Bibliografia
Emma, Bastava chiedere. 10 storie di femminismo quotidiano. Laterza, 2020


Bastava chiedere, ti avrei aiutata…

Il libro della fumettista francese Emma offre lo spunto per riflettere sulla fatica mentale che le donne devono affrontare
/ 24.10.2022
di Simona Ravizza

La ripresa della scuola, le e-mail che dopo due settimane di vacanza sembrano fare esplodere la posta elettronica, il bambino che è cresciuto di 3 cm e non ha più pantaloni che gli vanno bene, le nuove richieste del capo, il dubbio che ci sia da fare il richiamo del vaccino contro il morbillo da verificare con il pediatra, l’agenda di appuntamenti che torna a riempirsi come se non ci fosse un domani, le attività sportive dei figli che ci impongono un gioco d’incastri, la lista della spesa che va riprogrammata sui ritmi dell’autunno, e l’elenco può continuare.

La sentenza a Il caffè delle mamme, dove non siamo solite lamentarci, è lapidaria: «Settembre è sempre un incubo, tutto si sovrappone, è come se fatta una cosa se ne moltiplicassero cento». Per dare un nome al cortocircuito che si crea nella nostra testa, e che poi continua a contagiare anche gli altri mesi dell’anno, la mia amica Ilaria mi invita a leggere Bastava chiedere della fumettista francese Emma (ed. Laterza 2020), un’autrice che qualche anno fa su «Azione» la collega Sara Rossi Guidicelli, illustrandone le opere, aveva definito «femminista inclusiva e rivoluzionaria». Eccole, le due parole che fotografano meglio di ogni altra il nostro stato: fatica mentale! Emma la descrive con scene di vita quotidiana ad alto tasso di immedesimazione. Vediamone alcune per poi capire se e come possiamo correre ai ripari.

Prima situazione. A casa sono arrivati gli ospiti per la cena, ma prima di sederci a tavola vanno sbrigate in contemporanea due incombenze: preparare da mangiare e sfamare il piccolo di casa. Così a un certo punto la cena finisce per terra! Compare il marito che dice: «Bastava chiedere, ti avrei aiutata».

Seconda situazione. Il compagno rientra in casa dal lavoro (già con un’ora di ritardo) e annuncia fieramente: «Vado a fare la doccia. A dopo!». Intanto i bambini chiedono attenzione tra compiti da finire e richieste di giocare insieme, e c’è sempre la cena da preparare in tempo per metterli a letto a un’ora decente.

Terza situazione, la più famosa tra le vignette di Emma. C’è da sgomberare il tavolo dopo la cena: iniziamo a prendere un oggetto da mettere a posto, ma strada facendo notiamo che l’asciugamano è sporco e lo andiamo a buttare nel cesto del bucato, che è già pieno; quindi già che ci siamo carichiamo la lavatrice; ed ecco poi che riempiendo il frigorifero con gli avanzi della cena vediamo che per il giorno dopo manca l’insalata, che è da aggiungere alla lista della spesa. Morale: «Alla fine riusciremo a mettere in ordine il mio tavolo solo dopo due faticose ore di lavoro». Se chiediamo di mettere a posto il tavolo ai nostri mariti, loro si limiteranno a spostare le cose mettendoci dieci minuti!

Attenzione: a Il caffè delle mamme siamo (quasi) tutte donne decisamente fortunate con mariti che ci aiutano! Eppure, se utilizziamo lo sguardo di Emma per re-interpretare le nostre giornate ci accorgiamo che: la cena la cucina il marito (nel mio caso il cuoco migliore del mondo), ma la decisione su cosa cucinare e quando per tentare un minimo di alimentazione equilibrata è nostra; al supermercato spesso ci vanno, ma la lista della spesa la dobbiamo fare noi; al campo di calcio o di pallavolo a ritirare i figli si offrono di passare, ma l’orario glielo dobbiamo ricordare; la programmazione su come organizzarci è tutta sulle nostre spalle, poi basta chiedere e l’aiuto arriva.

Sono solo esempi, che non hanno la presunzione di essere esaustivi né di fotografare tutte le situazioni né tantomeno di essere offensivi, ma che possono essere utili per arrivare alla seguente conclusione: anche nel migliore dei casi, la stragrande maggioranza delle volte i mariti/compagni fanno di buon grado quello che c’è da fare, ma non hanno il pensiero di programmare quello che c’è da fare. Emma lo definisce così: «Il carico mentale consiste nel dover sempre pensare a cosa c’è da fare. E ricade quasi esclusivamente sulle donne. Un lavoro continuo, sfiancante e invisibile». Il problema è che pianificare e organizzare è di per sé un lavoro a tempo pieno: «Quello che i nostri partner stanno davvero dicendo quando ci chiedono di dir loro cosa c’è da fare – riflette Emma – è che rifiutano di prendersi la loro parte di carico mentale».

Insomma: i papà moderni sono pronti ad aiutare, ma il più delle volte sotto richiesta o direttiva della mamma a cui resta sulle spalle (o meglio nella testa) il compito di pianificare le giornate minuziosamente in modo da finire il maggior numero di cose nel minor tempo possibile. Il significato di Bastava chiedere è tutto nei commenti che accompagnano l’uscita del libro: oggi i padri cambiano addirittura i pannolini, vestono i figli e danno loro da mangiare; non ci si chiede però, chi nota che la scatola dei pannolini è vuota, chi toglie dall’armadio i vestitini che non vanno più e chi si preoccupa di che cosa deve mangiare un bambino. Per molte s’aggiunge il carico continuo e sempre invisibile dell’essere continuamente attente ai bisogni emotivi degli altri, su tutti quelli del proprio marito: «Sei stanco? Hai bisogno di qualcosa? Sei di cattivo umore?». Il benessere emotivo di chi ci circonda è preoccupazione costante.

La domanda che si impone a Il caffè delle mamme è se c’è soluzione a tutto ciò. Perché – è la nostra convinzione – la stanchezza mentale è peggio di quella fisica. La scrittrice Michela Murgia nell’introduzione di Bastava chiedere dice: «Per molte di noi vedersi in questo libro sarà una rivelazione, per altre un dolore, per tutte un’opportunità preziosa». Forse il primo passo, allora, è la consapevolezza. Per potere rispondere di tanto in tanto alla domanda «cosa cucino stasera?» un bel «pensaci tu!». Eppoi: l’asciugamano sporco può essere buttato da lavare anche in un altro momento, la lista della spesa fatta tutti insieme quando siamo seduti a tavola, gli orari delle attività sportive appese al frigorifero in modo che tutti le possano vedere e ai bambini appena sono un po’ più grandi si insegna a tornare a casa con i mezzi pubblici, per ritagliarsi magari il tempo mentre giocano a calcio o a pallavolo di andare a farsi mettere lo smalto semipermanente sulle unghie. Ci proviamo? A chi già lo fa vanno tutti i complimenti de Il caffè delle mamme.

PS: Prima di inviare l’articolo l’ho fatto leggere a mio marito Riccardo, domandandogli: «Ti sei offeso?». Risposta: «Per niente amore, perché sappiamo bene che a casa nostra non funziona così!». Dubbio personale: forse, anche se è il mio mestiere, non so comunicare abbastanza bene…