Bionda aurora e cielo azzurro

Sport - L’Europeo nomade consegna il titolo all’Italia e una nuova consapevolezza alla Nazionale svizzera
/ 19.07.2021
di Giancarlo Dionsio

Qualcuno ricorderà Nino Manfredi in Pane e cioccolata, meraviglioso e commovente film-commedia girato da Franco Brusati nel 1974. L’attore laziale, nei panni di un meridionale emigrato in Svizzera, si tinge i capelli di biondo per forzare i limiti del suo processo di integrazione nel ruvido ed impenetrabile tessuto sociale elvetico di quei tempi. Salvo poi farsi sbattere fuori a calci da un bistrot, per non essere riuscito a trattenere l’esultanza davanti al teleschermo, quando Fabio Capello segna, nel vecchio e leggendario stadio di Wembley (1973), la rete che regala all’Italia la prima vittoria su suolo inglese.

In fondo perché non interpretare in quest’ottica la scelta cromatica di Granit Xhaka e Manuel Akanji durante gli Europei? I due, al pari degli altri rossocrociati non ritenuti degli svizzeri purosangue, sono stati crocefissi da buona parte dell’opinione pubblica e anche da parte di qualche testata giornalistica. Per la tintura, i tatuaggi, per le loro origini, e per altro, non da ultimo, per il mutismo manifestato mentre nell’aria risuonavano le note del Salmo svizzero.

Dopo la deludente prestazione contro l’Italia, hanno però reagito con i fatti, sul campo. Completando la demolizione della Turchia, eliminando i Francesi, Campioni del Mondo in carica, con una prova superlativa, tutta cuore-gambe-testa, infine perdendo ai rigori contro la Spagna, dopo aver resistito in 10 contro 11 per oltre 40’, a causa della più che discutibile espulsione di Remo Freuler.

Ci sono, a mio modo di vedere, tre immagini forti che hanno segnato il cambiamento di rotta. Uno: la mano sul cuore durante il Salmo, quasi a voler sostituire con un gesto d’amore, un testo religioso, anacronistico e selettivo (come la mettiamo con atei, agnostici, musulmani, buddisti, eccetera?). Due: la disposizione in cerchio, abbracciati, prima dei supplementari con Xhaka che arringa i suoi con furore agonistico. Lo fa da capitano-giocatore contro la Francia, lo rifa da leader-squalificato contro la Spagna. Tre: Ian Sommer, in formato comandante della Patrouille Suisse, che corre verso i tifosi, seguito dagli altri piloti in assetto di grande parata.

In quel momento molti avranno pensato: se anche il nostro cammino si concludesse qui, per noi sarebbe come vincere l’Europeo. Avevamo ritrovato gioco, fuoco, grinta, sudore, gioia e spirito di gruppo. Tantissima roba. Un capitale che ci ha poi consentito di sfiorare la semifinale. L’Europeo della Svizzera si è concluso a Bucarest attorno alle 20.30 di venerdì 2 luglio. Ciò non ha impedito ai nostri di essere accolti come degli eroi da una folla festante al loro rientro in patria. Sono tornati sorrisi e ottimismo. Lo sguardo è già proiettato verso la Coppa del mondo che si disputerà il prossimo anno in Qatar. I Rossocrociati ci credono. Forse, se non li attaccheremo di nuovo con le solite sterili polemiche su inni/salmi, tatuaggi e tinture, riusciranno a crescere ulteriormente.

Più lungo del nostro è stato il cammino di Italia e Inghilterra, che domenica 11 luglio si sono affrontate nella finalissima giocata nel prestigioso stadio londinese di Wembley. Da una parte i rappresentanti della Premier League, il campionato più ricco e prestigioso, quello che negli ultimi anni ha sospinto più volte le sue squadre a imporsi nelle Coppe europee. Sul fronte opposto, al servizio di Roberto Mancini, fatti salvi un paio di innesti fondamentali come Verratti, proveniente dalla Ligue1 francese, e Jorginho, che milita in Premier League, c’erano giocatori della Serie A italiana, appartenenti quindi a squadre che da anni arrancano in Europa.

L’Italia si è imposta ai rigori. Questo potrebbe lasciar supporre un sostanziale equilibrio fra le rivali. In realtà, dopo un primo tempo fatto di dubbi e timori, gli Azzurri hanno colonizzato Wembley e hanno impartito agli Inglesi una lezione, di carattere, di tattica, e soprattutto di fraseggio. Sembravano loro gli alfieri del campionato ritenuto più forte e prestigioso. Il CT Roberto Mancini ha vissuto una sorta di nemesi storica. Ottimo calciatore negli anni 80-90, bandiera della Sampdoria con Gianluca Vialli, il tecnico marchigiano aveva vissuto un rapporto conflittuale con la Nazionale.

Solo 4 reti nelle sue 36 apparizioni. Il suo percorso da allenatore degli Azzurri si sta invece rivelando una marcia trionfale. Imbattuto da 34 partite, record assoluto, molte reti fatte e poche incassate. Il tutto spesso condito con dell’ottimo calcio. Cosa chiedere di più? Forse un quinto Titolo mondiale. Obiettivo tutt’altro che velleitario. Il Mancio ha le carte in regola per indicare la via ai suoi ragazzi. Loro, per contro, sanno di avere in lui un’eccellente guida. La finale l’hanno vinta insieme. I ragazzi mettendo in campo cuore, corsa e coraggio, lui contribuendo con un coaching d’una lucidità spietata.

Peccato per i fischi che hanno tentato di coprire l’inno di Mameli. Purtroppo è un malvezzo da estirpare, diffuso non solo in Inghilterra. L’aver ritrovato sul teleschermo, volti, sorrisi, lacrime, abbracci, canti, mi porta però a guardare con un pizzico di indulgenza queste manifestazioni di maleducazione collettiva, purché siano figlie dell’euforia transitoria per ciò che abbiamo ritrovato.

Se gli Europei si fossero svolti un anno fa, in piena pandemia, senza pubblico, questo non sarebbe accaduto. E tutto sarebbe stato più triste.