C’è chi indaga i vulcani sognando Marte

Al servizio della scienza - Le nuove frontiere dell’esplorazione sembrano ormai proiettate sempre più verso lo spazio
/ 30.01.2023
di Amanda Ronzoni

Ore 10.56 PM EDT del 20 luglio 1969. Neil Armstrong è il primo uomo a mettere piede sulla Luna. Evento noto in tutto il pianeta. Quello che in molti non sanno è che prima di arrivare a quel fatidico passo, i piloti delle missioni Apollo fecero diversi corsi di addestramento in luoghi particolari sulla Terra, come l’Islanda e le Hawaii, dove poter testare attrezzature e procedure in ambienti del tutto simili a quelli che ci si aspettava avrebbero incontrato sul nostro pianeta satellite.

«Ho trascorso una decina di giorni esplorando le regioni vulcaniche attive dell’Islanda, un luogo così desolato e arido che mi sentivo come se fossi già sulla Luna. Eravamo lì d’estate e sembrava che il sole non tramontasse mai» dirà Alfred Worden, membro della spedizione Apollo 15.

E oggi la storia si ripete, in vista del ritorno sulla Luna e di future missioni su Marte.

Un team multidisciplinare e internazionale di ricercatori, speleologi, geochimici, geologi e microbiologi sta conducendo una serie di spedizioni in alcune delle aree vulcaniche più incontaminate del pianeta per indagare, in particolare, uno degli ambienti primigeni della vita sulla Terra: i tunnel di lava. Studiando le dinamiche in atto in aree isolate come Selvagen (Madeira), ma anche nelle più note Islanda e Lanzarote, i ricercatori preparano il terreno alla ricerca spaziale. Le immagini provenienti dai rover che stanno scandagliando Marte e le osservazioni della più vicina Luna, infatti, ci raccontano scenari incredibilmente simili a quelli che troviamo appunto in aree vulcaniche sul nostro pianeta.

È il caso del progetto TUBOLAN (link Video Vigea), guidato dalla geomicrobiologa Ana Zélia Miller (dell’Istituto di Risorse Naturali e Agrobiologia di Siviglia – IRNAS – appartenente al Consejo Superior de Investigaciones Científicas – CSIC), che insieme a Jesús Martínez Frías (ricercatore dell’Istituto di Geoscienze all’International Geoscience Education Organisation, CSIC-UCM di Madrid) e Francesco Sauro (geologo, ricercatore, speleologo e professore all’Università di Bologna) sta studiando i microrganismi che abitano le grotte vulcaniche delle Isole Canarie, al fine di traslare e applicare le conoscenze acquisite alle spedizioni spaziali.

Questi batteri vivono in condizioni estreme, senza luce e con scarso apporto di materia organica: classificati come microrganismi chemiolitoautotrofi, sostanzialmente «mangiatori di pietre», sono in grado di utilizzare e trasformare minerali per svilupparsi e crescere.

I tunnel di lava si formano nel corso delle eruzioni, quando le colate laviche creano delle lunghe gallerie sotterranee in cui il magna continua a scorrere allo stato liquido mentre la lava di superficie si raffredda. Al termine dell’eruzione, la lava non scorre più e restano lunghe gallerie vuote, che si diramano dal cratere centrale anche per diversi chilometri. È il caso, a Lanzarote, del Tubo di Lava della Corona, nove chilometri, uno dei più grandi al mondo, che in alcuni punti raggiunge l’altezza di cinquanta metri.

Questo stesso fenomeno si è verificato anche sulla Luna e su Marte, le cui superfici risultano attraversate da innumerevoli tubi di lava: ne sono stati rilevati più di trecento sulla prima e oltre mille sul pianeta rosso. Rispetto alla Terra però, Luna e Marte sono state interessate da un’attività vulcanica più intensa, e poiché entrambi i pianeti sono caratterizzati da una minor gravità e da un’atmosfera più sottile (nulla nel caso della prima), si sono formate grotte con dimensioni ben maggiori.

Senza una zona di protezione come quella garantita dall’atmosfera terrestre, le radiazioni ultraviolette e l’impatto con micrometeoriti rendono la vita sulla superficie lunare e marziana praticamente impossibile. Agli ipotetici abitanti di Luna e Marte, ammesso che ce ne siano e qualunque forma abbiano, non resterebbe che un unico ambiente protetto dove proliferare: queste grotte di ordine vulcanico. Se la vita su altri pianeti c’è, è facilmente ipotizzabile che si trovi presso questi ambienti sotterranei.

Non è un caso dunque che i futuri astronauti o i membri delle missioni spaziali vengano inviati ad «allenarsi», testando le attrezzature e imparando a condurre campionamenti e ricerche, proprio a Lanzarote, dove sono stati attivati per loro dall’European Supervisory Authorities (ESA) corsi specifici di geologia planetaria (PANGAEA) e attività sul campo come il progetto Pangaea-X.

Un secondo progetto, MICROCENO del 2021, sempre coordinato da Ana Miller (questa volta come ricercatrice associata del Laboratorio HERCULES – Herencia Cultural, Estudios y Salvaguardia –, dell’Università di Évora), si è occupato di investigare le cavità presenti nell’arcipelago, sia per quanto riguarda la biologia, la microbiologia, la geologia e l’analogia con ambienti extraterrestri. Si tratta infatti di grotte in rocce vulcaniche in aree protette e quindi completamente incontaminate.

La spedizione ha coinvolto ricercatori di sette nazioni (Portogallo, Spagna, Italia, Olanda, Inghilterra, Russia, Canada), mettendo in campo uno sforzo collettivo caratterizzato da un approccio tecnologico innovativo, grazie a un sistema di mappatura con tecnologie tridimensionali. Sono state individuate nuove cavità: la Furna do Suplo du Dragao (scoperta proprio dal team di ricercatori e speleologi), che si distingue per un grande lago di acqua salmastra nel quale sono state individuate numerose potenziali nuove specie di fauna anchialina, e altre otto cavità minori, solo in parte già conosciute, incluse due grotte sommerse esplorate da un team di spelo-subacquei. A completare il gruppo di lavoro due rappresentanti dell’Agenzia Spaziale Europea e un cosmonauta russo, perché lo sforzo messo in atto dal progetto è proprio quello di creare strumenti e protocolli per allenare i futuri esploratori dello spazio.

Al momento nessuna missione spaziale ha in programma di entrare in una grotta «aliena». Le operazioni dei rover si sono fino a oggi concentrate in aree che per morfologia lasciano presupporre la presenza in passato di acqua liquida, non tanto per mancanza di interesse, quanto perché il livello di tecnologia e attrezzature per affrontare questo tipo di esplorazioni non è ancora ottimale.

Eppure la fantascienza è sempre più reale. Ad oggi il drone Ingenuity, che accompagna il rover Perseverance nell’esplorazione della superficie marziana, potrebbe riservare qualche sorpresa, fino a quando la miniaturizzazione e ottimizzazione di questi dispositivi non ci condurranno «là dove nessun uomo è mai giunto prima», per chiudere con una citazione popolare.