A inizio maggio di quest’anno le autorità dei Paesi Bassi hanno annunciato di poter ritenere che un visone avesse trasmesso il coronavirus a un dipendente del suo allevamento, prendendo posizione in un comunicato che sottolinea le evidenze, nelle analisi condotte, di forti analogie tra virus e il dipendente. Nello specifico: sulla base di questo confronto, e della posizione di quella forma del virus nell’albero genealogico, i ricercatori hanno concluso che è probabile che un membro dello staff di questa fattoria infetta sia stato contagiato dai visoni.
Non è stato un caso isolato perché il ministro dell’Agricoltura nazionale Carola Schouten ha confermato un contagio analogo in un altro allevamento. Notizia puntualizzata pure dalla portavoce dello stesso ministero, Lisa Gaster: «Sono almeno tre le fattorie della parte meridionale del Paese nelle quali i visoni sono risultati positivi al coronavirus». Oggi si sa che l’operatore dell’allevamento che aveva contratto il virus è guarito, ma nel frattempo le autorità olandesi hanno messo in atto nuove misure in materia di salute e sicurezza: è di giugno la decisione dell’Olanda di abbattere circa diecimila visoni dopo aver respinto l’appello delle organizzazioni ambientaliste a tornare sui propri passi, proprio perché «sono stati individuati due possibili casi di trasmissione del virus Sars-CoV-2 dagli animali all’uomo». Il condizionale per rapporto alla linea di trasmissione è d’obbligo.
A luglio in Spagna si è verificata una storia analoga: l’87 percento dei visoni testati in una fattoria di Saragozza è pure risultato positivo al tampone di Covid-19. In questo caso, le autorità spagnole hanno così spiegato il contagio: «L’epidemia tra gli animali è stata scoperta dopo che la moglie di uno dei dipendenti dell’azienda agricola ha contratto il Covid-19 a fine maggio; in seguito ai test sono emersi altri sei casi di positività tra i lavoratori agricoli». Isolati, monitorati e testati i visoni, l’alto numero degli esemplari contagiati ha fatto propendere le autorità sanitarie per l’abbattimento di tutti gli animali presenti e per il risarcimento dell’azienda colpita.
Tutto questo ha però fatto riaccendere il dibattito sull’eventuale trasmissibilità tra uomo e animale e viceversa, innescando l’annoso dubbio della direzione della catena di trasmissione di un virus del quale l’unica certezza, ancora oggi, è quella di non conoscerlo abbastanza per poter giungere a conclusioni certe. A questo proposito, dobbiamo rifarci alle indicazioni dell’OMS che ad aprile affermava, per voce della responsabile dell’unità malattie emergenti e zoonosi Maria Van Kerkhove: «Al momento non crediamo che gli animali domestici abbiano un ruolo nella trasmissione del coronavirus, ma pensiamo che possano essere infettati dai loro proprietari».
Maria Van Kerkhove ha comunque ricordato che «ci sono gruppi di ricercatori che stanno continuando a indagare sui contagi tra gli animali domestici». Animali definiti «vittime come noi» dal capo del Programma di emergenza sanitaria dell’OMS Mike Ryan: «Per questo devono essere trattati con cura e gentilezza e non devono essere abbandonati». Aprendo una parentesi sugli animali domestici, è doveroso ricordare che non esistono dunque prove sufficienti per dire che cani e gatti possano essere infettati.
Quando parliamo dei visoni olandesi e spagnoli ci riferiamo ad animali selvatici per i quali il Governo olandese ha dichiarato plausibile (ma non certo) il fatto che un visone avesse passato il virus a un lavoratore agricolo. A questo proposito, anche la BBC ha ribadito l’incertezza degli scienziati sulla linea di trasmissione: «Non si è nemmeno certi se siano stati i visoni a trasmettere il virus ai lavoratori o se il tutto si sia svolto in maniera contraria».
Ad ogni modo, la preoccupazione degli scienziati per rapporto agli animali selvatici è reale e lanciano l’allarme: «Se il virus dovesse infiltrarsi nella fauna selvatica potrebbe passare inosservato e rivelarsi catastrofico per diversi animali in via d’estinzione come gorilla e scimpanzé». Per contro, anche a Hong Kong si giunge a conclusioni diverse per quanto accade ai nostri animali domestici ed è vero che, anche secondo le autorità cinesi, l’uomo può infettare il cane, con conseguente emanazione di un avvertimento alla prudenza e un invito a non baciare gli animali domestici. Ma è pure vero che sempre in Cina si è ripetutamente testato un cane di razza pomerana che è risultato solo «debolmente positivo». Allora, l’invito alla popolazione è stato quello di non lasciarsi prendere dal panico e non abbandonare gli animali domestici.
Dal canto suo, l’Oms aveva pure indagato sul caso per determinare se il cane fosse effettivamente infetto o se si trattasse di un falso positivo determinato da un campione contaminato, rimanendo sempre del parere che «non esistono prove sufficienti per affermare che cani e gatti possano essere infettati da coronavirus». Allora, sebbene l’Oms sia rassicurante sul fatto che si possa considerare molto esiguo il rischio che gli animali domestici svolgano un ruolo importante nella trasmissione del coronavirus, è pur vero che c’è di che riflettere sulle ricadute tra gli animali selvatici.