Amarsi e credere in un altro dio

Religione – Due coppie con fedi diverse ci raccontano la loro esperienza
/ 24.07.2017
di Sara Rossi Guidicelli

Cosa significa condividere tutto tranne la religione? Quando due persone si amano e desiderano passare la vita insieme, è possibile che ci sia qualcosa di così importante che non li accomuni? E cosa comporta? Spesso in una coppia si fanno mestieri diversi, a volte non si hanno nemmeno gli stessi hobby, magari persino la visione della vita differisce. Ma per la fede? In un mondo che si mischia sempre di più, cosa succede se ci si innamora di qualcuno che crede in un dio diverso? Non è facile trovare statistiche su quante coppie miste conti il Ticino, la Svizzera, il mondo. Quello che si può certamente dire è che sono in aumento, dappertutto. Queste che seguono sono le storie di due coppie che non rappresentano nessuno se non se stesse. Una ha deciso di mantenere l’anonimato, l’altra ha messo sul web una serie tv autobiografica.

Tutto può avere inizio grazie a Vanni (nome di fantasia), che decide di raccontarmi. Devo però andare fino a casa sua, sul lago di Zurigo. La casa di due persone colte, viaggiatrici, aperte. Sul tavolino c’è una pila di giornali e riviste, libri di ogni genere, da Pavese all’ultimo giallo di Donna Leon, e grandi vetrate che danno sul lago. La libreria rispecchia chi abita la casa: volumi in ebraico, bibbie di antico e nuovo testamento, libri sull’ebraismo e letteratura europea, sud e nord americana, cataloghi di mostre. E ovunque statue africane, manoscritti, pitture, oggetti; appeso a una parete c’è persino un vecchio annuncio di quelle case di piacere di una volta, che fanno tenerezza tanto ingenuo è il tocco romantico che le pervade.

Ma sono venuta con uno scopo preciso: sapere come si vive se si è una coppia di religione mista. In questo caso Vanni è ebreo, cresciuto in una famiglia ortodossa e tuttora praticante, e lei, Kristine, è una cattolica che va a messa la domenica. Stanno insieme nella stessa casa, nella stessa vita, da 40 anni, ma non si sono mai sposati. Questo sarebbe stato troppo: in Sinagoga si può ignorare una convivente, una moglie no. Vanni fa Shabbat, mangia e cucina kosher, mette i tefillin in settimana, ma nonostante questo, gli sfugge la parola «ipocrisia» parlando dei severi precetti della sua religione. «Per me il rapporto tra due persone si basa su rispetto, amicizia, fiducia. Una coppia che funziona non significa che sia senza problemi, ma è una coppia in cui si discutono i problemi. Per me Kristine è moltissimo, ma la religione, sì, è un punto dolente. Avrei voluto sposarla, ma non me la sono sentita. La mia famiglia non ha mai accettato che io avessi scelto lei, cattolica. E per lei non è mai stato questione di cambiare credo: lei è la donna che accende le candele di casa mia il venerdì sera, ma è stata educata alla religione cattolica romana e la mantiene. La domenica, dopo la sua messa, le chiedo su cosa verteva la predica, mi interessa davvero; parliamo anche di Dio, persino scherzando: quando lei prega, per esempio, le dico “parla piuttosto col Padre... del figlio non siamo così sicuri”».

I cristiani nel mondo sono 2,4 miliardi, un terzo della popolazione. I musulmani 1,8, circa il 20%. Gli ebrei sono poco più di 14 milioni, lo 0,22%. Secondo Vanni, quando si tratta di decidere cosa fare con i figli, pesa anche questo. Se rappresenti una buona fetta di mondo, hai più potere decisionale. Lui e Kristine non sono diventati genitori, ma Vanni pensa che certamente avrebbero tramandato la cultura dell’uno e dell’altra, anche se, dice lui, forse non avrebbero potuto partecipare totalmente alla vita in Sinagoga. «Tra di noi non ci sono tabù, ce ne sono invece verso il mondo esterno», conclude.

Una coppia più giovane e forse più sorprendente è formata da Carolina e Victor. Questi sono nomi veri, perché il web della Svizzera francese li conosce benissimo, dopo che hanno girato una serie televisiva Ma femme est pasteure, che racconta la loro autentica situazione: lei di professione è pastora protestante, lui agnostico. Tre episodi sono stati anche passati alla Rsi all’interno del programma Segni dei Tempi con il titolo Aiuto! Mia moglie è pastora.

