All’Azienda agricola Bianchi di Arogno, bio non fa semplicemente rima con uno dei molteplici marchi che ormai siamo abituati a riconoscere (non necessariamente a «leggere», vista la vastità degli stessi), ma rappresenta un vero e proprio stile di vita, un approccio alla natura e agli animali che si riverbera in ogni gesto quotidiano. E ciò è chiaro subito quando si entra nella sede, gestita con entusiasmo e attenzione dall’omonima famiglia da molti anni: un cubo di cemento grigio immerso nel verde, quale sede operativa di un’azienda che, grazie all’energia e alle idee dei figli Gabriele e Martino (affiancati dai genitori Marcy e Alberto) si è fatta anche piccolo think tank, nonché base operativa per lo sviluppo di nuovi progetti, sempre legati al territorio, e nuove idee. È infatti intorno al lungo tavolo di legno con una vista mozzafiato su un paesaggio che pare quasi sospeso, lontano com’è dal traffico e dal caos del fondovalle, che Gabriele Bianchi si riunisce con Valentina Acerbis-Steiner, segretaria di Bio Ticino, al fine di elaborare nuove strategie e pianificare eventi inediti. Tutt’intorno, fin dove l’occhio può arrivare, è un alternarsi di piante e animali, menta e mele cotogne, pecore e oche, uno stagno con le ninfee e poi gli ulivi, le galline e le api, il vigneto, i meli e i fiori di campo, in ottemperanza alle norme della biodiversità, a quelle scelte ambientali che favoriscono una crescita armoniosa e a ritmi umani.
Spiega Valentina Acerbis-Steiner, «Il biologico sta attraversando un trend di forte crescita: a livello nazionale in dieci anni siamo passati da 6120 aziende biologiche a 7900 nel 2022. Nel nostro piccolo Ticino quasi un quarto delle aziende agricole (23.3%) ticinesi produce biologico, situandosi al quinto posto della classifica nazionale di percentuale di aziende bio. I marchi bio presenti sul mercato sono molti, ma Biogemma è il marchio più biologico, perché sta per un’idea di sostenibilità a 360° gradi. In altre parole, se un prodotto è biologico, allora tutto deve esserlo. Faccio un esempio: se si ha una viticoltura biologica, come questa dell’Azienda Bianchi, occorre nutrire anche le oche con cibo biologico, affinché il loro concime sia per così dire anch’esso “pulito”. È necessario rispettare il concetto di ciclo chiuso».
È un mondo in continua evoluzione quello dell’agricoltura, sottolinea Gabriele Bianchi, da una parte per la meteo (che proprio qui si è fatta sentire violentemente all’inizio di giugno con una grandinata che sulla natura ha avuto l’effetto di un piccolo tornado), dall’altra per tutte le pratiche tecnologiche che nascono giorno dopo giorno.
Valentina Acerbis-Steiner, dalle statistiche scopriamo che in Svizzera ben il 18 % della superficie utile è dedicata all’agricoltura biologica, con valori più alti nelle zone di montagna…
Ciò è dovuto al fatto che di solito le aziende agricole di montagna sono più piccole, e dunque la conversione è meno complessa. Va anche aggiunto che le dimensioni ridotte permettono un adattamento e una reazione più rapidi, e lo vediamo oggi, che siamo confrontati con i vari cambiamenti climatici.
Come funziona la conversione?
Ogni anno in Ticino ci sono circa 6-7 aziende che iniziano la conversione, che dura due anni. I tempi relativamente lunghi sono dati da diversi motivi. Occorre annunciarsi al Cantone, che è anche organizzatore delle due giornate formative, cui se ne aggiungono altre due di formazione continua nel corso della conversione. Noi di Bio Ticino, occupandoci di formazione tecnica, ossia di questioni legate al biologico, ne organizziamo alcune. In tutto sono necessari 16 crediti.
Al lato pratico, per prima cosa si deve lasciare tempo al terreno di smaltire tutti i residui e permettere una ricostituzione, o rigenerazione. Secondariamente l’azienda agricola, rispettivamente gli agricoltori, devono mettere in pratica le nuove direttive e capire fino in fondo la nuova gestione delle attività. Durante questi due anni i prodotti di chi ha intrapreso la conversione, vengono venduti come prodotti Bio Suisse ma con l’aggiunta di una piccola scritta: «in conversione». Al termine di questi due anni ha luogo la certificazione e l’azienda riceve la gemma.
Nello scorso mese di maggio a Landquart è stata ad esempio pianificata una grande giornata sull’allevamento biologico, e noi di Bio Ticino abbiamo organizzato un pullman a costo zero, fornendo accompagnatori bilingue. Questo ha permesso anche ai ticinesi di integrarsi nella giornata che valeva come credito.
