In principio fu «l’Oca». Così chiamavano i locarnesi «l’Eco di Locarno», settimanale che più precario non si poteva immaginare. L’aveva fondato nel 1935 il tipografo Vito Carminati dopo la chiusura de «Il cittadino», quotidiano che un’anima del partito radicale aveva tenuto in vita sei anni. Un altro quotidiano Locarno non l’avrebbe avuto mai più, neanche quando l’«Eco» – diretto successivamente dal genero del Carminati: Raimondo Rezzonico, e poi dal figlio di Raimondo, Giò – arrivò a sfiorare le undicimila copie di tiratura. L’«Eco» era un treno lanciato a tutta velocità quando, all’inizio degli anni Novanta, scoppiò la crisi della stampa cantonale. Chiusa la breve parentesi del «Quotidiano», che tra il 1987 e il 1989 aveva portato a sette il numero dei giornali pubblicati ogni giorno nel cantone (!), esangui gli organi di partito, chi sarebbe sopravvissuto? L’idea di dotare anche la terza città del Cantone di un quotidiano seduceva l’immaginazione, ma la scelta fu un’altra: l’«Eco» si sarebbe fuso con «Il Dovere», che si stampava a Bellinzona, edito da Giacomo Salvioni. Sarebbe stato lanciato un quotidiano nuovo per tutto il Ticino, con inserti e redazioni distinti: Locarno, Bellinzona, Lugano, Mendrisio e Nazionale. Nacque «laRegione», anno 1992. Ma la collaborazione durò meno di un anno, minata dall’eccesso di ambizioni e da una crisi di convivenza tra le due équipe redazionali. Salvioni proseguì da solo, pagò il dovuto ai locarnesi, Giò Rezzonico rimase senza giornali e i suoi giornalisti senza impiego.
Spazio per nuovi quotidiani non ce n’era più. Ma Giuliano Bignasca una soluzione l’aveva trovata, seminando di verdi cassette metalliche gli angoli delle strade e l’esterno dei luoghi di convegno o di passaggio, le stazioni, le chiese. Da quelle cassette «Il Mattino» si poteva prendere gratis, a finanziarlo sarebbe bastata la pubblicità. Un modello? Sì. Anche «il Caffè», per quattro anni, dal 1994 al 1998, uscì il giovedì. Con quale programma editoriale? Il settimanale sarebbe stato alternativo a tutti i poteri, contando sul giornalismo d’inchiesta e di denuncia. Non dice la Corte Europea di Strasburgo che i giornalisti sono «i cani da guardia della democrazia»? Proprio questo, del resto, era stato l’obiettivo di una parte della redazione del vecchio «Eco», capofila della quale si era profilato un giornalista sulla trentina, nato in Sicilia ma con esperienze a «La Stampa» e al «Giorno»: Lillo Alaimo, approdato all’«Eco» nel 1982. La sua propensione per l’inchiesta, con una forte inclinazione verso il giornalismo-spettacolo, piacque a Giò Rezzonico, ma non a tutta la redazione. Il confronto interno rimase sospeso finché l’«Eco di Locarno» stette in vita, ma tornò a manifestarsi durante la breve convivenza con gli ex del «Dovere» e quando il matrimonio Salvioni-Rezzonico si sciolse la frazione movimentista risultò definitivamente perdente. E senza lavoro.
Apro una parentesi per rilevare che quel confronto interno era tutt’altro che banale o strumentale. Anche in Ticino il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle redazioni e alla radiotelevisione, dagli anni Sessanta innanzi, dava ormai ai giornalisti la possibilità di approfondire i temi politici e sociali d’attualità: alcuni orientati piuttosto alla funzione del «cane da guardia», altri a decostruire e ricostruire le situazioni problematiche affioranti nella società. Alla coppia simbiotica Manfrini-Baggi della TSI va riconosciuto di aver aperto il sentiero, ma altri colleghi li avrebbero seguiti (e magari andrebbero segnalati: ma devo evitare omissioni spiacevoli), Lillo Alaimo tra i primi.
