Cinquant’anni dalla conquista del voto alle donne, cinquant’anni di sport femminile svizzero raccontato da trenta atlete fuoriclasse che hanno scritto la storia dello sport nazionale in diciotto discipline diverse. Dallo sci, al dressage, al tennis, al triathlon, al canottaggio fino all’atletica in carrozzina. L’idea è che ciascuna di queste esperienze possa essere d’esempio per le giovani generazioni, possa insegnare che con l’impegno, la disciplina e la forza di volontà i traguardi possono essere raggiunti e dai fallimenti si può risorgere. Poi naturalmente è inutile farsi illusioni, il mondo dello sport resta marcatamente maschile con i riflettori puntati sulle solite discipline e i pochi, noti atleti. I media e il pubblico seguono poco gli sport femminili e il piatto delle sponsorizzazioni è più povero. Fatta eccezione per il tennis e lo sci anche la disparità salariale è notevole. Un esempio pratico: secondo un articolo della «NZZ am Sonntag» il guadagno complessivo annuale delle 1700 migliori calciatrici al mondo non raggiunge quello del calciatore brasiliano Neymar. Nonostante gli ostacoli però le donne sono capaci di imprese eccezionali e l’immagine in copertina di Nicola Spirig, triatleta olimpica, la dice lunga. Ben venga dunque il libro Frauenpower uscito per l’editore Kebisch, per ora disponibile solo in tedesco, che ha anche il merito di ricordare alle giovani stelle di oggi che le loro opportunità sono il frutto delle pioniere di ieri. Ne parliamo con Marco Keller, giornalista sportivo del «Tages-Anzeiger», coautore insieme ai colleghi Monica Schneider e Peter M. Birrer.
Marco Keller, il libro esce per i 50 anni del diritto di voto alle donne, quale atleta migliore per iniziare a raccontarlo se non Marie-Thérèse Nadig, campionessa olimpica di sci a Sapporo nel 1972, l’anno in cui la Svizzera per la prima volta si presentò con una delegazione femminile. Mi pare che le sciatrici in questo libro siano in maggioranza.
Lo sci è sempre stato uno dei nostri sport nazionali e in quell’epoca, dagli anni 70 fino agli anni 90, le donne hanno vinto tantissimo. Basti pensare alla Figini, alla Hess o alla Schneider, eravamo una nazione di sci. Michela Figini l’ho intervistata a Prato Leventina, nella sua casa natia. Una donna molto positiva e coraggiosa capace di sfidare discese troppo ardite anche per gli uomini.
La Nadig ci racconta come ai suoi tempi nello sport non si guadagnasse granché mentre oggi il denaro ha assunto una tale importanza da mettere in secondo piano lo sport. Cosa ne pensa?
È così. Martina Hingis, prima stella dello sport svizzero a livello mondiale, quando vinse gli US Open portò a casa un milione di euro. Oggi chi vince gli US Open ne guadagna almeno tre volte tanto. Eppure non le importa, non avrebbe voluto gareggiare in tempi diversi dai suoi solo per guadagnare di più.
Resta il fatto che le atlete guadagnano meno dei colleghi uomini?
Se guardiamo l’hockey e il calcio non c’è paragone tra i compensi degli uomini e delle donne. A questo si aggiunge che lo sport femminile si è professionalizzato più tardi. Ma proprio qui risiede il valore aggiunto del nostro lavoro. Mostrare, nonostante le difficoltà, quanti traguardi si possono raggiungere. Mostrare quanto è stato fatto dalle pioniere, raccontare i percorsi difficili di atlete come la calciatrice Lara Dickenmann o la ginnasta Giulia Steingruber perché possano essere d’ispirazione.
Proprio la Steingruber, prima donna svizzera a vincere una medaglia d’oro europea individuale, rientrata da un lungo infortunio si è sentita chiedere da un giornalista se non ci si possa più aspettare risultati migliori…
Anche per Martina Hingis, numero uno del mondo a 16 anni, il rapporto con i media non è sempre stato facile. Lei stessa ammette che oggi molte cose le formulerebbe in maniera diversa. Molti giornalisti pensano ai click e parlano sempre degli stessi atleti a tal punto – pensiamo ai calciatori – che non resta più nulla da dire.
Si parla anche di sport paralimpico, quanta attenzione c’è in Svizzera?
Edith Wolf racconta entusiasta dei giochi Olimpici di Londra 2012 e dello stadio pieno. L’emozione di gareggiare davanti a 80’000 persone ed essere considerate delle vere atlete. Nazioni come la Gran Bretagna vivono lo sport più intensamente della Svizzera. Avere nel libro la Wolf e la Schaer, mi ha fatto felice, le atlete paralimpiche sono delle vincitrici in partenza.
C’è chi a causa del Covid ha perso il proprio compagno, chi come la dressagista Christine Stueckelberger, ancora in sella a 74 anni, si è dovuta reinventare. In che modo il Covid ha cambiato la vita delle atlete?
Abbiamo cercato di non mettere troppo l’accento ma è stato onnipresente. L’incontro con Erika Hess è stato molto intenso, è stata il mio idolo di gioventù. Quando ad un certo punto ha accennato al marito scomparso non ho potuto non chiederle. Le sono scese le lacrime ma è stata contenta di poterne parlare, alla fine mi ha ringraziato. Giulia Steingruber aveva pianificato di ritirarsi dopo le Olimpiadi di Tokyo, dunque nel 2020, e ha dovuto rinviare i suoi piani riorganizzando gli allenamenti, la ricerca degli sponsor… Il momento è difficile, bisogna adattarsi.
Pensando all’adrenalina che muove le atlete, qual è l’adrenalina del giornalista sportivo?
Oggi tutto va verso la digitalizzazione, nei quotidiani si lavora a ritmi più rapidi e nell’online ci si concentra sui click da raggiungere. Personalmente preferisco lavorare su tematiche di più ampio respiro con la possibilità di approfondire e guardare più lontano. È una delle ragioni per cui è nato questo libro, abituato al mondo del tennis e dell’hockey, mi ha affascinato raccontare diverse discipline sportive.
Le carriere sportive finiscono presto. Gli atleti spesso diventano allenatori, succede anche alle donne?
No, pochissime donne restano. Tante per scelta perché dopo la loro carriera scelgono di diventare madri. Altre perché non c’è posto per loro. In altri paesi come gli Stati Uniti in termini di parità e inclusione sono molto più avanti rispetto alla Svizzera.
C’è Florence Schelling, una carriera nell’hockey su ghiaccio, ora alla guida dell’SC Berna. Prima direttrice sportiva al mondo di una squadra maschile di professionisti. Non male, mi sembra…
È un passo avanti ma le critiche sono state enormi: è capace di farlo? Si sono chiesti in molti. Non sarebbe mai successo con un uomo.
Prima di iniziare l’intervista mi diceva che le vendite online del libro stanno andando bene?
Ora si trova anche nelle librerie. Tanti gli ordini che stanno arrivando, per il settanta per cento da parte delle donne. Un bel risultato, bisognerebbe però che lo leggessero anche gli uomini.