Bisogna volare per scoprire nel modo migliore la geografia del canton Ticino. Osservando dal cielo, a bordo di un elicottero o di un piccolo aeroplano, si nota una particolarità, appena fuori dai centri abitati e dalle piane sfigurate dai capannoni: sui pendii, ai bordi dei boschi, nelle vallate, si svela una miriade di costruzioni, di legno o di granito: i rustici. Celeberrimi perché sono stati protagonisti di una contesa tra Cantone e Confederazione per deciderne il destino. Famosi perché nel corso degli ultimi cinquant’anni si è assistito al riattamento e alla ristrutturazione di molti esemplari, non sempre con risultati apprezzabili. Anzi, sono nati veri e propri ecomostri.
In ogni caso i rustici appartengono all’identità della regione. Si stima che le costruzioni in zone non edificabili siano complessivamente circa 60mila e che almeno circa 10mila sono rustici che meriterebbero di essere protetti e ristrutturati. Per il Ticino rappresentano una risorsa: turistica, dato che possono essere utilizzati come strutture di accoglienza, ed economica, perché la ristrutturazione può dar lavoro a piccole aziende e agli artigiani.
La Federazione delle associazioni dell’artigianato del Ticino (Glati) si occupa e preoccupa, da tempo, di rilanciare i vari settori dell’artigianato grazie al progetto Rustici Ticino, «che prevede l’analisi della cultura tradizionale del canton Ticino attraverso lo studio dell’architettura e della cultura materiale».
L’obiettivo del progetto – ci dice Claudio Gianettoni, presidente della Federazione – è di «salvare e valorizzare il patrimonio frutto di una cultura unica, vero e proprio bene storico locale, e favorire l’occupazione e le attività artigianali nelle zone periferiche. Crediamo sia importante, nella scelta e nel recupero degli immobili, affidarsi a professionisti che hanno le conoscenze e l’esperienza per intervenire nel settore».
Glati ha avviato un censimento degli operatori del settore, artigiani e professionisti, da inserire in una Banca dati a disposizione dei proprietari e di tutti gli interessati.
In Ticino la storia dei rustici coincide con il mancato rispetto delle leggi e con un atteggiamento che ha cercato di sdoganare la cultura del «fai da te» senza farsi condizionare da domande di costruzione o richiesta di permessi. Sono infatti innumerevoli le costruzioni rurali che sono state riattate abusivamente, non rispettando l’originale e l’ambiente circostante. Insomma, se ne vedono di tutti i colori: balconcini e terrazze, autorimesse, finestroni, aggiunte in materiali improponibili, innalzamenti vertiginosi, lastricati sproporzionati, ecc. ecc.
«Il progetto Rustici Ticino – spiega l’architetto Francesco Buzzi, presidente della Federazione architetti svizzeri (FAS) – è interessante perché fa capire che la qualità va difesa partendo dalle radici. È molto utile stimolare una riflessione su come si costruiva una volta. Il buon architetto deve mettersi al servizio di un luogo e di un contesto. Rispettare il paesaggio, senza alterarlo, intervenendo in modo minimalista».
Nel 1980 entra in vigore la Legge sulla protezione del territorio che sancisce il principio della separazione tra zone edificabili e non edificabili. Nelle prime fanno stato i piani regolatori comunali, nelle seconde vigono le disposizioni federali. Bisogna aspettare fino al 2000 per varare un’ordinanza che precisa le condizioni per il cambiamento di destinazione. E, infine, il 2010 affinché il Gran Consiglio approvi il PUC-PEIP, vale a dire il Piano di utilizzazione cantonale dei paesaggi con edifici e impianti protetti, che fa riferimento al Piano Direttore cantonale. Dopo anni di contrapposizione tra Cantone e Confederazione, nel 2012 l’Ufficio federale dello sviluppo territoriale (ARE) rinuncia a contestare il Piano cantonale nel suo insieme, così che si riapre la possibilità di ristrutturare un rustico in piena legalità. Il Dipartimento del territorio alla voce www.ti.ch/rustici offre tutte le informazioni necessarie per i proprietari che volessero riattare.
Davanti al Tribunale amministrativo pendono circa 250 ricorsi relativi a progetti di ristrutturazione che non rispetterebbero le regole della pianificazione. Negli ultimi quattro anni il Dipartimento del territorio ha evaso circa 230 domande di costruzione, di cui l’80% in modo favorevole. Inoltre, lo scorso mese di luglio il Consiglio di Stato ha inviato al Parlamento un messaggio che chiede di stanziare 3,6 milioni di franchi per i prossimi quattro anni, a favore di progetti di valorizzazione del paesaggio, in particolare per la costruzione dei tetti tradizionali in piode.
La Federazione dell’artigianato sta promuovendo il rilancio dei rustici, cercando di creare una sinergia fra la volontà e la necessità dei proprietari di ristrutturare e l’interesse di piccole aziende artigianali di offrire le loro competenze. «Per questo è stata costituita – afferma Gianettoni – la piattaforma www.rustici-ticino.ch che vuole raccogliere e promuovere gli artigiani del settore da una parte e dall’altra essere strumento per i proprietari ed i professionisti per scegliere gli artigiani che meglio rispondono alle varie esigenze».
In sostanza si tratta di approfittare del bisogno di ristrutturare per dare nuova linfa a settori dell’artigianato che altrimenti andrebbero persi. «Oggi trovare un fabbro che ancora sa usare la forgia e realizza opere in ferro battuto è un compito difficile», annota Gianettoni. L’obiettivo è il rilancio dei mestieri legati all’edilizia storica.
Gli attori in campo per questa sfida sono diversi: architetti, che hanno la responsabilità di intervenire salvaguardando le peculiarità delle costruzioni rustiche, senza tradire le specificità della civiltà rurale di un tempo, operatori del settore dell’edilizia, che devono dimostrare attenzione per la qualità degli interventi; funzionari e pianificatori del territorio, giudici chiamati a valutare le situazioni critiche e banche interpellate per finanziare i progetti di rivitalizzazione e di recupero.
«Perché il progetto Rustici Ticino funzioni – sottolinea l’architetto Francesco Buzzi – bisogna superare una certa miopia culturale. Va promossa una mediazione culturale per far capire che gli interventi recenti hanno dato risultati negativi, mentre l’architettura rurale originaria aveva grandi qualità. Bisogna promuovere i buoni esempi».
Vale ancora il suggerimento dell’architetto Tita Carloni: o i rustici si lasciano al loro destino, una dignitosa caduta in rovina pura e semplice, oppure si interviene con «la trasformazione in modeste case attrezzate per il tempo libero, con interventi sobri, qualificati e manifesti, che rivelino onestamente la circostanza che lì non soggiornano più poveri pastori, donne pie e qualche vaccarella…».