Carcinoma prostatico, spesso sottovalutato

Oncologia - Oggi si praticano diagnosi e terapie più accurate e innovative
/ 16.11.2020
di Maria Grazia Buletti

Il tumore della prostata colpisce soprattutto dopo i 50 anni e il rischio aumenta con l’età. Secondo studi recenti, quasi tutti gli uomini di età superiore agli 80 anni presentano un piccolo focolaio di cancro alla prostata. «È un tumore con una storia naturale particolare: è molto frequente nell’anziano ma diagnosticato a 50 anni è notevolmente più aggressivo che a 80», afferma l’urologo-andrologo Paolo Broggini che conferma come quello prostatico sia il primo tumore nell’uomo (30% dei tumori maschili) e il 15% degli uomini ha il rischio di svilupparlo nel corso della vita.

«Nell’uomo, è la terza causa di morte per tumore. Ciononostante, la sopravvivenza a cinque anni dopo una diagnosi precoce è buona (circa l’80%), ma dipende dall’età d’insorgenza». I circa 200-250 casi annui diagnosticati in Ticino sono forse un dato sottostimato: «Se un tempo i pazienti alla diagnosi avevano un’età media oltre i 70 anni, oggi la fascia d’età tra i 55 e 65 anni rappresenta il tasso di diagnosi maggiore, ossia il suo riscontro interessa maggiormente l’uomo di mezz’età». Infatti, l’uomo oggi è molto più attento che in passato nel recarsi dal medico, complici altri intenti che esulano dalla prevenzione ancora molto trascurata: «È un fatto culturale: l’uomo si informa di più, specie sul web. Dunque, va dall’urologo dove spesso giunge per altri motivi (difficoltà di erezione, eiaculazione precoce o un’urgenza minzionale). Qualora in tale occasione si diagnosticasse anche un tumore alla prostata, il contraccolpo subito dal paziente è grande e potrebbe comportare un drammatico rifiuto psicologico. Eppure, si tratta di un tumore che, individuato per tempo, ha una prognosi di guarigione del 100%».

Vediamo quindi come si diagnostica: «Purtroppo il tumore prostatico provoca disturbi solo nelle fasi più avanzate e infauste; questa subdola sintomaticità tradisce perché impedisce all’uomo asintomatico di curarsene. Bisogna anzitutto considerare più visite di prevenzione urologica a cominciare dai 50 anni in su, permettendo di giungere alla diagnosi di tumore prostatico che si basa inizialmente sui risultati dell’esplorazione digito-rettale e sugli esami di screening nel sangue». Questi ultimi prevedono la rilevazione dei livelli di antigene prostatico specifico (PSA): «Una proteina prodotta specificamente dalla ghiandola prostatica i cui valori alterati sono indice di neoplasia». Poi si procede con indagini diagnostiche mirate a determinare la portata e lo stadio tumorale: «Dopo una visita urologica sospetta e risultati di PSA alterato, si consiglia una risonanza magnetica (un tempo si faceva solo ecografia trans-rettale in cui i falsi positivi o negativi erano l’80%). Oggi noi disponiamo pure dell’innovativa Fusion biopsy real time: una biopsia prostatica avveniristica che fonde le immagini della risonanza magnetica a quelle ecografiche, utilizzando un ecografo di ultima generazione. Così è assicurata una precisione assoluta nella diagnosi dei noduli tumorali più piccoli, spesso non identificati dalle comuni ago-biopsie».

Secondo lo stadio di tumore diagnosticato (localizzato, senza o con metastasi linfonodali od ossee), il paziente arriva alle cure oncologiche differenziate e individualizzate oggi estremamente all’avanguardia per presa a carico e farmacologia. Ce ne parla la professoressa Silke Sommer Gillessen, direttore medico e scientifico dell’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana (IOSI), specialista in tumori urogenitali: «Le terapie e la relativa prognosi sono subordinate allo stadio in cui il tumore è diagnosticato: tutto cambia se parliamo di un tumore localizzato (senza metastasi) dove la cura è radicale con prostatectomia o radioterapia, o se si tratta di una diagnosi che rivela anche metastasi ossee (localizzazione più frequente)».

La professoressa Gillessen sottolinea l’importanza della diagnosi precoce che per la prostata non è così d’uso come per il seno: «È più complicato perché molti uomini hanno un tumore prostatico che non darà loro mai problemi». Inoltre: «L’aggressività del tumore è indipendente dall’età del paziente ed essere molto anziani non preserva dall’aggressività neoplastica». Ciò significa che tutti meritano una terapia adeguata, anche in tarda età: «Ogni stadio comporta il rischio di una recidiva, dunque dovrebbero sottoporsi al monitoraggio anche pazienti con un tumore a rischio basso».

Percorriamo velocemente le possibilità terapeutiche secondo il tipo di tumore diagnosticato e la sua stadiazione, a cominciare da quello localizzato e senza metastasi: «Per tumori davvero a basso rischio (inizialmente dal Canada hanno dimostrato che ve ne sono alcuni non così aggressivi da meritare un intervento radicale e radioterapia), si effettua una sorveglianza attiva e si pianifica l’intervento solo al bisogno. Se il rischio è moderato o alto, allora si procede alla radioterapia e terapia ormonale da 4 mesi a 3 anni, sempre a dipendenza del rischio. Il trattamento radicale è suffragato dall’idea di guarire il paziente e la combinazione delle due terapie (radioterapia e terapia ormonale) riduce notevolmente il numero di recidive». Infine, la professoressa parla della prostatectomia alla quale si può aggiungere la radioterapia «se il rischio e lo stadio diagnosticato lo esigono, e se vi sono segni di rimanenza di tessuto».

Non bisogna trascurare qualche problema che la presa in carico di questo tumore comporta: «La terapia ormonale fa abbassare il testosterone con conseguente abbassamento della libido e deterioramento di funzione erettile, (cosa che anche la radioterapia e la prostatectomia può causare, insieme ad altri disturbi), ma è generalmente transitorio dopo il termine della terapia ormonale». Dopo la prostatectomia, il PSA dovrebbe essere zero: «I pazienti devono sapere che se aumenta, bisogna discutere subito con gli specialisti per controllare, valutare e possibilmente pianificare una terapia che darà una seconda chance di guarigione».

Più complicata la situazione di un tumore prostatico che ha già prodotto metastasi, malgrado le novità terapeutiche confortanti anche in questo caso: «Non avremo una guarigione, ma disponiamo di trattamenti innovativi che prolungano la sopravvivenza e migliorano la qualità di vita, perché oggi siamo molto più avanzati di cinque anni or sono e abbiamo nuove combinazioni terapeutiche con altre terapie ormonali, chemio o radioterapia che migliorano la risposta dei pazienti monitorati». Un richiamo alla famigliarità: «Se qualcuno ha parenti di primo grado con tumore prostatico (padre, fratello) corre un rischio circa raddoppiato di svilupparlo a sua volta. Dunque, è importante uno screening urologico a partire dai 40-45 anni».

E in merito alla farmacologia per la cura dei tumori prostatici, in un prossimo numero ne parleremo dettagliatamente per rapporto alla ricerca inerente la pandemia.