In autunno, invece, organizzeremo due incontri qui in Ticino: il 12 ottobre, una giornata dedicata alle erbe aromatiche, e il 9 novembre, una sulla viticultura biologica e le nuove sfide.
Cosa ci vuole per essere considerati azienda agricola?
Per essere considerati un’azienda agricola sono state stabilite delle unità per ettaro o di personale minime, quindi superficie e numero di persone attive.
Come si compone Bio Ticino?
Nell’associazione, per questioni tecniche, sono rappresentati tutti i settori di produzione, cosa che ci permette di rispondere in modo competente alle numerose sollecitazioni che riceviamo. In comitato ci sono 9 persone, oltre a me che gestisco il segretariato. Siamo un gruppo di giovani con un’età media di 35 anni. Fin dalla costituzione dell’associazione – ben 44 anni or sono – si è voluto un gruppo di persone che potesse rappresentare ogni settore di produzione agricola, questo per far fronte alle richieste o alle problematiche di carattere tecnico. Gabriele Bianchi è presidente e specialista nel settore viticoltura e apicoltura. Pascal Mayor, vicepresidente e responsabile di un’azienda di vacche madri (Azienda Agricola Agarta) si occupa di orticoltura e viticoltura nel Locarnese. Ivan Mattei (Azienda agricola Mattei) tiene le mucche scozzesi al piano di Peccia e in estate gestisce l’Alpe Serodano sotto al Poncione di Braga a 2400 mslm. Adrian Feitknecht della Masseria Ramello produce latte bio (e rifornisce anche Migros) ed è attivo nella campicoltura. Chiara Cattaneo gestisce l’orticoltura di famiglia ed è presente settimanalmente nei mercati cantonali. Per il settore caseario e la trasformazione del latte ci sono Luca Ferracin (azienda agricola Grom) con le vacche da latte e Mattia Arnoldi (Azienda agricola Marachiei) per il settore caprino. Abbiamo anche un rappresentante dei trasformatori, ossia Simone Galli di Erbe Ticino, che annovera tra i propri prodotti la tisana di Olivone (realizzata anche con erbe acquistate da Gabriele). Non da ultimo in comitato abbiamo Sibilla Quadri, direttrice del Centro di Competenze agroalimentari Ticino, e rappresentante dei consumatori.
L’associazione Bio Ticino nasce dai consumatori un anno prima della fondazione di Bio Suisse. Fra i suoi capostipiti troviamo Renzo Cattori, che ha portato anche alla nascita di ConProBio.
ConProBio, la Cooperativa Consumatori e Produttori del Biologico, come si integra con Bio Ticino?
ConProBio è una cooperativa a sé stante. Ne fa parte Ivan Mattei, che è anche membro della nostra associazione, e con cui abbiamo dato vita alla realizzazione di piccoli eventi, ma fondamentalmente si gestisce in modo autonomo. In futuro però ci piacerebbe essere un po’ più presenti. ConProBio ha un ruolo molto importante per i piccoli produttori, perché permette loro di smerciare i propri prodotti attraverso un canale facile, diretto e senza intermediari. Molti preferiscono ConProBio perché impossibilitati a dedicarsi alla larga distribuzione, che richiede continuità. A ConProBio il produttore offre di settimana in settimana quello che ha a disposizione, ed essendo il sistema abbastanza snello, ha dei margini diversi rispetto alla grande distribuzione. Oggi ben 15 persone lavorano per ConProBio, e trovo interessante il sistema cooperativa, grazie al quale, quando ci sono degli utili (come durante il periodo Covid), questi vengano ripartiti tra i fornitori e i produttori. Si tratta di un’alternativa importante per i nostri produttori, in cui noi di Bio Ticino crediamo dato che intravvediamo un grande potenziale.
Quali sono gli ambiti in cui è attiva Bio Ticino?
Per prima cosa rappresentiamo i nostri produttori, li sosteniamo, cerchiamo di capire le loro necessità e organizziamo formazioni e tavole rotonde. Cerchiamo di sensibilizzare anche i consumatori promuovendo il biologico locale e il biologico in generale e abbiamo la nostra pagina Instagram, che è attiva e tutto sommato funziona.
Da alcuni anni presentiamo alcuni progetti nelle scuole, in particolare tre. Nel primo, una nostra collaboratrice, membro di comitato, si reca nelle scuole – soprattutto le medie – a fare lezioni di educazione alimentare, illustrando i principi del chilometro zero, e cucinando materialmente con i ragazzi. In questo modo possono rendersi conto che, pur facendo una spesa completamente bio, è comunque possibile stare nel budget. Sempre nelle scuole medie abbiamo un progetto nell’ambito dell’insegnamento delle scienze: prepariamo una lezione ad hoc per aumentare la consapevolezza alimentare nelle nuove generazioni e promuovere un acquisto e un consumo sostenibili.
