Un esemplare di bicicletta pardata (Matilde Casasopra)


Biciclette ticinesi per sette Paesi d’Africa

Incontri - SOS Ticino collabora da anni con il progetto Velafrica: con Giovanni Ginelli scopriamo il percorso virtuoso dei velocipedi di seconda mano
/ 07.08.2023
di Matilde Casasopra

Dici globalizzazione e pensi subito a una specie di pensiero unico su scala planetaria diffuso velocemente dai mezzi di comunicazione di massa digitalizzati (si può leggere anche grazie a Internet o, ancora, grazie ai social). Globalizzazione come perdita d’identità e senso di appartenenza o, forse, come anticamera dell’esacerbazione di questi elementi distintivi. E invece… basta una bicicletta per scoprire che la globalizzazione può essere una porta aperta su un mondo migliore. La scoperta, per quel che mi concerne, risale all’inizio di questa estate.

Avevo, nel garage di casa, due «rampichini», ovvero due biciclette praticamente nuove visto che mio marito ed io le avevamo usate solo un paio di volte. Vederle lì, ogni mattina, mi metteva tristezza. Una voce interiore mi diceva: «Vendile! Ci ricavi qualcosa e ti togli l’ennesima occasione di malinconia». Così una mattina di giugno, di quelle piovose però, grazie alla globalizzazione, ho cercato il modo di separami da quei ricordi, realizzando nel contempo qualcosa dalla vendita delle due bici. Inserisco in Google: «biciclette usate Svizzera» e m’imbatto in un articolo di «railCare» del febbraio 2021 che parla di un progetto davvero intrigante. A promuoverlo e a condurlo è Velafrica, un’associazione che ha sede a Liebefeld – quartiere situato tra Köniz e la città di Berna – e che, dal 1993, raccoglie biciclette usate e le spedisce a imprese partner in Tanzania, Burkina Faso, Madagascar, Sudafrica, Costa d’Avorio, Ghana e Gambia. Ogni anno, oltre 50 container con circa 25’000 biciclette svizzere revisionate e pronte per circolare arrivano in Africa dove, tra i principali beneficiari, ci sono ragazzi e ragazze che, per arrivare a scuola, devono percorrere chilometri di strada a piedi. Decido di approfondire. È vero, non ci si guadagna niente, ma… magari, mi dico, posso partecipare a un progetto di globalizzazione positiva.

È così che scopro che anche in Ticino c’è un’organizzazione no profit che partecipa all’iniziativa. È SOS Ticino che, dal 2013, ogni anno consegna a Velafrica almeno un centinaio di biciclette e in questo modo crea un percorso virtuoso e questo perché: in Svizzera, nelle sue officine (nello specifico a Rivera), grazie alla preparazione per il trasporto delle biciclette, viene creato lavoro per disoccupati; in Africa le biciclette provenienti dalla Svizzera permettono la formazione di giovani meccanici e, come dicevo, grazie alle biciclette provenienti dalla Svizzera, molte persone possono fare capo a mezzi di trasporto veloci e a basso costo. Va bene. L’idea mi piace. Mi convince.

E come faccio a consegnare le mie bici? Devo portarle da qualche parte o qualcuno può venire a ritirarle? Scopro, inserendo il mio Comune di residenza nel sito di VelAfrica (https://velafrica.ch/it/come-aiutare/donare-bicicletta/ ) che in Ticino c’è chi viene a ritirarle. Compongo il numero. Mi presento. Spiego la situazione. Fissiamo l’appuntamento. «Lei è il signor Pietro Di Conza? – chiedo a colui che scoprirò essere il responsabile storico del progetto Ri-cicletta. «No, sono Giovanni Ginelli, responsabile della sicurezza». «Senta – gli dico – voi venite a prendere le biciclette, ma io posso venire a trovarvi per vedere come funziona questo progetto dalle mille implicazioni?». «Certo. L’aspetto!».

