Per chi conosce l’Associazione Cultura Popolare di Balerna, la notizia della decisione presa dalla sua Assemblea generale lo scorso 22 settembre è suonata sicuramente come un’inaspettata sorpresa. La chiusura di un sodalizio che da oltre quattro decenni ha accompagnato, stimolato e funto un po’ da punto di riferimento ideale per più di una generazione di utenti, è una triste notizia. Immaginiamo che non siano poche le persone le quali, in un modo o nell’altro, debbano ringraziare l’ACP per aver contribuito alla loro crescita culturale, e umana, in senso ampio: non fosse altro che per aver fatto conoscere loro la possibilità di frequentare una «Libreria per ragazzi», un corso di alimentazione biologica e magari di macrobiotica, per aver offerto loro uno spettacolo teatrale un po’ diverso dal solito, un concerto jazz di grande levatura, o magari solo per il primo assaggio di una pizza con la farina integrale e altri ingredienti biologici, al ristorante La Meridiana.
All’inizio degli anni 80 l’ACP aveva inaugurato un progetto dalle grandi ambizioni. Le possiamo rileggere nell’opuscolo pubblicato per l’occasione, L’ACP si presenta, del luglio di quell’anno: «Apriremo a Balerna, in Corso San Gottardo 102, un centro sociale autogestito. Ciò significa che tutti coloro che sono interessati possono diventare soci dell’ACP e partecipare alla creazione e all’attuazione del centro, alla sua gestione ed al lavoro d’intervento politico-culturale che si andrà programmando. L’Associazione attraverso il centro si propone di creare delle iniziative che permettano ai lavoratori, alle donne, ai giovani di utilizzare positivamente il loro tempo libero (…). La gestione spetta ai partecipanti ed è tesa alla loro responsabilizzazione ed al loro sviluppo critico».
Tornando all’attualità, come reazione all’annuncio di chiusura, abbiamo pensato di chiedere ai membri del comitato direttivo dell’ACP qualche informazione in più sulla decisione presa e di tentare con loro una sorta di consuntivo dell’esperienza. Abbiamo quindi incontrato Rita Beltrami, Renata Filippini, Françoise Gehring, Reto Medici, Rezio Sisini, i quali hanno lavorato per decenni, possiamo proprio dirlo, tra le mura dell’associazione, dedicando da volontari il loro tempo allo sviluppo e al mantenimento di un progetto sicuramente idealista, il cui successo, agli inizi non era per nulla scontato.
L’incontro si è tenuto in un luogo simbolico, la sala che è stata sede della prima Libreria dei ragazzi, l’attività che ha fatto conoscere l’ACP al di fuori dei limiti del comune di Balerna. Ha iniziato il racconto Reto Medici: «ACP è nata in un periodo storico particolare e si è innestata su una storia locale particolare. A Balerna c’era in quell’epoca una discreta presenza di persone attive nella politica d’area socialista, con una forte attenzione ai contenuti progressisti. Oltre a questo esistevano già dei gruppi di donne impegnate politicamente su temi femministi. Proprio una di loro, Nives Riva, è stata la sostenitrice di un’associazione culturale con precise aspirazioni di attività sociale. I contenuti di quella idea erano quelli di una “autogestione socialista” che avrebbe dovuto toccare vari ambiti della vita delle persone, dall’alimentazione alla cultura, dalla politica alla discussione su temi della salute. Vi si affermava l’idea di affrontare temi che legati alla costruzione di una società diversa dalle altre, condivisa, e in questo senso c’è stata qui la possibilità per molte persone di sentirsi accolte e accettate nella propria esigenza di diversità. Non a caso uno dei primi temi che erano stati posti in discussione era quello dell’omosessualità, per cui si era addirittura organizzato una giornata di studio. In quel momento storico il concetto di “società nuova” passava anche attraverso l’idea di vivere un rapporto diverso con l’alimentazione e con i consumi quotidiani. Per questo erano nati da un lato la Meridiana, ristorante e centro di vendita di prodotti biologici e integrali, dall’altro vari corsi di cucina, alimentazione, medicina alternativa. Insomma, detto in poche parole, potremmo dire che l’ACP voleva promuovere su nuove basi la convivenza civile e la vita culturale, offrendo ai suoi utenti un’esperienza di responsabilità, autonomia e autodeterminazione».
Secondo Françoise Gehring l’ACP è stata precorritrice di tendenze che oggi si sono affermate e sono diventate normali nel mondo del consumo e della cultura, in particolare proprio in rapporto al tema dell’alimentazione biologica e alla medicina alternativa. «Oltre a questo, dal mio punto di vista, che è anche quello del politico, l’importanza dell’ACP sta nel modo in cui ha saputo proporre forme di vita associativa e di partecipazione condivisa che sono un’eredità importante e che andrebbe riscoperta anche nella realtà sociale attuale. Mi viene in mente un esempio concreto, a questo proposito, che è quello della Filanda di Mendrisio, la quale, pur partita su basi diverse, sembra avere in qualche modo raccolto questa attenzione per l’attività sociale, per la condivisione».
Rezio Sisini interviene su questo punto: «Proprio Françoise ed io avevamo partecipato alle discussioni tenute in seno al Comune di Mendrisio per il progetto della Filanda, e vi abbiamo portato in qualche modo l’esperienza maturata all’ACP. Per quello che mi riguarda personalmente, posso dire inoltre che proprio qui abbiamo capito tra i primi l’importanza delle nuove tecnologie abbiamo provato a creare una piattaforma web che non fosse solo un sito, ma un luogo di confronto anche per altre istituzioni. Insomma, come associazione siamo stati dinamici e abbiamo saputo seguire i tempi».
Si collega a questo tema Reto Medici: «Per quel che riguarda la decisione di concludere l’attività dell’associazione, anche il fattore tecnologico ha giocato un suo ruolo. Ci siamo resi conto del fatto che le proposte culturali viaggiano oggi su canali nuovi e occorrerebbe utilizzare maggiormente i social media. Un investimento di energie e di competenze che in qualche modo ci supera. Quindi la chiusura porta con sé anche la consapevolezza che sarebbe necessario ripensare in modo profondo al lavoro dell’associazione. Da parte nostra non escludiamo la possibilità di dare ad altri l’opportunità di continuare il lavoro. Un’“ACP 2.0” potrà sempre venire alla luce ma noi, per ora, ci fermiamo qui». Conclude Rita Beltrami: «Bisogna dire che anche la situazione verificatasi dopo il Covid ha ridimensionato la nostra attività. Oltre a questo per noi sono comunque passati molti anni di impegno. Come membri del Comitato siamo tutti pensionati e abbiamo anche in qualche modo voglia di vivere altre esperienze. Non è detto comunque che il bagaglio di competenze accumulato non possa poi portare a qualche nuovo progetto». L’archivio ricco di documentazione e ricordi che si è costituito nel corso di tutti questi anni verrà incamerato dalla Fondazione Pellegrini Canevascini, che del resto ha già pubblicato in uno dei suoi Quaderni una storia dell’ACP curata da Nelly Valsangiacomo.
I membri del comitato hanno scelto una frase emblematica per suggellare la loro esperienza. È una frase di Michele Perriera, tratta da L’avvenire della memoria, e citata da Letizia Battaglia: «Poiché ce ne andremo, lasciamo almeno un buon ricordo. Lasciamo dunque non averi ma pensieri e desideri. Essi sono barche per i nostri discendenti. Se ne rendano conto o no, con essi navigheranno nel grande mare del tempo. Ed è là che noi saremo».