Dal mese di novembre al mese di febbraio di questo inverno sono cadute 20/25 nevicate oltre i 1500 metri di altitudine nelle Alpi occidentali dal Cantone Ticino alla Valle d’Aosta, e alle Alpi Marittime italo-francesi.
Questi fenomeni atmosferici hanno due origini: la prima con apporti di aria umida e tiepida proveniente dall’Oceano Atlantico. La seconda altrettanto marittima ma più calda proveniente dal Mediterraneo (Mare Tirreno). Entrambe le correnti si sono incontrate con masse di aria fredda e asciutta di origine settentrionale (Scandinavia) e nord-orientale (Russia e Siberia). Dalla Norvegia alle Alpi e ai Pirenei, l’incontro di queste correnti ha dato origine a cadute di neve di varia entità e di differente qualità a seguito della presenza di molti fattori innanzitutto fisici ma anche biologici. Tra i primi il tipo di roccia e i suoli che ne derivano: rocce cristalline e rocce carbonatiche (graniti, gneiss, calcari, dolomie), l’esposizione e l’altitudine. Tra i secondi, la plurimillenaria presenza degli erbivori selvatici (camosci, stambecchi, marmotte) e quelli apportati dall’uomo a seguito della domesticazione di pecore, capre, bovini ed equini.
Nel corso del tempo, gli erbivori hanno concorso alla formazione e alla dinamica della copertura vegetale (erbe, arbusti, alberi). A questo contributo macro-animale si è aggiunto quello costituito dagli insetti legati ai vegetali per la loro alimentazione: in montagna; oltre una certa quota, qualsiasi modificazione nella copertura vegetale può avere notevoli conseguenze sulla genesi e la caduta delle valanghe. Difatti, ha grande importanza il tipo di ancoraggio al suolo delle prime nevicate autunnali, se questo è gelato a seguito della già bassa temperatura notturna oppure, se è solo ancora umido. Entrano in gioco anche altri fattori fisici, quali la ripidità del pendio, l’esposizione, l’altezza e la copertura dello strato erboso: erba bassa brucata dagli erbivori e dalle cavallette; erba alta non brucata, e dai cespugli. Al differente tipo di rugosità si aggiunge la predisposizione morfologica dei cespugli inclinati verso il basso lungo il pendio, come gli ontani verdi (Alnus viridis) ideali piani di scorrimento per la massa nevosa, che per sua natura è in permanente trasformazione e in movimento a causa dell’alterazione dei cristalli di neve.
Può sembrare singolare che alcuni insetti erbivori possano entrare nel quadro grandioso della montagna oltre una certa altezza. La loro presenza e attività è stata favorita dall’uomo attraverso la trasformazione in pascolidi di molte superfici che erano un tempo boscate. Negli ultimi decenni, queste superfici scoperte sono state abbandonate e la vegetazione si è lentamente trasformata, rendendola appetita per alcuni insetti, quali sono due specie di cavallette (Ortotteri).
Parliamo di Gomphocerus sibiricus e di Bohemaniella frigidus, due insetti privi di ali che popolano i pascoli alpini oltre i 1800 fino a 2500 metri di altitudine. Nella zona del Passo della Furka (Furka Pass) tra il cantone Vallese e quello di Uri è stato rilevato a 2550 metri (Körner 1999) che queste due cavallette alto-alpine sono responsabili dell’asporto (attraverso la loro alimentazione) dal 19 al 30 per cento degli steli di due graminacee, principali costituenti i pascoli: Carex curvula e Carex foetida. Inoltre, abbiamo la documentazione di analoghi episodi grazie allo scritto di Della Beffa (1961). Nelle alpi piemontesi di Susa e del Chisone, e in Valle d’Aosta, si trovano enormi assembramenti riuniti in zone determinate nelle quali l’erba viene completamente distrutta. Gli ammassi vegetali al suolo sono soggetti alla fermentazione, che genera calore. Quest’ultimo tende a formare un’intercapedine tra il suolo e la parte inferiore del primo strato di neve, facendo così venire a mancare l’ancoraggio tra neve e suolo.
Le successive nevicate (nel corso della stagione fredda) possono avere differenti strutturazioni a livello di cristalli, che avranno una stabilità molto precaria: qualora l’inclinazione dei pendii sia superiore a 30 gradi, si creano le situazioni ottimali per la formazione e la caduta di una valanga. In certe situazioni di estrema precarietà e instabilità della massa nevosa, che non dimentichiamo, è formata da più strati con differenti caratteristiche fisiche (contenuto di acqua e/o aria) sono sufficienti anche minime sollecitazioni sonore – quali le voci umane – per scatenare una valanga. Questa sensibilità alle onde sonore è utilizzata per provocarle in modo artificiale con l’impiego di esplosivi a salve, così da controllarne la caduta, soprattutto quando serve per proteggere centri abitati e vie di comunicazione.
La forte attività valangaria negli ultimi decenni in tutte le Alpi ha sollecitato molti studi puntuali soprattutto in Svizzera (Davos) e in Austria (Innsbruck), tra i quali le interazioni tra la vegetazione, il suolo e il manto nevoso. Inoltre, si sono concentrati sulle misure di prevenzione ingegneristica, attraverso la progettazione e messa in opera di strutture para-valangarie più efficienti che in passato. Come si può rilevare, il problema valanghe è lungi dall’essere chiarito. In quanto non tutte le cause naturali sono note all’origine della loro caduta, oppure è stata sottovalutata, per esempio, l’influenza degli erbivori, cavallette comprese.
Ma è soprattutto l’accentuata presenza umana in montagna che drammatizza l’entità del problema. Negli ultimi anni i produttori di attrezzature per andare in montagna, a vario titolo, hanno sviluppato e proposto prodotti che dovrebbero aumentare la sicurezza contro il pericolo delle valanghe. Si tratta di vere protesi tecnologiche quali l’Arva (strumento per localizzare la presenza dell’infortunato nella massa nevosa dopo la caduta di una valanga). Oppure l’airbag, che dovrebbe consentire il galleggiamento sulla massa nevosa movimentata in occasione dello stesso evento.
A parte i primi entusiasmi iniziali per l’impiego di questa rivoluzionaria attrezzatura, ci si è resi conto che questi arnesi – i quali hanno indubbiamente contribuito e contribuiscono a salvare molte vite umane – tendono a ingenerare un’eccessiva fiducia sul loro impiego. Com’è stato scritto da un esperto («Le Alpi» periodico del Club Alpino Svizzero n. 2 2015): «Forse, una volta ancora, il punto dolente è la nostra testa: usare questi dispositivi ci espone a rischi maggiori rispetto al farne a meno?»
Per programmare e realizzare un’escursione invernale, oppure la pratica dello sci fuori pista in quota, è necessario ricordare le quattro regole fondamentali: 1. consultare le previsioni del tempo; 2. definire la scelta dell’itinerario da percorrere; 3. rispettare l’epoca e gli orari di effettuazione; 4. avere conoscenza della qualità della neve sulla quale calcheremo i nostri passi: farinosa e leggera (con basse temperature), pesante e granulosa (con temperature superiori ai zero gradi). Infine, una ponderata gestione dei rischi, con o senza protesi.
Per il prossimo futuro, i modellisti del clima ipotizzano un aumento della nevosità nell’emisfero settentrionale. Dunque, c’è da attendersi un parallelo aumento delle valanghe. Affaire à suivre.