Silenzio, parla il silenzio. Quattro giorni, dal giovedì alla domenica. «Vere e proprie occasioni. Qui c’è silenzio assoluto, rotto soltanto dal canto degli uccelli», dice fra Michele Ravetta, guardiano del convento del Bigorio, evocando l’incanto del luogo e implicitamente quel Cantico delle creature di San Francesco cui dobbiamo la nascita della letteratura italiana. Le Giornate di ritiro Silentium – una proposta che si rinnova da 15 anni – tornano in uno dei conventi cappuccini più antichi al mondo, fondato nel 1535. Il prossimo evento si svolgerà dal 17 al 20 marzo e altri due saranno in programma a ottobre e novembre.
«Con l’impulso del Concilio Vaticano II il Bigorio è divenuto luogo di accoglienza umana, spirituale, culturale per uomini e per donne. Quella che io definisco “fame di spiritualità”, più che “fame di Dio”, spinge un crescente numero di persone a soddisfare il bisogno di fermarsi, di riequilibrarsi e di compiere questa esperienza interessante, fuori casa, in un’abitazione molto più grande, composta da spazi privati e spazi condivisi: c’è la cella, il refettorio, i giardini, la chiesa. Ognuno prende quello di cui ha bisogno. Credo che il silenzio oggi sia un dono prezioso che va ricercato e una volta trovato va conservato. Il silenzio non è soltanto l’assenza di parole: perché possiamo tacere con la bocca – come diceva Sant’Agostino – e gridare con il cuore. Ecco, dovremmo ascoltare questo silenzio, quelle conversazioni interiori che ci vengono fuori proprio grazie a questa esperienza e porci in ascolto con una maggiore consapevolezza».
Quali sono i benefici? «Quando il giovedì vedo arrivare i partecipanti alla giornata di ritiro hanno un tipo di faccia e di colore, quando ripartono sono invece persone luminose, equilibrate, in pace, molti esprimono il desiderio di tornare. E questo è bello, significa che l’iniziativa ideata da fra’ Roberto si rivela utile». Come si svolge compiutamente il soggiorno di silenzio al Bigorio? «S’inizia il giovedì alle 18 con un momento di accoglienza e con la cena comunitaria durante la quale è ancora possibile parlare. Da quel momento in poi inizia il silenzio fino alla domenica dopo pranzo in cui si torna alla parola. Prima dei pasti sono previste delle meditazioni facoltative durante le quali a turno – oltre a me, fra’ Ferruccio Consonni e fra’ Gianluca Lazzaroni – offriamo brevi spunti facoltativi di riflessione a carattere sia ecumenico sia laico. Si tratta di un percorso alla ricerca di sé stessi, attraverso una “guida”, in questo caso la comunità di frati. Un momento che va inteso come input. Va evidenziato che ognuno dei partecipanti è libero di occupare il tempo di queste quattro giornate come vuole, con le proprie letture, le proprie escursioni attorno al Convento».
È un momento anche di assoluta inattività del corpo e della mente? «Esatto. C’è gente che viene soprattutto per riposare, per gestirsi il tempo, per trovarsi tre pasti al giorno pronti, per cambiare aria. Generalmente, chi ha una spiritualità cristiano-cattolica, aderisce sia alle meditazioni sia alla ritualità della comunità, quindi la preghiera del mattino alle 6.15, il vespro la sera. Noi diamo il contenitore e degli spunti, la gente fa davvero quello che ha bisogno».
Le giornate del Silentium sono frequentate anche da atei e non praticanti? «Sì, ci sono anche persone atee o di altre confessioni interessate a partecipare perché l’impronta non è troppo cattolica. Il ritiro è aperto a tutti. I nostri partecipanti sono soprattutto pensionati – dopo una vita di lavoro, mamme, papà, manager – ma si iscrivono anche persone un po’ più giovani».
Ce la si fa a restare in silenzio per quattro giorni? «Non siamo un ordine benedettino, dove dopo cena c’è il silenzio grave e se parli devi andare dall’abate a chiedere la colpa. Noi ci impegniamo come cappuccini francescani e come servizio a rispettare il silenzio. Ci si saluta con il gesto del capo, ma se qualcuno parla non è uno scandalo. Ognuno si regola, nella corresponsabilità dell’altro, ma in genere ce la fanno tutti a osservare il pieno silenzio».
Quali giovamenti restituisce il silenzio? «Penso in questo momento a tutto quanto è la cultura dell’Oriente, il silenzio è qualcosa che serve soprattutto a sé stessi, ma che ognuno ha già dentro. Ci sono delle risorse in noi che sono un po’ sopite dalla società frenetica, dal lavoro, il telefonino, il traffico… Dall’esperienza del silenzio può saltare fuori un po’ di tutto: le crisi, i cambiamenti, le scelte di vita. Il silenzio porta benefici. Penso a chi deve lavorare, a chi deve educare, per raggiungere degli scopi. Ritirarsi nel silenzio per quattro giorni rappresenta un regalo che si fa a sé stessi, e credo che sia un tempo prezioso». Venticinque è il numero dei partecipanti disponibile a ogni ritiro, tante sono infatti le camere-celle disponibili nel convento.
Informazioni
www.bigorio.ch