In collaborazione con SUPSI abbiamo poi implementato «A scuola con B(r)IO», una formazione continua per docenti delle scuole elementari e delle scuole dell’infanzia. I docenti ci portano dei progetti da sviluppare in classe: c’è chi ha sviluppato il mangime per le galline e chi invece si è dedicato alla costruzione di un lombricaio o alla questione della fertilità del suolo. In questo modo alcuni principi dell’agricoltura biologica, come la promozione della biodiversità e l’importanza del suolo, sono stati portati nelle classi e sviluppati.
Non da ultimo vi è la comunicazione PR e quella con i giornalisti. Creiamo costantemente sinergie e collaboriamo con enti e autorità, inoltre siamo sempre alla ricerca di nuovi canali per sostenere i nostri produttori bio e la vendita diretta, coinvolgiamo i trasformatori per trovare nuove filiere.
Si parla spesso di sostenibilità a 360°, come ce la dobbiamo immaginare?
Bio Suisse si centra molto sulla sostenibilità al 100%, ossia sul concetto di ciclo chiuso in azienda. Da un recente studio (Pfiffner L, Balmer O., 2011) che è durato dieci anni è emerso come le aziende agricole biologiche presentino il 30% in più di biodiversità rispetto a quelle non biologiche. I produttori biologici vengono controllati annualmente da un ente esterno e autonomo, che verifica l’ottemperanza alle direttive Bio Suisse. Nell’ambito di questo controllo viene fatta anche la checklist della biodiversità: le misure prese dall’azienda per la promozione della biodiversità riceveranno quindi un punteggio. In questo controllo nulla è lasciato al caso, si valutano l’altezza dell’erba, la presenza di strisce fiorite o di cataste di legno per lo sviluppo di micro-organismi e animaletti, eccetera. La biodiversità può infatti essere promossa in moltissimi modi. Il concetto dei 360° è questo, ci si riferisce a un ciclo chiuso per quanto possibile in azienda: il letame diventa quindi un concime naturale per quei terreni fertili che poi produrranno il foraggio per le mucche, le quali saranno poi vendute, e così via. Un altro aspetto che non va trascurato, a cui Bio Suisse tiene molto, è quello sociale: i salari di chi lavora nell’ambito del biologico devono essere equi. Lo stesso vale per la cura degli animali e per le questioni climatiche: a livello nazionale ci confrontiamo spesso su temi come approvvigionamento energetico e sostenibilità, elaborando insieme delle linee guida.
Gabriele Bianchi mostra lo «scarto» di cera proveniente dagli alveari: le parti riutilizzabili vengono acquistate per la produzione di cera da candele, di cosmesi o dei wrap (tessuti cerati per avvolgere gli alimenti), quelle invece ormai inservibili, finiscono in vigna, dove saranno attaccate dai microrganismi, dai batteri, e rientreranno così a fare parte del terreno.
Fate spesso riferimento a Bio Suisse, la vostra associazione mantello. Come si suddividono i compiti tra di voi?
Il processo del biologico è in costante divenire, sempre in evoluzione. Al momento a Basilea, sede di Bio Suisse, ci sono circa 90 collaboratori, poiché la mole di lavoro aumenta incessantemente. Bio Suisse è l’associazione mantello sotto cui si trovano 26 associazioni membro; queste non sono necessariamente suddivise per cantone, ma anche per settori, per cui troviamo ad esempio i contadini di montagna. Anche il ruolo di segretariato differisce da associazione ad associazione: la segretaria di Bio Grigioni, ad esempio, lavora a metà tempo pur rapportandosi con circa 1200 produttori – quando noi ne abbiamo «solamente» 190 – ma il suo è un lavoro puramente amministrativo. Alcune associazioni sono più attive di altre, o si muovono in modo diverso, ma alla fine l’organo mantello è sempre Bio Suisse, che ci garantisce anche il sostegno ad alcune iniziative che proponiamo. L’ultima in ordine di tempo è stata quella della Rassegna biologica, con 25 ristoranti sparsi per il Canton Ticino che sulla loro carta hanno proposto almeno tre piatti con ingredienti biologici locali per due settimane.
Come avete ribadito anche voi, i marchi legati all’agricoltura biologica sono ormai moltissimi: come possono orientarsi la consumatrice o il consumatore?
Il marchio Bio Suisse garantisce che le direttive seguite, anche nel caso di un prodotto estero, sono quelle svizzere (e le nostre norme sono fra le più severe). Quando sul marchio troviamo la bandierina svizzera, significa che il 90% degli ingredienti all’interno provengono dalla Svizzera; in caso contrario si troverà il logo Bio Gemma senza bandierina svizzera. Dobbiamo comunque sempre fare attenzione a non confondere sostenibile con biologico, poiché si tratta di due ambiti distinti: il primo non implica la presenza del secondo, e viceversa.