«L’accoglienza dei minori è sempre più complessa. Io sono all’Associazione Ticinese Famiglie Affidatarie (ATFA) da 19 anni. All’inizio un ragazzino di dieci o undici anni era gestibile, ora è tutto più difficile per una famiglia affidataria che accoglie un minore. Sicuramente la società è cambiata. I ragazzi necessitano di regole, spesso sono giovani un po’ allo sbando, dicono che sono abituati a fare ciò che vogliono perché i genitori sono sovente assenti. È quasi un paradosso: da una parte i ragazzi cercano regole perché hanno bisogno di sicurezza, dall’altra le rifiutano perché non sono abituati a rispettarle. Questo aspetto, all’inizio del collocamento, crea problemi e difficoltà. Negli ultimi anni è emerso un disagio psichico in molti minori; è sicuramente una problematica complessa, alla quale è difficile rispondere sia in ambito famigliare, sia a livello di strutture di accoglienza».
Con Andrea Milio, responsabile per il Sottoceneri dell’Associazione Ticinese Famiglie Affidatarie, facciamo il punto su questo prezioso lavoro di sostegno sociale alle famiglie e ai minori in difficoltà. Da più di quarant’anni si cercano persone disponibili ad assumere il ruolo di famiglia affidataria. Possono essere coppie sposate, conviventi, singoli, con o senza figli o omogenitoriali. Insomma, massima apertura verso chi desidera assumere questa responsabilità.
Le famiglie, sempre di più, sembrano abdicare al ruolo normativo. «Negli ultimi anni – sottolinea Milio – questo è l’aspetto più importante. Siamo confrontati con situazioni dove il padre non c’è o c’è pochissimo. Spesso ci sono donne sole in situazioni di fragilità, abbiamo tantissimi affidi in cui c’è solo la mamma naturale. L’assenza del padre, d’altra parte, è una costante: lo vediamo nel corso dei diritti di visita dove il minore vede solo la mamma».
Attualmente l’ATFA gestisce circa 150 famiglie affidatarie a lungo termine con 160 minori e una decina di famiglie SOS, che intervengono nei casi d’emergenza per brevi periodi – al massimo sei mesi – che ogni anno ospitano dai 25 ai 30 minori. «Le famiglie SOS sono pronte per accogliere minori quando, per esempio, la madre sola deve partorire o, peggio, quando una mamma viene ricoverata d’urgenza in clinica psichiatrica, o ancora in casi di maltrattamento e abuso sui figli», spiega Andrea Milio.
L’affidamento – chiarisce l’Associazione – è sempre preceduto da interventi di sostegno economico o educativo, sociale e psicologico, alla famiglia d’origine, allo scopo di evitare l’allontanamento del minore. Solo nelle situazioni in cui tali interventi non abbiano dato sufficiente risultato di tutela del benessere e della crescita del minore o vi siano seri motivi che facciano ritenere rischiosa per il minore la sua permanenza a casa, si fa ricorso all’affidamento famigliare.
L’affido classico può durare anni. Ci sono neonati che sono diventati maggiorenni nella famiglia affidataria. Tante belle storie di legami tra i figli affidati e la nuova famiglia, che diventa punto di riferimento per la vita.
«Lo scopo dell’affido – ci dice Milio – è fare un percorso insieme, che può durare a lungo, o può essere più breve e concludersi con il rientro nella famiglia d’origine perché non esiste più la situazione di disagio. Questi sono casi rarissimi perché, quando siamo di fronte a patologie psichiatriche, a dipendenze o a una grave inadeguatezza genitoriale con maltrattamenti, il rientro non può avvenire».
Negli ultimi due anni ATFA ha messo in piedi due nuovi progetti: la Casa Famiglia e il Punto d’Incontro. La Casa Famiglia è nata nel 2020 grazie al finanziamento della Catena della solidarietà e della fondazione Medacta for life, oltre a una donazione privata. Si tratta di una coppia che accoglie nella propria abitazione al massimo quattro minori. La mamma affidataria è una professionista, un’educatrice con esperienza in istituti del cantone. Si tratta di un’accoglienza professionale in una casa che offre l’intimità di una famiglia.
