Gioia, tristezza, passione, sorpresa, disgusto, amore, rabbia e paura: cosa sarebbe la nostra vita senza le emozioni? «Dal latino emovère (ex = fuori + movere = muovere), letteralmente portare fuori, mettere in movimento, le emozioni costituiscono una delle realtà più pervasive e complesse della nostra esistenza: condizionano pensieri e azioni, guidano i nostri comportamenti, influenzano il modo in cui ragioniamo, così come tutti gli ambiti della nostra vita», così esordisce lo psichiatra Antonio Malgaroli, responsabile, con la cardiologa Susanna Grego, dell’Ambulatorio dell’ansia e dello stress alla Clinica Sant’Anna di Sorengo.
Una collaborazione interdisciplinare che permette subito di comprendere come le emozioni leghino strettamente cervello e cuore, in un dialogo tanto forte quanto insospettabile perché autonomo. Di fatto, Ippocrate affermava che «gli uomini devono sapere che dal cervello, e solo dal cervello, derivano piacere, gioia, riso, così come tristezza, pena, dolore e paure». Quando, però, il nostro cervello prova emozioni forti, noi le verbalizziamo con alcune espressioni significative che coinvolgono anche il cuore: «Mi scoppia il cuore», «Mi spezzi il cuore», «Cuore infranto». Chiediamo allo psichiatra come si spiega: «In realtà, cervello e cuore sono legati in modo palindromo e, in questo dialogo, il grande ruolo delle emozioni è permettere loro di scambiarsi informazioni cruciali che interessano tutto l’organismo».
Di solito non c’è ragione di preoccuparsi perché, spiega lo specialista: «Benché percepiti come disfunzionali, ansia e stress fanno parte di noi in modo più o meno percettibile: l’ansia è un’emozione che origina dal nostro normale e fondamentale “istinto di fuga”, attivato dal sistema nervoso simpatico e parasimpatico (ndr: autonomo perché non controllabile). La “non fuga”, il nostro non correre via da una situazione, ci pone nella condizione di avvertire gli effetti della messa in moto in una corsa che in realtà non avviene».
Tutto però si complica quando affiorano ansia e disturbi legati allo stress eccessivo, purtroppo oggi sempre più comuni: quel macigno sul petto che impedisce quasi di respirare, la paura di uscire di casa o di ritornarci sono solo due degli esempi di situazioni in cui le emozioni non hanno più una connotazione fisiologica e creano problemi sull’asse cuore-cervello, perché se una quota naturale d’ansia fa parte della condizione umana, ultimamente vi abbiamo aggiunto un carico ulteriore dovuto a diversi fattori, fra i quali la pandemia e la guerra, l’allentamento della dimensione comunitaria a favore dell’individualità sociale e le situazioni di competitività che ci fanno sentire spesso fuori posto o non all’altezza delle aspettative.
Marco (nome noto alla redazione) è un signore di mezz’età, conduce una vita senza particolari problemi e svolge una professione che richiede grande attenzione e concentrazione. Racconta la propria esperienza permeata da crescenti difficoltà con cui ha dovuto confrontarsi a un certo momento della sua vita: crisi d’ansia e di panico, insonnia e malessere: «Non so come tutto sia cominciato; ho un lavoro, non ho pensieri in famiglia, ho la ragazza, non abbiamo problemi economici… eppure da un po’ non mi sentivo bene: avevo tanta ansia, stress, non riuscivo a dormire di notte e tutto questo temevo si ripercuotesse anche sul lavoro. Mi sono rivolto a un medico, senza però vedere risultati. Anzi, tutto pareva peggiorare. A quel punto, ciò di cui ero certo è che non avrei voluto vivere così e avevo bisogno di riappropriarmi della mia vita».
Il suo racconto si chiude con una riflessione: «Le persone spesso sottovalutano chi sta male perché sente ansia o stress, ma non ci si sente così per volontà e perciò mi sono messo alla ricerca di qualcuno che potesse davvero aiutarmi a uscire da questa situazione che comprendeva crisi di panico che mi stavano portando sempre più giù». Si informa e scrive all’Ambulatorio dell’ansia e dello stress della Clinica Sant’Anna di Sorengo: «La mia mail era come uno “sfogo” disperato, ma mi hanno convocato subito, sono stato visitato dalla cardiologa che mi ha sottoposto a una serie di esami, dopodiché mi ha consigliato il suo collega psicoterapeuta che incontro regolarmente da un paio di mesi. Vedo già i risultati e da un paio di settimane ho ripreso il lavoro, mi sento meglio e non ho più avuto crisi di panico».
Marco ha vissuto l’esperienza di questo tipo di presa a carico interdisciplinare: un procedere che ha permesso dapprima di escludere patologie fisiologiche, e in seguito di prendere seriamente in considerazione la modulazione dell’ambito psicologico. La cardiologa Susanna Grego fa un passo avanti: «Anche il cuore può risentire dello stress. Sappiamo ad esempio che le forti emozioni positive, ma soprattutto negative, possono essere la causa della sindrome di Takotsubo (meglio nota come “sindrome del cuore infranto”) nella quale le catecolamine liberate durante una forte emozione bombardano il cuore paralizzandolo in modo transitorio. Il dolore toracico è intenso e le donne ne sono colpite più di frequente». Inoltre, la cardiologa sottolinea che «se una persona manifesta sintomi di ansia da stress, bisogna innanzitutto ricordarsi che questi sintomi sono molto simili a quelli provocati da un reale problema cardiaco. Quindi, prima di etichettare una persona come ansiosa, limitandone la credibilità nel riferire un sintomo, è necessario prenderla a carico innanzitutto per evidenziare un eventuale problema cardiologico la cui esclusione indurrà lo psichiatra ad accoglierlo privo di ogni pregiudizio. Quando la mente soffre, anche il cuore ne risente, ma vale anche il contrario e non si può attribuire un sintomo a una causa se prima non si controllano tutte le altre».
Da ciò consegue la collaborazione fra i due specialisti. «Troppo spesso arrivano pazienti che assumono tanti farmaci, con pesanti controindicazioni, senza mai aver fatto un elettrocardiogramma. La visita cardiologica assume importanza pure prima di somministrare qualsiasi medicamento: cuore e cervello sono tessuti elettrici e questi farmaci hanno un effetto sull’attività elettrica di entrambi», spiega lo psichiatra, sostenendo a sua volta la presa a carico coordinata del paziente che così si sente accolto, compreso e seguito.
«Il gioco di squadra è importante: siamo sempre in contatto e seguiamo i nostri pazienti in sintonia», gli fa eco la cardiologa. Un procedere che va a sfatare l’idea che si debba essere privi di zone d’ombra che invece esistono, vanno individuate e, se del caso, curate. D’altronde pure Gustav Jung affermò che «lo scopo della vita non è diventare perfetti, ma completi».