Capire i capricci

Bambini – Urla e pianti improvvisi a volte nascondono un messaggio che i genitori non riescono a recepire. I consigli della pedagogista Elisabetta Rossini per una migliore gestione dei momenti di rabbia dei figli
/ 05.12.2016
di Elisabetta Oppo

Quasi tutti i genitori si trovano prima o poi costretti a confrontarsi con un momento di crescita, sviluppo e autonomia dei figli, che spesso si traduce in una manifestazione improvvisa e incontrollata di rabbia e aggressività, adottata come risposta a una frustrazione. In altre parole, quegli scatti d’ira dei bambini che più comunemente chiamiamo capricci. Situazioni che possono essere vissute da mamme e papà con disagio, difficoltà e senso di impotenza. Quando assistono a un capriccio, infatti, molti genitori vengono messi a dura prova perché hanno la sensazione che la situazione gli sfugga di mano. Ma se si analizza la vera natura del capriccio si scopre che non è il giocattolo che il genitore non vuole comprare a sconvolgere il bambino, ma c’è qualcosa di diverso che lui sta cercando di comunicare.Ne abbiamo parlato con Elisabetta Rossini, pedagogista e consulente di relazioni familiari e di educazione.

Elisabetta Rossini, buona parte dei genitori di fronte ai capricci dei figli si trova in difficoltà e spesso non riesce a gestirli adeguatamente, perché?
Probabilmente la mia affermazione spiazzerà un po’ i lettori… in realtà i capricci non esistono! Spesso il problema è nella forma di comunicazione, ossia i bambini ricevono risposte inadeguate alle loro esigenze, alle loro richieste e reagiscono a loro modo a questa frustrazione. Per cui noi individuiamo nella loro reazione il capriccio perché pensiamo di avere comunicato in maniera efficacissima e perché in realtà non accettiamo che il bambino a sua volta si possa opporre a un divieto, cosa invece assolutamente normale e fisiologica per la crescita del bambino. Se al contrario guardiamo queste reazioni con attenzione, capiamo che quel che deve cambiare è la comunicazione a monte da parte dell’adulto. Si deve reagire in un’unica maniera di fronte al capriccio, non assecondarlo, continuare in una comunicazione chiara e precisa che non si sposti dal nostro punto… per cui se dico no resta no e il bambino può avere tranquillamente la reazione che vuole, da bambino, ma la mia decisione non cambia. Se lasciamo sfogare la reazione e teniamo il punto fermo in realtà il capriccio si esaurisce in un tempo relativamente breve.

A che età iniziano a manifestarsi queste reazioni e perché?
Tra i 18 e i 24 mesi si hanno le prime manifestazioni. In questa fascia d’età c’è un grande scatto di crescita e il bambino inizia a prendere coscienza di essere un individuo separato dalla madre; inizia un processo di separazione dalla figura materna e per questo motivo iniziano anche le opposizioni, che sembrano opposizioni su tutto. Infatti, se notiamo, anche quando fanno quello che gli chiediamo spesso la risposta iniziale è un no, perché questo no è un modo di affermare la propria individualità appena scoperta.

Dunque se si riesce a intervenire in modo corretto in questo periodo, con la crescita i capricci dovrebbero essere meno frequenti?
Sì… cambiano poi le modalità, nel senso che più i bambini crescono più le loro posizioni saranno motivate dalla loro volontà! Crescendo i bambini sapranno che nella maggior parte dei casi se la mamma e il papà dicono no è davvero no! Se invece facciamo due anni in cui estenuati dalle urla e dai pianti diciamo no per un quarto d’ora e poi questo no diventa un sì, allora è chiaro che la modalità che i bambini imparano è questa… «se continuo a piangere, se continuo a sbattere i piedi ottengo quello che voglio!». Perché i bambini imparano dall’esperienza.

Come genitori che cosa si può fare per evitare l’insorgere di queste manifestazioni?
Non si devono dire tanti no durante una giornata, altrimenti si avranno tanti capricci perché tutto è un divieto e un bambino non può vivere in mezzo ai divieti. Quindi lo sforzo dovrebbe essere proprio quello di fermarsi un attimo e di pensare quali sono le cose che davvero devono essere dei no. A quel punto saremo anche meno spiazzati nelle giornate. Sappiamo bene quali sono i no che dobbiamo mantenere e quando invece possiamo dire tranquillamente un bel sì con il sorriso.

