«Scompaiono troppe testimonianze del nostro passato», è il grido d’allarme lanciato da Martin Killias, presidente di Patrimonio Svizzero, Heimatschutz, la più antica associazione ambientalista svizzera, fondata nel 1908 e da sempre attiva nella protezione della natura e del patrimonio culturale.
L’archeologia è sempre più spesso confrontata con uno sviluppo urbanistico che in genere dimostra poca sensibilità nei confronti dello studio del passato, attraverso i reperti ritrovati sotto terra. Quando si scoprono vestigia antiche – afferma Killias sulla rivista «Il nostro Paese» (n.343, aprile 2021)– «bisognerebbe che queste tracce fossero trattate con rispetto, sia rendendole visibili, sia ricoprendole di sabbia per conservarle per ancora un po’ di eternità».
«Durante il ginnasio – ci racconta il presidente – ero molto interessato alla storia dell’arte. Poi dopo la maturità vedevo prospettive limitate nell’ambito degli studi storici, non volevo diventare un docente di scuola cantonale, e quindi mi sono indirizzato verso il diritto, pensando alla specializzazione di ambiente e monumenti. Poi ho scoperto il diritto penale e anche la psicologia sociale e quindi sono diventato esperto di criminologia. Alla fine della carriera, dopo 38 anni di insegnamento e 300 pubblicazioni, ho scelto di fare altre cose e sono tornato alla disciplina amata in gioventù».
Lei lancia un monito: l’archeologia in Svizzera è maltrattata?
Dipende. Il problema è questo: la sostanza dell’eredità archeologica si trova sottoterra, in principio non è visibile e questo è un difetto. Quello che si vede è più facile da proteggere. Poi dipende da dove sono i siti archeologici. Se si trovano in un bosco o in un terreno lontano dallo sviluppo urbanistico, non è così problematico, perché nessuno vuole costruire. Invece, per esempio nel piano di Magadino o in una zona urbana, può nascere facilmente un conflitto, tra interessi archeologici e storici da una parte e interessi degli ambienti immobiliari, privati o pubblici, dall’altra. Perciò si è confrontati con la necessità di ponderare questi interessi e, purtroppo, in questa ponderazione l’archeologia è spesso perdente. Non ha difensori di potere, ha un’influenza limitata, mentre gli interessi privati o pubblici immediati hanno una logica ovvia per la maggioranza della popolazione. Questo è un problema cronico. Le cito l’esempio della collina di Le Mormont, nel canton Vaud, che fa da spartiacque tra i bacini idrografici del Rodano e del Reno. Su questa collina si trova una necropoli con centinaia, o forse migliaia, di fosse che risalgono a 1500 anni fa. Una necropoli importantissima di rilievo europeo. Qui c’è un cementificio che scava da anni e che intende ampliare la cava. Il cemento lo usano quasi tutti e poi ci sono posti di lavoro e quindi la difesa di questi interessi finisce per avere la priorità.
Non ci sono sufficienti strumenti legislativi per salvaguardare il lavoro degli archeologi?
È il diritto cantonale, in quasi tutti i cantoni, che definisce la base legale e garantisce la ponderazione degli interessi in gioco. Le faccio un altro esempio, a Baden. Ci sono vestigia di bagni romani importantissimi perché hanno la particolarità di essere stati usati dai romani all’epoca, e ancora per secoli fin verso il 1800. Ora si vuole costruire un nuovo centro balneare, cosa legittima, ma i costruttori vogliono andare avanti posando tubi attraverso i vecchi bagni termali e sono in conflitto con gli archeologi, che non hanno finito di scavare e di rilevare. Se non si può avere l’immagine globale del sito, l’archeologo non riesce a lavorare come dovrebbe. Heimatschutz è intervenuta presso il Dipartimento federale dell’interno per chiedere di proteggere la ricerca archeologica, ordinando uno stop della costruzione della stazione balneare. Non abbiamo avuto successo perché il governo argoviese ha reagito. Sul piano legale l’iniziativa non ha avuto il successo desiderato, ma indirettamente ha molto migliorato le condizioni di lavoro degli archeologi. Bisogna sempre intervenire, magari non si ha un successo completo, ma si riesce a sensibilizzare e qualcosa si ottiene.
Che cosa ha imparato in questo periodo alla testa di Patrimonio svizzero?
Ho capito, in questi anni, l’importanza dei ricorsi per via giuridica. Abbiamo fatto molti ricorsi e ne abbiamo vinti una proporzione importante, forse il 70%. Un risultato significativo, con giudizio del Tribunale o transazione favorevole a noi. Questo alto tasso di successo ha avuto un effetto indiretto. I comuni e gli ambienti immobiliari hanno capito che bisogna ascoltare Heimatschutz. Che è più opportuno confrontarsi con noi piuttosto che scontrarsi in tribunale. Adesso vediamo effettivamente che c’è una stabilizzazione dei ricorsi e aumentano le richieste di venire a vedere sul posto, di discutere e di cercare un compromesso. A volte si tratta anche di compromessi originali. Vale anche per altre associazioni, Pro natura, WWF, ecc. È importante farsi sentire, esprimere le opposizioni per le vie legali. La mia valutazione personale è che per ottenere risultati bisogna farsi rispettare e questo proviene dal successo ottenuto in via giuridica.
È importante che le associazioni della società civile intervengano a difesa del patrimonio culturale del Paese. Si possono percorrere strade diverse. Approfittando del diritto di ricorso, nei confronti di progetti che mettono in pericolo il patrimonio culturale, architettonico e storico, oppure promuovendo iniziative popolari. In questo senso ci sono due iniziative, lanciate da organizzazioni ambientaliste nazionali, che dovranno essere vagliate a Berna. L’Iniziativa biodiversità esige una quantità sufficiente di superfici e di finanziamenti a favore della natura e intende fissare la tutela del paesaggio e dei beni culturali nella Costituzione federale. L’Iniziativa paesaggio intende porre un chiaro freno alla cementificazione delle superfici naturali e dei terreni coltivati all’esterno delle zone edificabili. Ora sono in consultazione, poi deciderà il Parlamento e, eventualmente, il popolo.