«Avere naso» per il Parkinson

Medicina - Una riduzione o perdita dell’olfatto potrebbe essere segnale dell’esordio di questa malattia neurodegenerativa
/ 06.06.2022
di Maria Grazia Buletti

La malattia di Parkinson è caratterizzata da un danno progressivo neurologico al cervello, che aumenta col passare del tempo. «È una patologia neurodegenerativa che cresce più rapidamente dell’Alzheimer per ragioni che possiamo solo presupporre».

A parlare è il professor Alan Kaelin, direttore medico e scientifico del Neurocentro della Svizzera Italiana all’EOC, il quale elenca il ventaglio dei fattori di rischio responsabili del suo incremento e riconducibili a questa malattia: «L’invecchiamento della popolazione è il fattore di rischio più importante: si stima che l’1 per cento delle persone sopra i 65 anni ha prevalenza di Parkinson. L’aumento di questa patologia è favorito da una diagnosi più precoce e migliore di un tempo (diagnostica più specifica, sensibilizzazione dei medici per comprendere meglio la patologia ora considerata anche senza la presenza di tutti i suoi sintomi). Sono pure complici i fattori genetici o legati al sistema immunitario, in combinazione con quelli ambientali predisponenti (come inquinamento, pesticidi, metalli pesanti…)».

Vi sono pazienti che hanno sviluppato il Parkinson poco dopo aver contratto il Covid-19; fra 5-10 anni la correlazione potrebbe diventare evidenza scientifica

Uno degli ostacoli al trattamento del Parkinson è proprio la diagnosi della malattia quando questa si è ormai sviluppata e, secondo il neurologo «sono i sintomi motori a impattare sulla qualità di vita e ciò fa sì che la si consideri ancora, a torto, una malattia puramente dell’apparato locomotore, dimenticando tutti i disturbi pre-motori neurologici e mentali come depressione e ansia, problemi di equilibrio e di memoria, insonnia e perdita dell’olfatto».

Su quest’ultimo sintomo si riaccende il grande interesse della ricerca (complice la pandemia da Covid-19 che ha fra le sue più importanti manifestazioni proprio la perdita di gusto e olfatto), insieme al già ipotizzato e ormai molto discusso legame di probabile causa infettiva del Parkinson. «Diverse ricerche scientifiche ci hanno confermato che una riduzione o la perdita dell’olfatto potrebbe essere un segnale molto precoce di esordio della malattia di Parkinson, a meno che non si sia affetti, per esempio, da un raffreddore o da una malattia delle vie respiratorie superiori».

Da sempre centro di attenzione degli specialisti otorinolaringoiatri, il naso, organo dell’olfatto, oggi risveglia un grande interesse anche nei neurologi e nei ricercatori, in quanto «è una delle vie più dirette fra l’esterno e il nostro cervello, con una funzione molto arcaica e molto più ampia di quella legata semplicemente al cibo e agli odori».

Kaelin spiega come i recettori neuronali della mucosa nasale siano direttamente connessi con il nostro cervello: «La rapidità con cui i sensori neuronali del naso e il cervello comunicano dà luogo al riconoscimento degli odori e all’integrazione col gusto mentre mangiamo, in un’esperienza globale che comprende più sensi come visione, gusto, sapore e via dicendo. Una parte di queste informazioni olfattive va direttamente ai centri della memoria che riconoscono in modo intrinseco gli odori».

La memoria olfattiva è qualcosa di innato, spontaneo, legato alle emozioni e pure distante da altre funzioni come quella della parola: «So che sento un buon odore ma non so definirlo a parole. Quando è nota la difficoltà di dare un nome a un odore, svolgiamo i test dell’olfatto sottoponendo al paziente immagini per esempio di fragola, mela o altro, i cui odori del test sono associati all’immagine». È dunque evidente da tempo, anche se spesso sottovalutata, la stretta correlazione fra olfatto, cervello e, per l’appunto, sviluppo della malattia di Parkinson.

Oggi questa via ha preso nuovo slancio nella ricerca neurologica per due importanti ragioni: «La diagnosi precoce del Parkinson permette una migliore presa a carico della malattia, e sappiamo che la perdita dell’olfatto può essere un fattore molto precoce. Inoltre, il Covid-19 ci ha permesso di riflettere nuovamente sulla possibile e già ipotizzata origine virale di questa malattia: l’anosmia è infatti un sintomo molto presente nel Covid e ci obbliga a riflettere sul perché un virus possa provocare direttamente la perdita dell’olfatto. Non si tratta di una rinite, perché quei pazienti presentano spesso anosmia con naso libero. Detto ciò, anche per il Parkinson resta da indagare questa via così diretta fra mondo esterno e cervello, nel meccanismo di alcuni recettori olfattivi a cui certi virus si attaccano andando poi direttamente ai neuroni cerebrali: passaggio durante il quale danneggiano il sistema olfattorio».

Il neurologo spiega un altro interessante legame con i meccanismi del Covid-19: «Vi sono pazienti che hanno sviluppato la malattia di Parkinson poche settimane dopo aver contratto il Covid-19. Parkinson che magari era latente e poi conclamatosi con lo stress (è noto che influenza, febbre, o stress psicologici possono innescare patologie latenti)». Solo fra 5-10 anni queste osservazioni del probabile ruolo del Covid nella malattia di Parkinson potranno diventare evidenze scientifiche.

Intanto: «Questa ipotesi ci permette di indagare in quella direzione, e forse oggi abbiamo trovato nel sistema olfattivo la porta d’entrata di alcuni virus. Così è pure per quanto attiene al Parkinson: malattia probabilmente coinvolta nel meccanismo della via usata da questo Coronavirus». Si tratta di ipotesi suffragate da altre evidenze scientifiche: «D’altronde, è oramai noto che la via olfattiva gioca un ruolo pure per la rabbia: studi in zone infettate in America hanno dimostrato che solo la presenza di gocce nelle grotte dove si trovano pipistrelli affetti da rabbia può trasmettere questa malattia all’essere umano senza che egli sia morsicato, anche se si tratta di un’evenienza molto rara».

È molto importante che si siano dunque riaccesi i riflettori sulla ricerca in questi termini poiché, afferma Kaelin: «La perdita dell’olfatto ha una prevalenza di circa il 90 per cento nella malattia di Parkinson, sintomo che potrebbe quindi essere la chiave per la diagnosi precoce». Ed è importante perché coloro che sono nelle prime fasi avranno maggiori probabilità di trarre beneficio da studi clinici neuro-protettivi e trattamenti futuri: «Se potessimo capire cosa sta succedendo nelle persone agli esordi della condizione, potremmo lavorare sullo sviluppo di trattamenti che potrebbero impedire la progressione del Parkinson. Cosa che nessuna terapia attuale può ancora fare».