Del «Caffè» si ricordano oggi campagne di stampa su cui si accumulavano le querele penali: durate mesi, domenica dopo domenica. Il caso più sensazionale fu quello di Franco Verda, il giudice poi condannato e destituito per aver favorito il soggiorno illegale di un celebre mafioso; più recente il vittorioso confronto con la clinica Sant’Anna di Sorengo, per un’operazione mal riuscita ma tenuta nascosta alla paziente. Non è un giornalismo destinato a piacere a tutti, e il cattivo gusto fa parte del rischio. La notizia del suicidio del giovane Mantegazza procurò al «Caffè» una deplorazione del Consiglio svizzero della stampa. Altri casi si potrebbero citare. La gente ama l’indiscrezione e il pettegolezzo… purché non le entrino in casa. Al «Lillo dell’Eco» e al suo editore il ruolo dev’essere costato comunque qualche notte insonne e un tanto di isolamento sociale.
Decisiva per l’affermazione del «Caffè» fu una circostanza, finalmente, fortunata. Nell’estate del 1998 «il Mattino» pagava con un forte calo della pubblicità articoli pubblicati che sfioravano l’antisemitismo (era il tempo delle polemiche sulla questione degli averi ebraici depositati in Svizzera durante la seconda guerra mondiale). Gli editori Rezzonico e Ringier – la casa editrice del «Blick» – furono pronti a subentrare nel favore dei grandi distributori (Migros, Coop, Manor…) e di GastroTicino che già da qualche anno aveva trovato nel «Caffè» un veicolo per le sue promozioni. L’uscita del «Caffè» fu spostata alla domenica.
La crisi della pubblicità che ha investito a partire dal Duemila tutti i giornali (due terzi in meno di entrate pubblicitarie) e la mancanza di qualsiasi sostegno pubblico (la Confederazione aiuta a pagare le fatture della Posta per la consegna dei giornali, non a chi lascia le copie gratis nelle cassette…) ha messo in difficoltà i giornali sprovvisti di una diversa protezione alle spalle. E in particolare i gratuiti, che non possono contare sul canone pagato dagli abbonati. Ringier si ritira, Rezzonico vive da almeno cinque anni sull’orlo del precipizio. È a quel punto che il «Corriere del Ticino» si è offerto di dare una mano. Il giornale luganese deve la sua solidità all’avere investito in modo intelligente i proventi della pubblicità negli anni buoni. Ora dal Centro Stampa di Bioggio escono tutti o quasi i prodotti giornalistici del Cantone: anche «laRegione» e il foglio che state leggendo. I quattro giornalisti ancora attivi nella redazione del «Caffè» si trasferiranno dunque a Lugano, alcuni della redazione sportiva del «Corriere» aiuteranno a creare una rubrica che «il Caffè» non aveva: «la Domenica» (come si chiamerà il nuovo giornale) potrà dar conto dello sport del sabato, precedendo i quotidiani del lunedì.
Direttore sarà lo stesso direttore del «Corriere del Ticino»: Paride Pelli, al quale bisogna augurare una transizione meno ingarbugliata di quella che lo impegna al «Corriere del Ticino», ove l’eccesso di localismo ha lasciato in sospeso problemi di ruoli, di impaginazione e di foliazione. Fare «la Domenica» dovrebbe essere più facile, il terreno è libero. Anche la proprietà della «TessinerZeitung», il trisettimanale in lingua tedesca prodotto dai Rezzonico, verrà assunta dal «Corriere del Ticino», ma la redazione continuerà a funzionare a Locarno.
Da giornali che si chiudono non si può più sperare niente, da giornali che si aprono è lecito e doveroso sperare il meglio. Perciò gli auguri da rivolgere a «la Domenica» sono sinceri, come il saluto a Lillo Alaimo, a Clemente Mazzetta e al loro generoso editore.