Cose che sembrano semplici. Andare a un concerto. Prendere un bus per raggiungere un’amica. Visitare una chiesa. Ascoltare un annuncio in stazione. Cose che sembrano ovvie, scontate. Alle quali non facciamo caso. Noi, che per adesso abbiamo la salute. C’è, invece, chi vive con il limite attaccato alla pelle, chi ci dialoga quotidianamente. Più volte al giorno. Sempre. Come una dittatura invisibile, che nasconde la testa sotto la sabbia. «Riuscirò a vedere quel balletto, quello spettacolo teatrale, il mio cantante preferito, quell’opera lirica?». Domande che cadono nel vuoto. Che diventerebbero meno frequenti se le strutture fossero sempre a norma. Certo, si può sempre chiedere al migliore amico, al fratello, alla vicina di casa. Però poi ci sono imbarazzi, paure di disturbare, rabbie. Allora si rinuncia.
È per allontanare il più possibile le barriere poste da questi limiti che nasce, nel 2006, la Convenzione Onu dei diritti delle persone con disabilità. Una Convenzione che la Svizzera ha sottoscritto nel 2014 (l’Unione Europea lo ha fatto nel 2010) e che indica la strada che gli Stati del mondo dovrebbero percorrere per garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale a tutti i cittadini con disabilità. La Convenzione chiede ai Paesi che vi aderiscono che i 50 articoli che compongono il documento vengano rispettati e di redigere, periodicamente, un rapporto che faccia il punto della situazione. Questo è avvenuto, per la Svizzera, a giugno di quest’anno.
La redazione del rapporto consegnato non ha però coinvolto attivamente le persone con disabilità e le organizzazioni che le rappresentano; di conseguenza, Inclusion Handicap, quale ente mantello riconosciuto dal Consiglio federale come interlocutore principale, ha deciso di redigere e consegnare all’organo competente delle Nazioni Unite un rapporto alternativo. Un dossier corposo, che, come spiega il direttore di Inclusione andicap Ticino Marzio Proietti, segnala quanto si è fatto ma anche quanto rimane ancora da fare. «Paradossalmente in Ticino, così come nel resto della Svizzera, le cose migliori si sono fatte nell’accessibilità, che però rimane ancora l’ambito dove sono possibili e auspicabili migliorie e aggiustamenti – precisa il direttore – Partiamo dagli edifici pubblici e da quelli privati ma aperti al pubblico. Normalmente non incontriamo particolari problemi, ma in alcuni e non rarissimi casi non ci siamo proprio. Un esempio? Gli edifici storici e quelli protetti. Non sempre sono inaccessibili, ma capita. Per quanto riguarda gli alloggi, invece, è vero che ci sono stabili completamente inaccessibili, ma è anche vero che il mercato offre talmente tanti alloggi da soddisfare la domanda».
Il problema è che spesso l’accessibilità riguarda solo le parti esterne dell’edificio e non entra negli appartamenti. «In molti casi per la costruzione di edifici sono state seguite delle direttive che impongono l’accessibilità – aggiunge Sara Martinetti, responsabile della comunicazione Inclusione andicap Ticino – ma le stesse si bloccano alla soglia, quindi la persona con disabilità può parcheggiare, entrare, prendere il lift, attraversare il corridoio del palazzo, ma nel momento in cui apre la porta di casa si trova in uno spazio dove le regole sono crollate di nuovo e può incontrare difficoltà varie, stretta fra corridoi angusti e toilette inadeguate».
Non si tratta solo di mettere a norma gli edifici, di tappare i buchi creatisi nel momento della progettazione: quel che serve è un cambiamento di mentalità o di paradigma. «La Legge federale sui disabili pone un termine per rendere accessibili tutte queste strutture di cui parlavo prima, ed è fissato per l’inizio del 2024 – spiega Marzio Proietti – ma si sa già che non tutto sarà rispettato. Un aspetto su cui abbiamo voluto porre l’attenzione con il rapporto alternativo è che la legge, relativamente alla questione della disabilità, viene interpretata come un’opzione. Se passo con il rosso prendo la multa, se invece non rispetto certi criteri ratificati dalla Confederazione e volti a tutelare i diritti delle persone con disabilità no».
Ma come si fa ad effettuare questo salto di paradigma? «È anche questione di avere le persone giuste nei posti giusti. Ormai la sensibilità sugli aspetti ecologici è molto diffusa, bisogna che si apra ad accogliere anche le tematiche legate alla disabilità. Costruire bene in modo da non intervenire dopo, è anche più intelligente da un punto di vista economico». La sensibilità di cui parla il direttore riguarda la capacità di introiettare il tema dell’handicap al punto che esso emerga spontaneamente e non a posteriori. «Nel momento in cui realizzo qualcosa, dalla costruzione di un edificio all’organizzazione di un Festival, devo pensare alla questione dell’inclusione – specifica la responsabile della comunicazione – Questa attività è accessibile alle persone in carrozzina? E agli ipovedenti?».
Le esigenze fra persone con handicap possono essere molto diverse, a volte contrastanti. «Se togliamo i bordini dei marciapiedi, avvantaggiamo le persone in sedia a rotelle ma mettiamo in difficoltà chi non ci vede – precisa il direttore – In stazione, gli annunci vocali non raggiungono le persone che hanno problemi di udito; a loro come arriviamo? Abbiamo pensato a fare l’annuncio anche sul tabellone?».
Una questione complicata, che non si può risolvere dall’oggi al domani ma che necessita di sforzi coordinati da parte delle istituzioni. «In Ticino siamo allo stesso punto in cui siamo a livello svizzero – spiega la giurista di Inclusione andicap Ticino, Paola Merlini – si fanno molte cose ma sono tutte puntuali, manca una visione complessiva del problema e manca un progetto globale. Questo si traduce nella vita delle persone con ostacoli e difficoltà quotidiane; spesso le persone con disabilità evitano di percorrere strade promettenti perché si ritrovano confrontate con troppi ostacoli. Nell’ambito della formazione, per esempio, spesso si rinuncia». «Ci vuole un passo in più – conclude netta la giurista – la scuola che verrà… speriamo che arrivi presto».