Rachele e Niki sono i due genitori che gestiscono la casa, dove in questi due anni sono passati 13 ragazzi di età diverse. La coppia non ha figli, ma aveva già avuto un’esperienza con un bambino in affido. Poi, due anni fa, entrambi hanno deciso di lanciarsi come pionieri, nel progetto di Casa Famiglia, che offre un’intimità che gli istituti non sono in grado di garantire. «Ciò che ci contraddistingue rispetto alla famiglia affidataria classica – ci dice Rachele – è di avere contemporaneamente diversi tipi di ragazzi. O minori che possono restare a lungo, come la bambina che è con noi da una decina d’anni – o ragazzi accolti come SOS, per brevi periodi a causa di situazioni di emergenza. La nostra esperienza è positiva, siamo contenti e andiamo avanti». Alla fine dell’anno scorso il Dipartimento della Sanità e della Socialità (DSS) ha confermato che la Casa Famiglia è un progetto utile e necessario e quindi viene riconosciuto e sostenuto finanziariamente. «Ai ragazzi fa bene vivere in questo piccolo gruppo – sostiene Niki – così vedono che non sono casi isolati, non sono gli unici confrontati con un disagio. Alcuni rimangono solo sei mesi, altri più a lungo. In tutti i modi ci rendiamo conto che lasciamo un segno».
Il Punto d’Incontro è partito nel gennaio dell’anno scorso. Si tratta di uno spazio neutro, un appartamento in cui i minori possono incontrare la famiglia d’origine. Nell’affido il momento dell’incontro con il genitore naturale è il più difficile, più faticoso, a livello emotivo, soprattutto per il bambino: questa fatica del minore si ripercuote anche sulla famiglia affidataria. «Il punto d’incontro ATFA – precisa Milio – è nato non solo per un’osservazione della relazione tra minori e genitori, ma per sostenere e accompagnare i genitori in modo attivo, con lo scopo di liberalizzare gli incontri».
L’ATFA ha un contratto di prestazione con il DSS e dal 2011 è finanziata nella misura del 93%. A loro volta, le famiglie affidatarie ricevono una retta, un rimborso spese per la cura del minore, vitto e alloggio e spese vive. Per gli affidamenti presso parenti, le famiglie ricevono 900 franchi al mese, per quelli extra famigliari 1500 e per gli affidamenti SOS 2000 franchi. A certe condizioni questi contributi possono essere aumentati fino a 400 franchi al mese. La questione del finanziamento è un punto delicato. «ATFA – ci dice Andrea Milio – è sovvenzionata per quasi la totalità dei costi, ma avendo una parte scoperta, siamo sempre alla ricerca di fondi. L’Associazione negli ultimi anni ha avviato due progetti importanti: la Casa Famiglia Professionale e il Punto d’Incontro. La Casa Famiglia proseguirà con il supporto del Cantone; invece, per quanto riguarda il Punto d’Incontro, non ne abbiamo la certezza. Anche se lavora a pieno regime e abbiamo una lista d’attesa, è sempre molto faticoso ottenere fondi, lo Stato dovrebbe investire di più nel sociale».
L’ATFA è stata fondata nel 1981 grazie a un gruppo di genitori e di terapeuti. È nata in sordina e si è sviluppata man mano con fatica. È una storia identica a quella di tante associazioni nate in Ticino dalla società civile. Organizzazioni a sostegno delle famiglie con bambini portatori di handicap, antenne per offrire aiuto a chi soffre di dipendenze, servizi per le mamme lavoratrici, asili nido, eccetera. Una miriade di associazioni nate spontaneamente e solo in un secondo tempo riconosciute dallo Stato e sostenute finanziariamente. È una storia esemplare e significativa per il nostro Cantone, che fa onore a tutte quelle persone, all’inizio volontari, che hanno creato queste strutture socialmente indispensabili. C’è solo da augurarsi che anche in periodi di vacche magre, come quello che stiamo attraversando, lo Stato non sacrifichi il sostegno a queste associazioni, non tagli nel sociale. C’è da sperare che il direttore del DSS, Raffaele De Rosa, possa convincere i suoi colleghi di governo che «l’aumento del debito pubblico non dev’essere un tabù, in un Cantone con un Prodotto interno lordo da 30 miliardi di franchi», come ha dichiarato recentemente.
Intanto l’Associazione Ticinese Famiglie Affidatarie lancia un appello importante: è sempre alla ricerca di famiglie interessate a intraprendere questa esperienza, sicuramente impegnativa e intensa, ma che può far scoprire nuove relazioni e tessere legami ad alta intensità fra adulti e minori che non hanno relazioni famigliari: «Apri la tua casa e il tuo cuore a un bambino in difficoltà».