A volte il capriccio può nascere anche semplicemente dalla stanchezza?
Sì, spesso i capricci derivano dalla stanchezza, per cui anche tenere conto di quella che è stata la giornata dei bambini ci aiuta a capire che quel capriccio deriva proprio dal fatto che sono esausti. I bambini uno stop non se lo sanno dare, per cui dobbiamo darglielo noi. È facile che con giornate particolarmente piene la soglia di sopportazione di un bambino si riduca. Da valutare quindi tra le varie cause anche quella che in apparenza sembra la più banale, che è proprio la stanchezza dei bambini.

A cosa bisogna prestare molta attenzione nella gestione del capriccio?
È importante accettare i sentimenti che sono alla base dei capricci: se lanciare tutto per aria e spaccare i giochi è una manifestazione scorretta, non è scorretto quello sta provando il bambino in quel momento. Quello che consigliamo di dire è «questa cosa non si fa, so che sei arrabbiato ed è giusto che tu sia arrabbiato per questa cosa, guarda però che se sei arrabbiato non puoi fare questo!». Spesso noi contestiamo il bambino nella sua totalità, ma se guardiamo bene quello che è sbagliato è la manifestazione di quello che provano, ma mai quello che provano. Se il nostro bambino è triste dovremmo insegnargli come manifestare questo sentimento, senza fare male a sé stessi, senza distruggere casa.

Quali consigli può dare ai genitori che si trovano in difficoltà nella gestione dei capricci?
Una cosa a cui in genere non si pensa, è di fornire un’alternativa di comportamento. Noi spesso diciamo questo non lo puoi fare ma non diamo un’alternativa, quindi i bambini non sanno cos’altro fare. Tante volte vanno avanti e noi pensiamo che sia un capriccio o un atteggiamento di sfida. Però davvero i bambini non sanno in autonomia cos’altro fare, allora diamo un’alternativa di attività di gioco o attività da fare, questo abbassa tantissimo la tensione. Altra cosa: quando mettiamo una regola o un divieto, le spiegazioni rispetto a questo devono essere veramente brevi, pochissime parole. Primo perché i bambini non hanno raggiunto uno sviluppo che consente loro di comprendere un discorso troppo articolato; secondo perché dopo un po’ si annoiano e non ascoltano, per cui dicono sì per uscire da quella noia e per compiacere i genitori. La spiegazione deve comunque essere data anche quando sono piccoli, per abituarli che dietro a una regola o a un divieto c’è una motivazione.

Che cosa bisogna invece assolutamente evitare di fare?
Come dicevamo all’inizio, evitare di essere incoerenti, se si dice un no mantenerlo. Piuttosto se siamo stanchi, non abbiamo tempo, è meglio dire un sì in più, se non è ovviamente una cosa assurda. Evitare di dire al bambino frasi tipo «fai i capricci, sei un bambino cattivo», che dette così sembrano frasi innocue! Ma sono tutte espressioni da evitare, perché è sempre meglio legare il giudizio che diamo non al bambino ma al suo comportamento, per cui «quando ti comporti in questo modo mi arrabbio», è una frase molto più precisa e circoscritta, ci riferiamo a un comportamento che non va bene, ma non al bambino come persona. Evitare anche tutte quelle formule comuni che hanno un sapore di ricatto, «se fai il bravo puoi guardare un cartone in più», piuttosto stabilire una scansione temporale, cercare di dare una bella prospettiva «prima si fa questo… poi puoi continuare a giocare».

Quando i capricci dovrebbero iniziare a essere meno intensi?
Dopo i 3 anni, 3 anni e mezzo, i bambini diventano più capaci di esprimere i loro sentimenti, di dire quello che vogliono. Più si sviluppa il linguaggio più le esigenze dei bambini sono chiare e codificabili per noi. Ma per tutta la prima infanzia oltre allo sviluppo linguistico c’è tutto lo sviluppo emotivo, per cui un bambino che riesce a parlare bene non è detto che sappia definire quello che sente in quel momento. Quindi dobbiamo di nuovo intervenire e insegnare ai bambini a dominare quello che provano, e farlo su noi stessi perché imparano per imitazione. Se noi per primi parliamo dei nostri stati d’animo e i bambini vedono che quando siamo tristi diciamo di essere tristi, anche loro riusciranno a riconoscere e nominare la tristezza quando la proveranno.