Esiste ancora l’architettura ticinese? Il quesito non è un artificio retorico, è fondato sull’amara consapevolezza che da qualche tempo, nell’ambito di una più generale eclisse della critica, sono scomparse dalla scena pubblica le riflessioni sullo stato attuale dell’architettura ticinese, sulle sue trasformazioni rispetto alla fase epica – dal dopoguerra al 2000 – che ha dato origine ed ha formato una cultura conosciuta in tutto il mondo, salvo qualche accenno in occasione della morte dei suoi protagonisti più anziani. «Esiste ancora l’architettura ticinese» vuole dire chiedersi, per esempio, se la produzione architettonica ticinese è ancora distinguibile da quelle degli altri cantoni e dallo scenario europeo.
Fino alla sua scomparsa nel 2019, Paolo Fumagalli ha insistito, anche su queste pagine, sul tema della dimensione etica del mestiere, riportando ogni questione di attualità all’eredità dei maestri, al modo di metabolizzarla e rinnovarla adeguandola ai nuovi bisogni. E già negli ultimi anni la voce di Fumagalli era apprezzata ma isolata. Negli stessi programmi dell’Accademia di Mendrisio – fondata da Botta e Galfetti con l’obiettivo, tra gli altri, di sostenere le ragioni dell’architettura ticinese – la presenza dei docenti ticinesi di progettazione si è ridotta al minimo. In questa condizione preoccupante, tuttavia, il vicedirettore dell’Archivio del Moderno Nicola Navone conduce un corso di storia intitolato «L’architettura in Ticino 1945-2000», che propone agli allievi architetti la conoscenza dell’esperienza di quegli anni come elemento importante della loro formazione.
Il Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica ha finanziato la ricerca diretta da Navone, che prevede, oltre allo svolgimento del corso citato, la pubblicazione della Guida storico-critica all’architettura del XX secolo nel Cantone Ticino, il cui primo volume è liberamente consultabile dall’inizio dell’anno all’indirizzo www.ticino4580.ch/mappe .
Il formato elettronico della Guida, in modalità open access, ha l’obiettivo di rendere accessibile non soltanto agli addetti ai lavori ma anche al grande pubblico la conoscenza degli studi condotti nell’ambito di questa ricerca. L’architettura ticinese, come ha scritto Nicola Navone, «continua a sollecitare la nostra attenzione e a fornire paradigmi validi anche per l’attuale pratica architettonica». Il primo volume è composto da 35 schede, mentre la Guida completa raggiungerà circa 300 schede, di agile lettura, ognuna dedicata ad un’opera. Ogni scheda è formata da un testo storico-critico e da un ricco apparato iconografico, sia d’epoca che attuale. Entro maggio uscirà la versione in inglese ed entro giugno il secondo volume. Consultabile secondo quattro chiavi di ricerca (tipologia, autore, luogo, periodo), la guida illustra non solo opere relative all’edilizia civile ma anche le infrastrutture ferroviarie, stradali e idroelettriche, che hanno svolto un ruolo importante nella costruzione del territorio, nella convinzione che ogni intervento di trasformazione dell’esistente appartenga alla cultura architettonica. È una scelta significativa, tendente ad estendere le competenze spaziali degli architetti, che oggi vedono invece ridursi la rilevanza sociale del mestiere.
Molte tra le opere illustrate nel primo volume – di Tami, Ponti, Carloni, Brivio, Snozzi, Finzi, Vacchini, Botta, Camenzind, Brocchi, Ruchat, Galfetti, Trümpy, Jäggli, e altri – sono ancora capaci di provocare emozioni, sono contemporanee, continuano a trasmettere la carica innovativa originaria, fondata sulla capacità dei loro autori di assumere una distanza critica dalla realtà, per migliorarla. Chi scrive è convinto che al quesito «se l’architettura ticinese è ancora distinguibile da altre architetture» si possa ancora rispondere positivamente. La modifica dei linguaggi determinata dalla estensione planetaria delle conoscenze, l’adozione di nuove tecnologie per far fronte ai temi energetici, il confronto con contesti territoriali e sociali profondamente diversi e la stessa trasformazione della condizione professionale, hanno mutato l’aspetto delle opere rispetto a quelle dell’altro secolo. C’è sicuramente un’atmosfera di disorientamento, di ricerca di nuovi riferimenti, e tuttavia permane in molte di queste opere la chiarezza dei concetti e il rigore degli impianti, la coerenza tra le parti e l’economia dei mezzi espressivi. Qualità che rivelano la cultura che ha alimentato la formazione dei loro autori e che mancano con pari evidenza in tante altre produzioni architettoniche contemporanee. Le tendenze internazionali a concepire l’architettura come spettacolo finalizzato a sorprendere e a progettare l’aspetto esteriore dell’involucro separandolo dai temi distributivi, non hanno attecchito fino ad ora in Ticino, ma cominciano ad apparire all’orizzonte.
Per questo la ricerca diretta da Nicola Navone è un evento importante, che integra e supera gli studi e le ricerche edite tra gli anni 70 e l’inizio del nuovo secolo. Mediando in modo intelligente tra il rigore della ricerca scientifica e la semplicità della comunicazione, la Guida è un’occasione conoscitiva offerta a tutti coloro che apprezzano l’architettura. La sua lettura rivela quanto in comune avessero quelle opere pur esprimendo approcci diversi, e come quei concetti comuni mantengano la loro forza innovativa. Per esempio, la tensione all’urbanità e la ricerca di relazioni dense per formare spazi socialmente significativi caratterizzano, più di tante opere recenti, gli edifici urbani di Rino Tami o di Peppo Brivio. La loro è ancora una lezione per tutti coloro che con il loro mestiere contribuiscono a determinare le trasformazioni nelle città e nel territorio.
L’auspicio è che la Guida, riempiendo un vuoto culturale, costituisca il supporto conoscitivo necessario per sviluppare una nuova stagione critica.