«Nella Bibbia, in una lettera di Paolo ai Corinzi, si parla dei primi cristiani convertiti», mi racconta Carolina. «C’erano famiglie in cui il marito o la moglie si erano convertiti a Cristo, mentre l’altro era rimasto ebreo o pagano. E Paolo cosa dice loro? La cosa più importante è mantenere la pace nel vostro focolare, preservare l’amore nella coppia e verso i figli, perché anche chi non è diventato cristiano riceverà l’amore di Dio attraverso questa pace». Carolina è nata lei stessa in una famiglia mista: il padre era italiano e cattolico romano, la madre danese e luterana. Per lei non ci sono mai stati dubbi che il multiculturalismo è una risorsa, solo crescendo ha saputo che per altri può essere diverso.

Da piccola esitava tra voler diventare una cantante o un pastore protestante. «Ho studiato teologia perché ero appassionata di questioni esistenziali e perché mi piace cercare di capire tutte le cose che riguardano l’umano», prosegue. «Avevo avuto a catechismo un pastore argentino che ci parlava della vita, che accostava la religione al nostro quotidiano, che ci ha presentato Gesù come un rivoluzionario anarchico. Ho letto i Vangeli e ho trovato un amore enorme che mi toccava».

Finiti gli studi in Teologia, è partita a Parigi in una scuola di musica, dove ha incontrato Victor, attore proveniente dalla Spagna. È stato l’incontro che le ha dato la serenità di cui sentiva la mancanza e che le ha permesso di tornare alle sue domande religiose filosofiche senza smettere di recitare e cantare. «Ho trovato l’amore personale, e così ho potuto dedicarmi a un amore più assoluto. Con Victor parlavamo per ore di vita, morte, Dio, scienza, di tutto ciò che riguarda l’essere umano. Abbiamo iniziato a creare spettacoli sulla coppia, ci siamo divertiti. Ma per lui era più che un divertimento, era la sua vita, la sua carriera. Io ho deciso che volevo dare corsi di religione ai bambini, ma un altro pastore che è poi diventato il mio mentore mi ha risposto che dovevo provare a diventare pastora anche io, per parlare con tutti, non solo con i bambini. Io? Io così festaiola, così rock&roll e pronta a fare stupidate... Alla fine mi ha convinta e sono tornata a Ginevra. Dal primo giorno ho capito che ero al posto giusto. Quell’anno ci siamo sposati Victor e io e abbiamo iniziato anche uno spettacolo che poi è diventato la nostra prima serie Tv su una coppia in cui lui è spagnolo e viene a vivere in Svizzera (Bienvenue chez nous). Ora abbiamo inventato quest’altra serie proprio su una moglie pastore e un marito agnostico...».

Hanno due bambine, Carolina ha scritto anche un libro sul matrimonio (Vie à deux, mariage, pacs. A l’aventure!) e con Victor continuano a parlare di religione e d’altro. «Un matrimonio felice è una lunga conversazione che sembra sempre troppo breve» ha detto uno scrittore francese. Ma naturalmente è più complicato di così, anche se succede loro qualcosa che capita in qualunque matrimonio: si cerca di incontrarsi a metà strada. «Potremmo chiamarlo compromesso, ma in inglese c’è un’espressione che mi piace di più: il win-win, dove ognuno guadagna qualcosa, senza perdere niente d’importante. Per esempio, ci siamo sposati in Svizzera con un matrimonio benedetto da un pastore protestante che ha parlato in modo speciale alla famiglia cattolica di Victor. Nostra figlia è battezzata con il rito cattolico. Teniamo conto di ciò che ci importa, dello spazio che prende l’altro, dei suoi desideri. A me piacerebbe una volta condividere con lui uno spazio spirituale. Per ora non vuole, però non mi dice “Mai”, mi dice “Forse, un giorno” e per me è già bello che capisca la mia richiesta e mi lasci una possibilità».

Alla fine entrambi sanno che la risposta certa non c’è: lei crede che dio esista, lui crede di no. Lei pensa che ci sia una vita dopo la morte, lui pensa di no. Nessuno può infondere la sua certezza nell’altro. «Alcuni sono sorpresi che io abbia un marito che non viene al culto, pensano: ma se non riesci nemmeno a convincere tuo marito, chissà con gli altri... All’inizio pensavo che sarebbe stato meglio credere tutti e due, però adesso, con l’esperienza, ho cambiato opinione. Senza Victor non sarei una pastora così aperta e così a mio agio nel nostro tempo. Quando preparo una predica, o un discorso per un matrimonio, un funerale o un battesimo, scrivo sempre anche per lui, anche per chi non crede. Cerco di toccare tutti, e ci riesco, perché tutti in qualche modo credono nell’amore. Victor è stato ed è il mio migliore insegnante di spiritualità».