Bivio ore 7.15, metà settembre, cielo terso ma temperatura frizzante. Alissa, sette anni, Antonio e Joel, otto, salgono sull’autopostale, sul piazzale all’entrata del villaggio. Sono diretti a Savognin, 18 km più a nord e 550 metri più in basso. Comincia così la loro giornata di scuola, utilizzando il trasporto pubblico e imparando a spostarsi in autonomia. Dal 20 giugno di quest’anno la scuola di Bivio è definitivamente chiusa. Si è conclusa un’epoca e, simbolicamente, questa chiusura sancisce la morte della lingua italiana in questo piccolo villaggio dei Grigioni, ai piedi dei passi alpini del Giulia e del Settimo, che portano rispettivamente in Engadina e in Bregaglia.
I tre bambini iniziano di primo mattino alle scuole elementari di Savognin le lezioni con la loro maestra di italiano, Maria Pia Signorell-Daguati, poschiavina d’origine, ma ormai radicata in valle, dove insegna da 42 anni. Una docente appassionata che a Bivio ha fatto scuola per 35 anni. «Quando ho iniziato» racconta «eravamo tre maestri, con 70 allievi. Adesso i ragazzi sono 13 in tutto. Gli abitanti allora erano 220, ora 180. Ormai si fanno meno figli, ai tempi c’erano due famiglie con una dozzina di figli ciascuna». Adesso, nell’aula spaziosa, gli allievi biviani delle elementari sono solo tre, che seguono quattro ore settimanali di italiano. Una scuola ideale: stanno preparando un racconto sulle «cose belle del mare», «il mare ha milioni di cose belle» e al suono della campanella, si dedicano ai giochi in un angolo dell’aula. Antonio parla regolarmente italiano con mamma e papà, Joel solo con il papà, Alissa con la mamma.
C’era una volta Bivio… è il titolo di un libro del 1992 di Elda Simonett-Giovanoli, faro della cultura italiana nei Grigioni. Traccia la storia di Bivio, che risale all’epoca romana, quando era un punto di ristoro prima o dopo aver affrontato i passi alpini. Oggi il comune di Bivio non esiste più. Dal 1. gennaio 2016 è stato aggregato agli altri paesi della valle, Marmorera, Mulegns, Sur, Tinizong-Rona, Salouf, Riom-Parsonz, Cunter e Savognin, dando vita al nuovo comune di Surses.
Bivio era «l’estremo avamposto dell’italianità al nord delle Alpi», unico comune svizzero di lingua italiana al di fuori del Ticino e delle valli del Grigioni italiano. Fu fondato dai bregagliotti che, superato il passo del Settimo, sconfinavano a nord pascolando le loro bestie.La storia dell’italianità di questo piccolo paese alpino è una storia di lenta e ineluttabile decadenza. Nel 1980 la maggioranza degli abitanti parlava ancora italiano, un centinaio su 238. Il censimento del duemila rivela il superamento dell’italiano da parte del tedesco: in 113 sono tedescofoni e solo 60 italofoni.
La maestra Simonett-Giovanoli, scomparsa all’inizio del 2018 a 94 anni, si è prodigata una vita intera per difendere e promuovere l’italiano nel suo villaggio. Per la sua attività è stata pure insignita della medaglia di Cavaliere della Repubblica italiana. Nel 1998 polemizzava con il linguista Sandro Bianconi che aveva appena pubblicato Plurilinguismo in Val Bregaglia, in cui affermava che a Bivio era già avvenuta la sostituzione dell’italiano con il tedesco. «Eh no!» scriveva Elda Simonett. «Proprio così no. A Bivio “sul ponte non sventola bandiera bianca” e tutto non è ancora perduto. Durante le assemblee comunali si dibatte, è vero, in due o tre lingue, ma ciò accade a Bivio da secoli e corrisponde alla normalità. I protocolli delle radunanze comunali vengono redatti in lingua italiana, poiché questa è la nostra lingua ufficiale». Poi aggiungeva: «Ammetto ad ogni modo, seppur a malincuore, che se continuiamo verso l’italiano a comportarci da incoscienti, il tedesco prenderà sempre più sopravvento e la minaccia si farà sempre più forte».
Gustavo Lardi è stato ispettore scolastico del Grigione italiano per 16 anni, fino al 2005: «Ho assistito al declino dell’italiano» sostiene «cercando di arginarne gli effetti negativi. Ci sono numerosi aspetti che congiurano contro l’italiano a Bivio, iniziando dal “valore” che l’italiano riveste per gli anziani, ruolo che contrasta nettamente con la visione delle nuove generazioni. Per i primi, ancora idealmente legati al sud, in primis alla Bregaglia, l’italiano era motivo di orgoglio, retaggio di un passato commerciale fiorente legato al traffico attraverso il Settimo e agli scambi in campo agricolo. Invece, per le nuove famiglie immigrate, fortunatamente non tutte, l’italiano a scuola era una specie di inutile “palla al piede”, un ostacolo per gli scolari nell’apprendimento del tedesco ritenuto la lingua del pane. Oggettivamente poi, dopo le elementari a Bivio, la frequenza della scuola secondaria o di avviamento pratico a Savognin creava delle frizioni in quanto l’insegnamento era impartito in tedesco. Non c’erano però alternative: la scuola secondaria di lingua italiana più vicina era a Stampa: impensabile un trasporto giornaliero degli allievi con i due passi, Giulia e Maloggia, da superare».
