Bibliografia
Richard Mabey, Il più grande spettacolo del mondo. Botanica e immaginazione, Ponte alle Grazie, 375 pagg, 23 euro.


Che cos’è la realtà?

Il seme nel cassetto - Secondo Richard Mabey, nature writer, il nostro rapporto con le piante smaschera le nostre concezioni sul mondo
/ 12.02.2018
di Laura Di Corcia

È incredibile come la constatazione di quanto sia limitato lo spettro delle nostre percezioni sia in grado di lasciarci ammutoliti e di farci percepire il resto del mondo come un contenitore slabbrato e composto di una materia gelatinosa, sempre pronta a sfuggirci di mano. Che cos’è la realtà? Che cos’è, se i nostri sensi ci permettono di vederne solo una porzione, e se probabilmente anche quel piccolo lacerto è deformato, sfuocato, impreciso? 

Ricordo che una lezione di fisica al Liceo (materia da me aborrita, insieme a tutto quel che riguarda il calcolo e le scienze esatte) fu una delle prime agnizioni in questo senso: non possiamo vedere tutti i colori e non abbiamo nemmeno la certezza che quello che noi chiamiamo rosso corrisponda alla medesima percezione sensoriale che gli altri hanno di quella determinata lunghezza d’onda. 

Leggendo il denso volume di uno dei più colti nature writer inglesi, Il più grande spettacolo del mondo. Botanica e immaginazione di Richard Mabey, ho rivissuto quei momenti liceali, nell’apprendere che anche l’universo olfattivo, l’insieme degli odori che riusciamo a percepire, corrisponde a una piccola porzione di quello che veramente esiste nella realtà che ci circonda. Tutto è limitato, mediato dai nostri limiti, quei confini che vivisezionano la realtà permettendoci di accedere a una parte di essa, giacché la totalità non è assimilabile. Ma questo perimetro non è stabilito solo dai nostri sensi. 

Anche la cultura influisce e determina il modo in cui accediamo alle cose, agli oggetti che formano il nostro contesto, ed è su questo aspetto che poggia il ricco e proteiforme saggio. Con una prosa lussuosa, Mabey ci conduce lungo un viaggio che racconta il rapporto fra cultura e piante. Come mai sulle pareti delle grotte di Lascaux compaiono solo animali? Perché i nostri antenati trovavano negli animali una maggiore somiglianza biologica, ravvisata nel ciclo di nascita-crescita-morte. Le piante iniziano a popolare l’immaginario iconico più tardi e associate non tanto alle stagioni dell’organismo, quanto ai nostri schemi mentali, che si degeminano e prendono percorsi autonomi come gli alberi. Alberi che fondano la nostra idea di genealogia, come il famoso albero della vita nella Genesi. 

Paradossale come lo stesso Darwin, che con le sue idee mise in discussione il nucleo stesso della teologia cristiana, schematizzasse sul proprio taccuino il procedere dell’evoluzione con un albero genealogico non lontano da quello biblico. L’albero è legato al mito della vecchiaia, della continuazione della specie: non è un caso che alberi antichi come le sequoie giganti o il tasso di Fortingall in Scozia siano diventate ormai mete turistiche.

Il nostro rapporto con le piante smaschera le nostre concezioni sul mondo: la fiducia nelle piante medicinali, per esempio, è fondata su un’idea benevola di creazione. Se è vero che alla cacciata dal Paradiso seguono tribolazioni e dolori, è anche vero che nella natura esiste un rimedio, una panacea al male. Basta saper leggere fra le righe (non ci hanno provato per secoli gli alchimisti?). Tutto è legato, tutto ha un corrispettivo in questo universo dove l’ente è separato dal resto solo se lo guardiamo con occhi superficiali e approssimativi; e se il razionalismo freddo e illuminista voleva classificare da un punto di vista scientifico le piante, i romantici reagirono sostenendo che la bellezza ha senso di per sé, che il seme diventa fiore al solo scopo di mostrare il fine estetico che sta alla base del creato. 

Le piante in epoca vittoriana diventano capriccio e status symbol. Mabey ci conduce in un viaggio che ci fa capire più cose di noi stessi che dell’oggetto in questione. Lo spettacolo vegetale, il più grande del mondo come recita il titolo, rimane sullo sfondo, dietro la lastra di vetro creata dai nostri sensi e dalla nostra mente. Il concetto di realtà, in fondo, diventa un’endiadi fra noi e le cose.