Corona-stress

Covid-19 - Riflettere aiuta a trasformare questa nuova dimensione in esperienza di vita
/ 08.06.2020
di Maria Grazia Buletti

«L’emergenza Covid-19 sta provocando l’aumento di segnalazioni di patologie come ansia e paura, disturbi del sonno e depressione, anche in forme gravi». Lo scorso mese di maggio il direttore generale dell’Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus ha lanciato l’allarme anche per la salute mentale, ponendola come priorità assoluta in questa fase dell’evoluzione della pandemia.

È sulla stessa linea lo Swiss corona stress study dell’Università di Basilea, che indica come durante il Lockdown il 20 per cento degli intervistati abbia sviluppato gravi sintomi depressivi: «Molti di loro non avevano mai avuto problemi psicologici prima, mentre i sintomi depressivi preesistenti sono invece peggiorati nell’80 per cento dei casi». Anche in Svizzera una persona su cinque ha sviluppato sintomi a causa della crisi del Coronavirus e ora ci troviamo in una delicata fase di transizione che, secondo il neuroscienziato e autore dello studio Dominique de Quervain, «potrebbe rivelarsi peggiore per alcuni individui perché da una parte tornano fattori legati allo stress e alla pressione lavorativa, dall’altra mancano ancora i contatti sociali tutt’ora limitati».

La pandemia non ci ha solo insegnato l’abitudine di lavarci le mani (e prima che facevamo?), ci ha indotti a ridefinire le distanze sociali e ci ha insegnato a evitare di toccare tutto e tutti. La clausura ha rallentato il tempo in un apparente ritorno al passato che ha comportato incertezze, anche economiche. Un tempo sospeso, che però sospeso non è, seguito da un «liberi a metà», che spazza via la falsa e anelata illusione del «liberi tutti». Un ritorno a una normalità diversa dalla precedente: una sua nuova dimensione alla quale parecchi potrebbero faticare ad abituarsi.

Prima la paura del contagio, poi un brusco arresto delle consuetudini, infine l’incertezza. Ci chiediamo se l’esserci dovuti fermare per forza abbia qualche effetto benefico in prospettiva e se ne usciremo cambiati. È certo che ripartiamo da una nuova dimensione, spiega lo psichiatra e psicoterapeuta Michele Mattia (pure presidente dell’Asi-adoc, Associazione della Svizzera italiana per l’ansia, la depressione e i disturbi ossessivo compulsivi): «Siamo stati catapultati nello stordimento di un periodo di lockdown. Però con la chiusura si sono create delle rassicuranti misure protettive che tutti dovevamo seguire allo stesso modo. Molti sono perciò entrati nella “sindrome della tana”, col timore di uscire di casa per l’insicurezza e le incertezze indotte dal rientrare all’interno di un ritmo sociale diverso dal precedente, nel quale non sappiamo come si muoverà la massa, che tipo di comportamento avremo, se sarà adeguato come prima o meno e via dicendo».

Tutto è amplificato dall’altra dimensione dell’attuale emergenza che ora è più economica che sanitaria e fa sì che molti abbiano difficoltà a comprendere e credere che si potrebbe tornare all’emergenza sanitaria: «Non c’è più chiarezza sul comportamento migliore da adottare e ciò crea incertezza: la distanza sociale diventa quale distanza? Due metri? Un metro? Arrivano dubbi importanti. Che facciamo quando qualcuno ci si avvicina al supermercato?». Michele Mattia invita a entrare «nella modalità di cominciare a convivere e condividere la nostra vita in presenza del rischio di base del Covid-19», ricordando che «viviamo continuamente con l’elemento del rischio, ma finché la nostra mente lo interpreta come minimo, allora non esiste. Questo è diventato un rischio importante, perciò la mente lo percepisce come immanente e in ogni luogo».

L’emergenza sanitaria ha dunque provocato quella che egli definisce: «un’angoscia di massa della morte che è entrata nella porosità della psiche di molti di noi, difficile da sradicare perché in questa seconda fase non ci sono più le protezioni assolute del lockdown». Per andare avanti, ci aspetta perciò «l’esposizione in vivo»: un lavoro progressivo nella riduzione dell’ansia. «Dobbiamo riprendere contatto con la nuova realtà, e trasformare il Covid-19 da mostro che mangia tutti a qualcosa con cui dovremo imparare a convivere aiutati dalle indicazioni delle autorità».

Dunque: non tutti poliziotti alla ricerca di chi potrebbe contagiarci: «Comporterebbe un aumento dell’aggressività collettiva, mentre dovremo tracciare il nuovo inizio nella continuità di quanto vissuto. Ecco il rischio che una certa quantità di persone abbia vissuto questo periodo come una sospensività e non come una continuità: non si è trattato di una parentesi sospesa di qualcosa; chi l’ha vissuta come esperienza continuativa saprà rientrare adeguatamente nella riapertura che, d’altronde, significa proprio sapersi confrontare con la grande incertezza di cosa farà l’altro».

L’imprudenza di chi ha vissuto quest’esperienza come una sospensione della normalità è l’altra realtà di fatto con cui siamo ora confrontati: «La riapertura potrebbe portare queste persone a tornare con maggiore enfasi nella vita, perché la sospensione non ha fatto loro apprendere nulla: negando cosa è successo, riprendo come prima perché la vita me la riprendo tutta. Questa è una sorta di arroganza verso la vita che non permette di considerare l’esperienza che stiamo vivendo ancora ora. Psicologicamente è come se attraverso questo comportamento si riuscisse a entrare nell’atto di sconfiggere la dimensione della morte. Dovremmo invece riuscire a capire che siamo in una fase di cambiamento significativo nel quale i nostri precedenti punti di riferimento così apparentemente sicuri si stanno modificando».

Il Covid-19 ha mutato gli equilibri di un «eccesso di controllo su tutto» a cui eravamo abituati: «Come se in fondo potessimo decidere tutto ciò che volevamo nella nostra vita, e invece no: è bastato un micro-organismo che si riproduce in fretta e può portare alla morte per modificare tutte le nostre certezze». Se riconosciamo il cambiamento, e l’incertezza che esso sempre comporta, riusciremo a convivere con questo nostro nuovo presente. Altrimenti dobbiamo essere attenti a riconoscere i sintomi che ci causano malessere psico-fisico e chiedere aiuto al medico di famiglia o eventualmente allo specialista: «Le persone meno adattabili ai cambiamenti dovranno lavorare su una dimensione importante che è la capacità di adattamento alle diverse dimensioni della vita».

Avremo quindi l’opportunità di imparare qualcosa per davvero: «Potremo integrare quest’esperienza di vita come esperienza evolutiva e maturativa nel nostro percorso esistenziale, ponendo in evidenza quegli elementi sottovalutati come gli affetti, la dimensione famigliare, le relazioni, il darsi più tempo per fare cose semplici». Potrebbe essere un ritorno al contatto con la parte più profonda del valore dell’esistenza: «Difficile e faticoso, perché il mondo precedente non ci permetteva di pensare. Ma non impossibile». Perché impossibile è solo un po’ più difficile di possibile.