L’italiano è andato perso man mano che la composizione della popolazione si è modificata: più tedescofoni, meno italofoni. Ciò che è rimasto, grazie sicuramente alle battaglie della Maestra Simonett, degli insegnanti e dell’autorità scolastica e dei discendenti delle famiglie bregagliotte, è l’insegnamento della lingua italiana a scuola.
Giancarlo Torriani – vecchia gloria del bob elvetico – è il presidente del Consiglio della scuola del nuovo comune di Surses. A Bivio gestisce l’albergo di famiglia, il Solaria, assieme ai suoi figli. Mi accompagna nell’aula della maestra Maria Pia. Una delle allieve giunte da Bivio, Alissa, è sua nipotina: «Io le parlo italiano, ma lei mi risponde in tedesco. A Bivio ormai siamo una minoranza, ma finché io sarò presidente del Consiglio scolastico, cercherò di difendere l’italiano e di farlo valere. Nella Costituzione del nuovo comune è previsto il diritto per i biviani all’insegnamento della lingua italiana».
I bambini di Bivio sono gli Svizzeri più plurilingue. Seguono corsi di italiano per tutta la scuola obbligatoria, e contemporaneamente frequentano lezioni in tedesco e anche in romancio. I romanci sono due, il Rumantsch grischun e il surses, quello della regione. Il colpo di grazia ufficiale per l’italiano è arrivato nel 2005. «Si è deciso di scrivere il verbale dell’assemblea comunale in tedesco» spiega Torriani «per facilitare il verbalista. Tutti parlavano in tedesco e lui doveva tradurre in italiano, non era logico. Forse non c’è stato sufficiente impegno per mantenere l’italiano. Da quando è stata fondata la scuola fino a quest’anno ci sono stati 35 docenti a Bivio, molti venivano dalla Bregaglia, da Poschiavo o anche dalla Mesolcina».
Si poteva difendere meglio la nostra lingua? «Certo si può sempre fare meglio e fare di più» precisa l’ex ispettore Lardi. «Dal punto di vista dell’insegnamento, già prima del mio periodo d’ispettorato è stato introdotto l’insegnamento bilingue italiano-tedesco. Nelle prime tre classi l’insegnamento era in italiano; nei tre anni successivi, l’insegnamento era in tedesco. Si è poi passati a un modello diverso, nel senso che nell’intero periodo delle elementari determinate lezioni, per esempio aritmetica e geometria, erano insegnate in lingua tedesca, mentre invece le “materie umanistiche” venivano impartite in italiano. Si trattava del modello ripreso più tardi nelle scuole bilingui di Coira e di Maloja. Spero di non imbrodarmi affermando che il sistema era valido e che, dopo una fase di rodaggio, non creava particolari problemi agli scolari. Diverso invece il discorso con alcuni genitori, soprattutto quelli di lingua tedesca, fortunatamente non tutti, ai quali il nuovo modello non garbava».
Gustavo Lardi sottolinea che si è fatto molto per sostenere l’italiano: corsi per adulti, una ricca biblioteca; anche la Pro Grigioni italiano si è impegnata: «Ma si sa» afferma sconsolato «si può difendere una lingua solamente parlandola».
La scuola elementare di Savognin, sul fondovalle, a due passi dal fiume Giuglia, verrà completamente rinnovata. Si prevede un investimento di otto milioni di franchi, ma Giancarlo Torriani punta in alto e afferma che ce ne vorranno almeno dieci: sono soldi ben spesi per la scuola.
«Certo che l’insegnamento dell’italiano va promosso!» tuona Gustavo Lardi. «Me lo auguro nonostante la fusione di Bivio con gli altri comuni del Surses. Proprio la fusione con comuni romanci, che in parte hanno gli stessi problemi di identità, dovrebbe creare le premesse per mantenere viva la fiammella dell’italianità per gli scolari di Bivio. Privarli di un pur limitato insegnamento dell’italiano contrasta con lo spirito della politica linguistica cantonale. Sarebbe come strappare le radici di una secolare e proficua collaborazione commerciale, linguistica e culturale fra genti a sud e a nord del Settimo».
La maestra Maria Pia si appresta a concludere la sua pluridecennale carriera di insegnante. Docente entusiasta e promotrice infaticabile della lingua italiana in un villaggio e in una valle alpina tedescofona e romancia. Le dovrebbe succedere una giovane che però non è di lingua madre italiana. «Speriamo in bene» ci dice. «Per insegnare bisogna avere l’italiano nel cuore. Se ti mancano le radici è più difficile insegnare una lingua».