Quando parliamo di divulgazione scientifica pensiamo di avere a che fare con un tema a parte, un argomento ben circoscritto nel quale e dal quale possiamo entrare ed uscire quando vogliamo: gli esperti conoscono e noi, dopo la divulgazione, sappiamo. In parte è proprio così ma, vista da vicino, la divulgazione, opportunamente ridefinita, ci coinvolge molto di più durante l’intero arco della vita e della stessa quotidianità. Il fatto è che, soprattutto nelle società contemporanee così caratterizzate da posizioni professionali specialistiche o almeno qualificate, tutto ciò che costituisce conoscenza per gli uni consiste in ignoranza per gli altri.
Tuttavia, degli altri abbiamo permanente bisogno e, quindi, ci rivolgiamo a loro per sapere, di volta in volta, cosa sta accadendo nell’atmosfera, come è fatto un atomo, cosa è una pandemia oppure, sul piano pratico, come fare e perché al fine di aggiustare provvisoriamente un impianto elettrico, ripristinare il funzionamento di una vettura e così via. Nonostante le consuete vedute assai diverse fra i filosofi, va riconosciuto che un concetto in fondo assai semplice, la rappresentazione mentale di cui, fra gli altri, Jean Piaget è stato maestro, è decisamente centrale in tutto questo. Nella nostra mente – meglio sarebbe limitarci a dire «nel nostro cervello» – c’è un mondo dinamico di rappresentazioni – spesso assimilabili a vere e proprie immagini – che ci consentono di ricordare oggetti e situazioni i più diversi esperiti in passato e capaci di orientarci nel prendere decisioni e agire. Ma le rappresentazioni più interessanti, in special modo per quanto riguarda la divulgazione, non riguardano esperienze passate bensì «situazioni potenziali» attuali o future.
Prendiamo l’esempio dello scorrere dell’elettricità in un cavo elettrico e la sua classica descrizione divulgativa che lo dipinge come un flusso d’acqua all’interno di un tubo. Poiché nessuno di noi possiede un’immagine mentale della corrente elettrica che derivi da un fatto fisicamente sensibile – come sarebbe possibile, invece, per la luce o il magnetismo di cui constatiamo facilmente l’esistenza e il comportamento – ci aggrappiamo all’immagine del tubo in cui scorre l’acqua. Ma le cose non stanno esattamente così, perché, come detto sopra, la riparazione di un cavo elettrico interrotto è ben diversa dalla riparazione di un tubo che si spezzi, proprio perché la corrente elettrica non è un liquido. In queste circostanze, insomma, scopriamo che la realtà con cui abbiamo a che fare è quanto meno a due livelli, fra i quali quello divulgato è sì una semplificazione del primo, ma rischiosa e comunque non certamente utile per arricchire la sua conoscenza.
Ciò vale anche per le analogie e gli esempi che, non di rado, forniscono un pessimo servizio alla diffusione della conoscenza scientifica anche nelle scienze sociali. Si veda il caso del debito sovrano degli Stati, quasi sempre proposto nella chiave della buona amministrazione familiare. Una rappresentazione che induce a prendere posizioni che potremmo definire micro-razionali a fronte delle solenni distanze che sussistono fra la contabilità di una famiglia e quella di uno Stato, prima fra tutte la possibilità esclusiva, da parte di quest’ultimo, di battere moneta e, per di più, di disporre di forze dell’ordine in grado di reprimere eventuali deviazioni dalle norme finanziarie.
Le due realtà, quella indagata e in parte conosciuta dagli scienziati e quella rappresentata nel nostro cervello, non competono fra loro, ovviamente, ma non sono nemmeno di facile integrazione. Quando lo sono, il risultato assume uno splendore che non è difficile definire entusiasmante. Il grande fisico Niels Bohr nel 1913, dopo il lavoro di Rutherford e altri, propone un modello di atomo dalle caratteristiche genericamente simili ad un piccolo sistema solare, consentendo così tutta una serie di nuove deduzioni e ipotesi di fisica quantistica. Ora, è evidente che una simile rappresentazione mentale non è difficile da riprodurre nel nostro cervello, anche perché esso ha già, fra le proprie «riserve» rappresentazionali, ben sedimentate immagini scolastiche del sistema solare. Il vero aspetto sconcertante risiede, semmai, in ciò che è avvenuto all’interno del cervello di Bohr, al quale nessuno, fra i non scienziati, aveva chiesto di entrare in possesso di un’immagine ispirata ad una plausibilità quasi quotidiana di un atomo. Qualche anno fa mi è capitato di cenare, a Urbino, con il filosofo Daniel Dennett il quale è noto per sostenere che, nel cervello, non esisterebbe alcun «punto centrale» in cui emerga la coscienza e si formi il pensiero. Tutto avverrebbe simultaneamente, in parallelo, senza alcuna sede privilegiata in cui avvengano rappresentazioni. La creazione di Bohr rimarrebbe così un evento privo di origine, quasi casuale. In realtà si è trattato di un originale e ben integrato ricorso all’analogia che ha portato ad una preziosa forma, potremmo dire, di auto-divulgazione.
Purtroppo c’è però da aggiungere, per completare il quadro sintetico che stiamo proponendo, che esiste tutto un mondo fatto di conoscenze che si pongono al di là di ogni possibile divulgazione. Dico «purtroppo» non tanto perché si tratti, sempre e necessariamente, di conoscenze strategiche ma perché si tratta, almeno in alcuni casi, di conoscenze capaci dare senso pieno alla nostra esistenza. Si pensi alla matematica: come si possono divulgare il concetto di equazione differenziale o quello di integrale? Si passi poi ad una disciplina apparentemente chiara e semplice da almeno tre secoli, la metodologia galileiana della scienza. Ma, anche qui, come fare a divulgare correttamente il concetto, poniamo, di «causa»? Noi vediamo in giro cose ed eventi, non «cause».
Una grossa differenza sussiste poi fra la divulgabilità di taluni aspetti delle scienze nelle loro versioni macroscopiche (in geologia, fisiologia, astronomia, botanica, ecc.) e nelle loro versioni strutturali microscopiche perché il rischio di rappresentazioni del micro attraverso le categorie, quasi sempre incompatibili, del macro è sempre in agguato. C’è infine la filosofia, antica madre di tutte le vicende conoscitive dell’uomo. Essa include forse l’insieme di conoscenze più impermeabili ad ogni tentativo di divulgazione perché tocca, o pretende di toccare, il fondo della realtà e non può che far ricorso a concetti, a partire dall’essere per passare all’assoluto e agli altri temi metafisici, decisamente intrattabili attraverso ordinarie rappresentazioni.