Così, in un venerdì di luglio, mi presento a Rivera, allo Stabile Galli Nord e mi si apre un mondo pieno di… biciclette. Ci sono quelle da corsa, da passeggio, da bambino, da arrampicata e poi ci sono le biciclette decorate a mano. «Adesso – mi spiega Ginelli – siamo rimasti senza decoratrici. Le nostre artiste hanno tutte trovato un lavoro e, per il momento, il laboratorio delle decorazioni è privo di personale». Lo dice sorridendo perché, come mi spiega mentre passiamo da un atelier all’altro, «il nostro obiettivo è sì partecipare al progetto di Velafrica, ma è, soprattutto, garantire un reinserimento professionale alle persone che ci vengono affidate». Intanto arriviamo nel locale «pezzi di ricambio». «Non tutte le biciclette possono essere rimesse a nuovo – precisa Ginelli – ma tutte le biciclette sono preziosi fornitori di elementi necessari a ridare vita a quelle che o venderemo qui o andranno in Africa: dagli ammortizzatori ai pedali, dai fanali alle guarniture, dai deragliatori posteriori alle selle».

Alzo gli occhi e, a far da lampade, vedo le ruote, con i rispettivi raggi, di diverse biciclette. Sono, sinceramente, meravigliata. Ginelli se ne accorge e mi apre una porta. «Qui ci sono tutte le bici del Locarno Film Festival». Un vero spettacolo in giallo e nero. «L’Atelier Ri-cicletta di SOS Ticino è presente dal 1999 al Locarno Film Festival. Siamo noi – ci dice con malcelato orgoglio Giovanni Ginelli – il fornitore ufficiale delle bici pardate. Biciclette vecchie, già utilizzate, di seconda o terza mano e magari un po’ ammaccate. Le rimettiamo a nuovo, le vestiamo di pardo e queste nostre bici trovano nuovi proprietari, una nuova opportunità di vita e nuove storie da vivere».

Ma… torniamo alle bici dirette in Africa. Voi siete gli unici in Ticino che collaborano con Velafrica? «Eravamo gli unici. Adesso, da qualche mese, ci sono anche i detenuti della Stampa. Velafrica collabora in tutta la Svizzera con diverse strutture carcerarie». Ma non temete di immettere sul mercato del lavoro troppi meccanici di biciclette? «Attenzione, noi non siamo formatori professionali. Noi proponiamo un programma occupazionale a persone che, per un motivo o per l’altro, si trovano temporaneamente senza lavoro. Di questi tempi, lo ammetto, non sono molti, ma… siamo anche in estate. Quel che è certo è che la maggior parte di queste persone che ci frequentano o sono molto giovani o hanno superato i 54-55 anni».

È grazie a questo programma occupazionale che alcuni riescono a trovare un nuovo lavoro. «Se però un ragazzo vuole continuare come meccanico di biciclette – precisa Ginelli – deve svolgere un apprendistato e conseguire il diploma. Noi, dal canto nostro, cerchiamo di offrire le condizioni base per un buon punto di partenza e… torniamo così al punto da dove siamo partiti: le biciclette. Quando arrivano qui a Rivera valutiamo in che stato sono. Alcune vengono subito indirizzate alla preparazione per l’Africa, altre alla sistemazione per il mercato locale e altre ancora al recupero pezzi di ricambio. Le bici destinate all’Africa vengono sistemate, smontate e assemblate in modo da tenere il minor spazio possibile nei container che le porteranno a destinazione. Va detto che tutte le nove strutture che si occupano della distribuzione delle biciclette e della formazione dei giovani meccanici nei sette Paesi africani interessati da questa cooperazione, collaborano direttamente con Velafrica».

Cerco, con lo sguardo, tra le centinaia di due ruote che popolano lo Stabile Galli Nord, le mie due biciclette. Giovanni Ginelli si accorge che mi sono distratta. Gli confesso il motivo. Lui sorride e mi chiede: «Erano biciclette o rampichini?». «Erano due rampichini». «Allora sono destinati all’Africa. Giù le strade asfaltate sono poche e i rampichini sono super richiesti, soprattutto dalle famiglie che abitano in villaggi discosti e che si fanno in quattro per mandare i figli a scuola». Ecco, mi vien da dire, se in garage o in cantina avete una bici o un rampichino che non usate più quella di cui vi ho parlato potrebbe essere una buona soluzione.