Bizzarre soluzioni di una natura senza finalità

I curiosi animaletti descritti da Matt Simon mettono alla prova la nostra attitudine a voler cercare un progetto nelle creazioni dell’evoluzione
/ 25.06.2018
di Lorenzo De Carli

Uno degli ostacoli che ci rende difficile comprendere l’evoluzionismo è la nostra pervicace supposizione che la natura sia dotata di intenzionalità. Accade così che, quando sentiamo parlare di selezione naturale, tendiamo a ritenere che ci sia qualcuno o qualche cosa che, a forza di tentativi ed errori, trovi la soluzione che garantisce il miglior adattamento.

Con l’intenzionalità tendiamo a cercare un progetto, una finalità, una serie concatenata di rapporti di causa ed effetto stabilita a priori; il segno di una direzione, l’indizio di uno scopo – perché quello che più ci disturba è la mancanza di senso. Si tratta di un disturbo profondo, che talvolta avvertiamo quasi fisicamente, e su cui la psicologia evolutiva sta facendo luce.

Con Nati per credere, per esempio, Vittorio Girotto, Telmo Pievani e Giorgio Vallortigara avevano spiegato perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere la teoria di Darwin. Gli autori avevano raccolto tutta una serie di indizi che depongono a favore dell’ipotesi che la nostra ricerca d’intenzionalità è un «tratto» che è stato selezionato dall’evoluzione stessa perché vantaggioso. Vale a dire che la nostra inclinazione, per esempio, a immaginare una causa per ogni rumore che sentiamo nel bosco sia un’attitudine che ha fatto sì che fossimo in grado di ipotizzare la presenza di prede o predatori, comportandoci di conseguenza.

Questo atteggiamento predittivo è a tal segno a noi connaturato, che tendiamo a proiettarlo sulle altre specie. La raccolta di saggi di Matt Simon intitolata La vespa che fece il lavaggio del cervello al bruco, proprio perché intende illustrare «le più bizzarre soluzioni evolutive ai problemi della vita», mette alla prova la nostra capacità di evitare la trappola dell’intenzionalità proiettiva. E non è affatto semplice, sia perché alcune soluzioni sono così ingegnose, che facciamo davvero fatica a vederle come un meccanismo o un comportamento privo di un’attività pianificatrice simile a quella che orienta la nostra condotta, sia perché il linguaggio stesso si porta appresso un’implicita ipotesi di soggettività senziente.

Prendiamo il caso, per esempio, di quella che Simon chiama «formica zombie». In realtà il protagonista non è tanto la formica carpentiere del genere Camponotus, quanto piuttosto il fungo Ophiocordyceps, che invade il cervello delle formiche e ne controlla la mente.

L’ambiente è quello della foresta pluviale. Il fungo descritto da Simon si attacca all’esoscheletro della formica, nella quale penetra dopo aver fatto marcire la cuticola con i suoi enzimi. All’interno del corpo della formica, il fungo si riproduce a tale velocità, che dopo pochi giorni ne costituisce metà della massa. L’aspetto interessante è che il fungo – né vegetale, né animale e sicuramente non dotato di «mente» – produce neurotrasmettitori che influenzano la condotta della formica in modo tale da indurla a cospargere di spore altre formiche della colonia. Siccome per noi è difficile descrivere tutto questo senza usare parole e frasi che suggeriscono una qualche forma di intenzionalità, tendiamo a ritenere che il fungo abbia davvero una volontà e che la formica abbia davvero una mente.

È quasi impossibile metterci nella prospettiva dell’evoluzione e accettare che l’interazione tra fungo e formica nel corso di milioni di anni abbia selezionato il «comportamento» del fungo senza che questi si sia attivamente impegnato a ottimizzare la sua tecnica riproduttiva, che cioè dal «setaccio della selezione» sia passata la pratica riproduttiva senza che nessuno abbia preso decisioni.

Se ciò accade quando di mezzo c’è un fungo, figuriamoci quando i protagonisti sono una vespa e un bruco. Quando si studia – come ha fatto Matt Simon – il modo in cui la vespa Glyptopanteles s’impossessa della «mente» del bruco che ha parassitato, iniettandovi le sue uova, è quasi impossibile non vedere due menti antagoniste e in particolare non scorgere nella strategia della vespa un’azione pianificata in tutti i dettagli e non una sequenza di operazioni passate dal «setaccio della selezione» semplicemente perché più efficaci di altre per favorire la riproduzione della vespa. Quest’ultima, infatti, scelto un bruco, vi pratica un foro, deponendovi fino a ottanta uova. Diventate larve, queste si nutrono dei fluidi corporei del bruco, che continua ad andare in giro a mangiare, sfamando con se stesso anche un’ottantina di larve, le quali – a un certo punto – rilasciano sostanze chimiche che paralizzano l’ospite, dal quale ne escono quasi tutte, una dopo l’altra, prendendosi tutto il tempo necessario per liberarsi dell’esoscheletro, che usano per tappare le ferite inferte al bruco.

L’ultima larva rimasta dentro il bruco rilascia una sostanza chimica che manomette «il cervello dell’ospite, trasformando il bruco in una sorta di stupido ultraviolento che protegge il resto della nidiata» fuoriuscito prima. Anche quando il bruco esce dalla paralisi non si contrappone ai suoi parassiti, ma anzi, sotto il loro influsso, li difende strenuamente da ogni possibile predatore fintantoché, cresciuti, se ne vanno, lasciando perire il bruco.

Se, inconsapevolmente, tendiamo a proiettare nel mondo animale intenzionalità e volontà di cui è del tutto privo perché ci risulta difficile non ritenere che vi sia almeno un barlume di soggettività quando l’argomento è il «controllo della mente», è con crescente imbarazzo che studiamo le pratiche sessuali degli animali – proprio quelle con cui Matt Simon ha aperto il suo libro, sapendo bene con quale disagio, in questo caso, è in noi all’opera l’inclinazione a identificarci anche nelle pratiche più «perverse». Come quella dell’Antechino, per esempio, un piccolo marsupio dell’Australia meridionale e centrale i cui maschi «fanno così tanto sesso, con così tante femmine e così frequentemente da finire tutti, uno dopo l’altro, morti stecchiti».

Descritti da Simon, i maschi di Antechino, sembrano posseduti dal demone della copula: «Mentre vanno in giro fornicando, i maschi incominciano a sanguinare internamente. Il loro sistema immunitario smette di funzionare e il pelo cade. Diventano perfino ciechi, verso la fine, ma neppure questo riesce a fermarli». Anche in questo caso, ci è difficile non immaginare in questa frenetica attività copulatoria sostenuta da «una quantità enorme di testosterone» almeno un accenno di ricerca del piacere, invece si tratta di un comportamento selezionato per risolvere il problema di una stagione riproduttiva molto breve, troppo breve per non cercare di portare al massimo grado le possibilità riproduttive dell’Antechino.