Dopo le cime e i valichi, gli alpi. Un’evoluzione naturale, per un appassionato di alpinismo, di studi e di ricerche come Giuseppe Brenna, settant’anni e ancora un’infinità di conoscenze da trasmettere e storie da raccontare. Le vette e i passi li ha descritti nella Guida delle Alpi ticinesi e mesolcinesi, edita dal Club alpino svizzero in cinque volumi a partire dal 1989. Con passione, rispetto e dedizione immutati, da una decina d’anni si dedica all’esplorazione delle terre alte, seguendo le strabilianti tracce lasciate dagli antenati. L’intento è salvare almeno la memoria di quel che resta della grandiosa civiltà contadina di un tempo sul territorio. L’approfondimento sulla Valle Maggia e la Bavona è pubblicato. Altre opere sono in preparazione. Nel frattempo un suo volume appena uscito ci porta sugli Alpi di Leventina e Bedretto (SalvioniEdizioni, 2022), attraverso 174 itinerari per 290 tra alpi con i relativi corti e altri luoghi particolari, documentati da 622 fotografie: l’insieme è completato da 64 preziose immagini d’epoca della comunità alpina bedrettese raccolte da Guido Leonardi. Giuseppe Brenna ha frequentato gli alpi di persona da giovane e attraverso le letture specializzate: di recente vi è tornato, ha scandagliato il territorio, rivisitandoli proprio tutti. Dopo 55 anni di montagna e di alpinismo, questi luoghi particolari continuano a essere per lui motivo di scoperta, fonte di meraviglia e di elevazione spirituale.
La vastità, la struttura territoriale della Leventina e il clima hanno influito in modo diverso sulla pratica dell’agricoltura, annota Brenna: nella parte media e bassa il clima era migliore ma i dislivelli e l’asprezza del territorio obbligavano gli alpigiani a percorrere vie anche molto difficili pur di riuscire a sfruttare un misero pezzetto d’erba. A nord invece e in Val Bedretto la civiltà contadina a causa dei lunghi inverni era paragonabile a quella dei Walser. La maggior parte delle opere valangarie in Ticino sono proprio nella regione descritta nel libro. Ben prima dell’anno 1000 i Leventinesi caricavano gli alpi della Val Bedretto ed è così che l’Alpe di Cristallina 1800m è rimasto di proprietà del Patriziato di Giornico e quello di Manió o Manegorio 1740m, del Patriziato di Sobrio. In entrambe le valli, di alpi caricati ne sono rimasti poche decine. Il più esteso e importante è l’Alpe Piora (Quinto), iscritto nell’Inventario federale dei paesaggi, siti e monumenti naturali di importanza nazionale: i corti sono 14, distribuiti su 23 chilometri quadrati, da quota 1859m a nord del Lago Ritom fino al Passo dell’Uomo a 2218m. In altri casi i pascoli sono limitatissimi e poveri come sull’Alpe Metón 1673m in val di Bedri (Personico), il più difficile da raggiungere tra quelli presentati nel libro. Tre i corti più alti dell’intera regione, tutti sui 2400 metri: Stabbio delle Pecore nella Valle Cadlimo (era una delle 7 bogge dell’Alpe di Piora fino a inizio ’900), Cassina della Prosa a oriente del Passo San Gottardo (utilizzato nell’attuale transumanza) e Cassine Lèi di Cima, in val Piumogna, i cui edifici sono stati rinnovati grazie al lavoro di volontari. L’autore segnala che ha potuto individuare non pochi alpi abbandonati solo attraverso la lettura delle passate edizioni della Carta nazionale e di quelle dell’antica Carta Siegfried. Ma esistono ancora e si riesce a raggiungerli. L’attuale CN 2020 li ha però cancellati: stessa sorte è toccata ad alcuni toponimi, in certi casi persino cambiati, e a molte quote di luoghi. Tutte scelte che Giuseppe Brenna ritiene inappropriate: «Hanno annullato la grande secolare storia umana delle nostre montagne e possono tra l’altro generare confusione».
Sul territorio della Leventina va segnalata almeno «un’opera d’arte»: il Sass di nom 2120m nell’alta val Gagnone (Personico), un masso inciso di numerosi nomi e iscrizioni di pastori e di cavatori di pietra ollare. In Val Piumogna (Chironico) sotto il Passo del Ghiacciaione, l’Alpe Mottascia 2100m sorprende per la sua posizione al di sopra di una placconata di accesso che l’alpigiano saliva e scendeva a piedi nudi, ottimizzando così l’aderenza al suolo, e per la presenza nella zona di uno splugo con un’iscrizione e una data difficile da interpretare. La Valle Bedretto Giuseppe Brenna ce l’ha nel cuore: vi si trovava nel 1974 per aprire una via sul Poncione di Ruino quando vi conobbe Chiara, la sua futura moglie: la loro unione fu benedetta ai piedi del Pizzo Forcella. Sul versante destro si nota il vastissimo Pian Milan a quasi 2152m così chiamato per la sua estensione metropolitana. In cima alla Val Bedretto sono ben visibili le eriscie (cioè le fondamenta) di antiche cascine di Cruina 2030m. Sul versante sinistro non lontano dal Lago delle Pigne 2279m si osservano i ruderi della Comuna delle Pecore e il Sasso rosso di Cave delle Pigne con incisioni di date antiche, che testimonia l’estrazione e la lavorazione della pietra ollare. Cosa ne sarà di tanti sentieri e cascine costruiti dall’ingegno dell’uomo e dal passaggio degli animali e già oggi appena visibili? La maggior parte è scomparsa o soccomberà nel tempo. Eppure si constata sul territorio l’intervento amorevole di patriziati, associazioni e volontari. A loro, e non solo agli antenati, l’autore è profondamente riconoscente.