua vita è cambiata così come quella di suo figlio e dei suoi famigliari. 

La baby-sitter l’ha vista cadere esanime per terra: «Malgrado lo spavento è riuscita a telefonare al mio compagno che ha allertato l’ambulanza. Non aveva seguito nessun corso di pronto soccorso e solo all’arrivo dei soccorritori mi hanno defibrillato tre o quattro volte finché ho ripreso a respirare. Poi, sono stata portata al Cardiocentro e mi sono svegliata in camera dove ho trovato tante fotografie di mio figlio Leonardo del quale pure non ricordavo nulla. Non sapevo dove fossi, non capivo il perché di tutte quelle foto, non riuscivo a percepire quanto tempo fosse passato dalla mia colazione…». C. è una signora di circa trent’anni, sana, che improvvisamente ha subito un arresto cardiaco. 

Scopriamo che l’arresto cardiaco non è sempre causato da infarto del miocardio: nel caso di questa paziente, infatti, a causare l’arresto cardiaco è stata una fibrillazione ventricolare idiopatica. È stata molto fortunata perché qualcuno era presente e ha chiamato tempestivamente i soccorsi. Il resto è storia che, grazie al pronto intervento dei soccorritori e alle cure al Cardiocentro, è lei stessa a raccontarci, anche se per sentito dire dato che di quella mattina non ricorda nulla: né dell’arrivo al Cardiocentro né tantomeno delle settimane seguenti. A colpirla è stato «uno dei disturbi del ritmo cardiaco: il più grave in assoluto, del tutto imponderabile e per il quale si muore se non trattato immediatamente». A parlare è il professor Angelo Auricchio, vice primario di cardiologia al Cardiocentro EOC, nonché direttore del servizio di aritmologia, e già presidente della Società europea di aritmologia. 

Può succedere a chiunque e a qualsiasi età: «La fibrillazione ventricolare può colpire il neonato in culla come pure il bambino e in questi casi potrebbe derivare da una famigliarità. Ma talvolta, come ad esempio per la signora, non si trova un legame genetico e può verificarsi per tutte le fasce d’età (meno frequente nei giovani e molto più plausibile dopo i 50 anni) come conseguenza di un infarto cardiaco (ostruzione di un’arteria e il cuore va in fibrillazione)».

Per tutte le persone coinvolte è un evento traumatico che perdura nel tempo, per il quale la tempestività dei soccorsi e della defibrillazione sono vitali, spiega il cardiologo: «Da 15 anni in Ticino opera la Fondazione Ticino cuore attiva nell’insegnamento del massaggio cardiaco fin dalle scuole medie, che recluta pure persone non sanitarie ma disposte ad attivarsi quando viene segnalato un attacco cardiaco». Sono i First responder che spesso fanno la differenza della prognosi proprio per la tempestiva presa a carico del paziente.

Ad ogni modo, la signora C. è stata fortunata ed è giunta al Cardiocentro dove è stato seguito un preciso protocollo: «Nell’immediato indaghiamo le cause: un’angiografia cardiaca ci permette di valutare le coronarie e stabilire i relativi eventuali interventi terapeutici. Poi, pensiamo a proteggere il cervello: la persona è in sedazione e abbassiamo la sua temperatura corporea, perché la condizione di ipotermia protegge tutti gli organi interni e permette loro di riprendersi: più un corpo è freddo e meno ossigeno consuma, dunque anche il cervello avrà tempo per recuperare». 

Quando questo tipo di eventi così gravi accadono a persone giovani come la paziente in questione, la ricerca di una causa diventa spasmodica, a partire dai test genetici che non sempre danno esito positivo: «Che cosa è successo? E perché? Spesso non riusciamo a individuare una causa e allora parliamo di fibrillazione ventricolare idiopatica (ndr: causa sconosciuta) come per la signora il cui cuore era assolutamente sano ma è improvvisamente impazzito senza che potessimo risalire a una causa». Un tipo di disturbo che, spiega lo specialista, capita nei giovani («E non solo, ma ad esempio pure in chi fa uso o abuso di sostanze come marijuana o cocaina»). 

Alla paziente è stato impiantato un defibrillatore sottocutaneo che monitorizza la situazione in tempo reale. Il professore conferma la delicatezza della fase di risveglio: «La paziente era a casa sua e poi si ritrova in una stanza d’ospedale senza ricordare nulla di quanto è capitato nel frattempo: un’amnesia retrograda dell’evento che spesso il cervello usa come strategia di protezione». All’anamnesi e alla cura, seguono riabilitazione e convalescenza: preludio del rientro a domicilio dove, racconta la testimone, la vita cambia: «Se non altro per la consapevolezza di quanto successo, nel mio caso acquisita attraverso il racconto degli altri». 

A livello terapeutico, è molto interessante quel «poi» che segue la fase acuta di ospedalizzazione, perché al Cardiocentro questi pazienti possono fare capo all’Ambulatorio di aritmologia che assicura una presa a carico «oltre l’ospedale», nel quotidiano: «Parliamo di controlli da remoto e di telemedicina con i dati del paziente rilevati in tempo reale, a segnalare sui nostri monitor ogni eventuale anomalia o evento in corso». Uno sviluppo tecnologico rilevante: «Non basta il defibrillatore sottocute che conta i battiti della signora, ma ci interessano eventuali avvisaglie di cambiamenti». 

Per intenderci, il defibrillatore raccoglie una serie di informazioni sulla fisiologia cardiaca e le immagazzina all’interno del sistema: «Ai controlli medici esso viene decodificato e mostra il tracciato del vissuto cardiaco». Ma la tecnologia permette di sfruttare il monitoraggio da remoto in modo molto semplice: «È come un cellulare a domicilio che legge il defibrillatore della persona ogni volta che è nei paraggi dell’apparecchio; così noi riceviamo tutte le informazioni più o meno in diretta. Il paziente è coinvolto: vive con la consapevolezza di essere sorvegliato nella sua malattia e non si sente abbandonato a se stesso con la costante paura che possa succedergli di nuovo qualcosa».

Qualora questo tracciato mostrasse qualche anomalia, il paziente verrebbe subito convocato e la terapia adeguata al caso: «Un risparmio per il sistema sanitario, per il paziente (costantemente controllato senza doversi recare in ospedale) e per la sua serenità». La signora C. conferma: «Non bisogna lasciarsi andare, malgrado le difficoltà: io sono rientrata al lavoro e questo monitoraggio mi lascia molto più serena».