C’è chi se la prende con il tempo, chi con la routine e i problemi sul lavoro, chi con la politica. Una litania che inizia la mattina, con il primo che capita a tiro, e continua per tutta la giornata. Alcune ricerche sostengono che ci sono persone che si lamentano almeno una volta al minuto. Secondo Travis Bradberry, psicologo specializzato in organizzazione aziendale, fondatore della società TalentSmart, e autore del libro bestseller internazionale Intelligenza Emotiva 2.0, lamentarsi procura una sensazione di sollievo nell’immediato, ma a lungo andare condiziona il cervello in maniera negativa. Inoltre più ci si lagna, più si tenderà a farlo.
In un articolo dello scorso settembre, letto quasi 140mila volte su Linkedin, lo psicologo specializzato in test di misurazione dell’intelligenza emotiva (la capacità di riconoscere e gestire in modo consapevole le proprie emozioni e quelle degli altri) spiega che quando un comportamento viene ripetuto, l’attività funzionale del cervello legata a quell’azione si modifica, facendola diventare abituale. I neuroni che si attivano insieme più volte, si legano tra loro e si «accendono» reciprocamente anche in seguito. «Continuando a lamentarsi si programma il cervello in modo da renderlo più propenso alla lagna. Col tempo, è più facile sentirsi negativi. Il lamento diventa un comportamento predefinito, che cambia anche il modo in cui si percepisce la realtà. Una ricerca dell’Università di Standford ha dimostrato che lamentarsi fa restringere l’ippocampo, l’area del cervello fondamentale per risolvere i problemi e avere idee intelligenti. Inoltre ci sono conseguenze fisiche: i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress, aumentano, portando il corpo nello stato del “combatti o fuggi”, la risposta naturale di protezione agli eventi percepiti come minacce o pericoli, che tra gli effetti ha l’aumento della pressione sanguigna». Il rilascio di cortisolo, inoltre, inibisce i processi dello sviluppo e la funzionalità degli apparati digestivo e riproduttivo, oltre ad alterare le risposte del sistema immunitario.
Le persone che si lamentano condizionano negativamente anche gli altri. «È una questione di neuroni specchio, che ci permettono di interpretare le emozioni altrui e che, contemporaneamente, ce le fanno provare. I nostri atteggiamenti influenzano quelli delle altre persone e viceversa» spiega Carolina Traverso, psicologa e psicoterapeuta, insegnante di mindulfness che ha appena pubblicato il libro Mente calma, cuore aperto. Un potente kit antistress per fare pace con i tuoi pensieri.
«Ad esempio, se entro in una stanza dove c’è altra gente e sono gioiosa, è più probabile che le altre persone abbiamo una risposta positiva nei miei confronti. Ed è vero anche il contrario. Pensiamo a quegli uffici dove sono tutti scontrosi e recriminano in continuazione: sarà difficile, se trascorriamo lì molte ore, restare “immuni”. Quando si ha a che fare con dei lamentosi, ci vuole molto equilibrio, per cercare di non lamentarci a nostra volta, magari proprio di loro, facendoci così “contagiare”. Può essere utile, in queste situazioni, fare tre respiri profondi e chiederci a cosa davvero vogliamo prestare attenzione. Ricordiamoci che le nostre risorse cognitive sono limitate: se le impieghiamo in pensieri negativi, poi ce ne restano poche per i ragionamenti costruttivi».
Il problema dei lamentosi cronici è che difficilmente riescono a rendersi conto dell’impatto del loro atteggiamento. «Sicuramente esiste una lamentela costruttiva, se è limitata nel tempo e legata a eventi particolari. Chi si lagna in continuazione, invece, non capisce che il suo disagio dipende non solo dagli eventi esterni, ma anche dal modo in cui si relaziona con la realtà. Faccio un esempio: se passo le notti insonne perché sono arrabbiata, sarebbe utile riflettere sul fatto che il problema è anche mio, perché magari sto dando troppa importanza a qualcosa, concentrandomi in modo eccessivo su quello che secondo me non va. Ci sono due rimedi, quando si cade nella spirale della recriminazione. Il primo è allenarsi a lasciare andare, cioè a considerare i pensieri e i giudizi non come verità assolute, ma come qualcosa di passeggero. Un buon allenamento per questo atteggiamento è rappresentato dalla mindfulness, dalla meditazione e da altre pratiche di consapevolezza. Il secondo rimedio è porre l’attenzione su quello che funziona. Così, con il tempo, la nostra mente diventerà predisposta a notare gli aspetti positivi delle situazioni. Vedere quello che c’è di buono non vuol dire negare i problemi, ma avere uno sguardo più ampio, vuole dire anche assumersi la responsabilità della propria vita».
Alla lamentela continua ha dichiarato guerra Will Bowen, personaggio sui generis che è stato intervistato da diverse testate americane come Fox News, «The Wall Street Journal», «Newsweek», «People», autore del libro bestseller Io non mi lamento (A Complaint Free World). Sul suo sito www.willbowen.com si può leggere nel dettaglio la sfida che ha lanciato anni fa e che continua a portare avanti. Obiettivo: riuscire a stare 21 giorni senza lamentarsi. Se si sgarra, si deve ricominciare daccapo.
Impresa per niente facile, come ha raccontato lo scorso agosto Michael Dawson sul «Guardian». In una cronistoria semiseria, spiega tutti gli automatismi che attuiamo quotidianamente, dall’insofferenza verso chi ci è antipatico, all’odio per la politica e la burocrazia, allo sfogo infinito che troviamo sui social network, dove la lamentela sembra regnare sovrana. «Dopo questi 21 giorni – spiega Dawson – la mia capacità di concentrazione è migliorata e mi sento più calmo. Probabilmente, comunque, il beneficio maggiore è che ho acquisito più controllo. Si può pensare di avere già un buon livello di controllo, ma come è successo a me, si può fare di meglio. Chi proverà a smettere di lamentarsi, capirà quello che intendo».