Il giornalismo è una professione in crisi. Il processo di concentrazione dei media scritti in Svizzera (gruppi leader che si appropriano di una testata di giornali regionali o locali senza cambiarne la denominazione) ha ridotto della metà, rispetto agli anni del secondo dopoguerra, le redazioni autonome. Anche il numero dei giornalisti è in forte calo: gli iscritti al sindacato maggiore, Impressum, sono calati di quasi la metà tra il 2002 e il 2022 (da 6096 a 3538). Le scuole di giornalismo segnalano una minore preparazione dei candidati in entrata: meno laureati e laureate. E gli editori della Svizzera tedesca propongono un salario minimo di 4800 franchi mensili: anche sul piano dell’offerta, il giornalismo si vende male.
Tre aspetti ci interessano qui: la quota parte delle donne negli albi professionali, la loro incidenza nell’offerta mediatica, le condizioni di lavoro e di salario offerte. Do per scontato che anche in molte altre professioni le donne stentano ad affermarsi: l’editore Franco Angeli ha appena lanciato un libricino intitolato Donne nella scienza. La lunga strada verso la parità, in cui le autrici ripercorrono la strada in salita verso la parità, che pare tuttavia ancora lontana.
Il numero delle donne attive nel giornalismo segue la curva discendente degli iscritti negli albi professionali, ma resiste meglio al calo (da 1919 nel 2002 a 1315 nel 2022). Gli iscritti all’Associazione Ticinese dei Giornalisti (ATG) sono attualmente 262: 202 uomini e 60 donne. Da uno studio in preparazione presso la ZHAW (l’Alta scuola professionale di Winterthur), al quale collabora la Facoltà di giornalismo dell’Università della Svizzera italiana, si attende un rapporto esteso a tutte le regioni della Svizzera. Ma la condizione di inferiorità delle donne è già oggi testimoniata da varie pubblicazioni.
Sul secondo punto (la parte delle donne nell’offerta mediatica) si diffonde un saggio contenuto nell’edizione 2021 dell’Annuario del Centro di ricerca fög (Forschungszentrum Öffentlichkeit und Gesellschaft) dell’Università di Zurigo. Il contributo di Lisa Schweiger attesta che le donne sono presenti solo per un quarto, l’incidenza complessiva oscilla tra il 22,7% e il 24,8% del totale dei servizi pubblicati. Non si constatano differenze importanti tra le regioni linguistiche: alla RSI il rapporto è del 26%, alla SRF (la Radiotelevisione della Svizzera tedesca) del 25%. Scendiamo ai particolari. Alla RSI le donne producono il 26% delle notizie di politica, il 15% dell’informazione economica, il 25% della cultura. Tornando ai dati che riguardano la Svizzera intera, solo nella categoria human interest – che comprende il sociale, la medicina, la religione – l’apporto femminile raggiunge il 32%. Il resoconto sportivo – come confermava Giancarlo Dionisio («Azione» dell’11 aprile) – «è inequivocabilmente un fenomeno maschile», con eccezioni nello sci e nel tennis. Di recente, in Germania, una partita di calcio commentata da una donna ha sollevato migliaia di proteste. Qualcuno potrebbe ricordare che nel 1946, all’atto della fondazione, all’Associazione ticinese giornalisti sportivi, erano iscritti 26 uomini e 0 (zero!) donne. Il mondo è cambiato, ma poco.
Se si passa alla proporzione numerica tra gli addetti, l’inferiorità femminile si conferma. Nel 2019 era stata organizzata una giornata di sensibilizzazione sul problema (No women, no news). Dalla sintesi pubblicata da «Edito» – il periodico di Impressum – risultava che nel giornalismo tre su quattro posti di responsabilità sono detenuti da uomini. Fa eccezione la SSR, che ha aderito a una iniziativa della BBC (Chance fifty-fifty) e dove il rapporto è quasi di parità; all’iniziativa ha aderito anche l’editore Ringier. Particolarmente squilibrata si rivela la condizione salariale: le donne guadagnano mediamente il 70% di quanto riconosciuto ai maschi. Famiglia e maternità rappresentano il maggiore ostacolo alla parità. Il 54% delle giornaliste ha infatti meno di trent’anni, le donne sopra i cinquanta e quelle attive nella professione da almeno dodici anni sono solo il 30 per cento; la difficoltà di «mantenersi» nella professione abbracciata da giovani è evidente.
Una serie di testimonianze è offerta dal volume Frau macht Medien. Warum die Schweiz mehr Journalistinnen braucht, edito dalla casa editrice basilese Zytglogge. Emergono le circostanze che ostacolano l’assunzione di responsabilità nelle redazioni, cominciando dai pregiudizi sessisti (la parte maschile intervistata li riconosce), per finire nelle insicurezze psicologiche. Il volume attesta un timore delle donne a esporsi al giudizio in un campo «tradizionalmente non loro». Vanno così perdute, talora solo banalmente, occasioni di maggiore ricchezza, varietà, approfondimento che le donne sarebbero disposte a offrire. E sarebbe davvero il colmo se questo dato (peraltro discutibile) venisse letto come un’ammissione di inferiorità.
Riferimenti
N. Bader, A. Fopp, Frau macht Medien. Warum die Schweiz mehr Journalistinnen braucht, Zytglogge Verlag, Basel, 2020.
M. P. Abbracchio, M. D’Amico, Donne nella scienza. La lunga strada verso la parità, Franco Angeli, Milano, 2023, pp. 147.