(Enrico Cano)

Alle origini dell’architettura moderna

Heinrich Tessenow – Al Teatro dell’Architettura di Mendrisio sono esposti disegni, fotografie e modelli dell’architetto tedesco
/ 11.04.2022
di Alberto Caruso

Invitare allo studio delle opere di Heinrich Tessenow è oggi un atto di dichiarata rottura e di forte polemica contro le tendenze di maggiore successo dell’architettura contemporanea.

Nato a Rostock, in Germania, nel 1876 e morto a Berlino nel 1950, Tessenow ha vissuto tutta l’esperienza della nascita della modernità architettonica tedesca e ha dialogato e polemizzato con i suoi protagonisti, come Bruno Taut, Hans Poelzig, Fritz Höger, Ernst May, Erich Mendelsohn. La sua figura si distingue, in questo importante scenario, per la semplicità e il rigore delle sue opere. Semplicità e rigore che sono stati riproposti come punto di riferimento dai movimenti culturali che, per resistere alle tentazioni storiciste o estetizzanti, si sono richiamati alle poetiche e al pensiero dei primi moderni. Tra questi movimenti certamente possiamo annoverare la modernità ticinese, che nel dopoguerra ha innovato l’architettura regionale proprio riferendosi al pensiero della modernità europea dell’inizio del secolo.

La mostra esposta al Teatro dell’Architettura, intitolata «Heinrich Tessenow – Avvicinamenti e progetti iconici», curata da Martin Bösch, docente dell’Accademia e titolare di uno studio zurighese è divisa in tre sezioni, dedicate al rapporto con il paesaggio, ai progetti per la città e alle case grandi e piccole. Come ha affermato lo stesso Bösch, è una mostra curata da un architetto praticante, non da uno storico. Non è, quindi, una descrizione sistematica e integrale del lavoro di Tessenow, ma è l’illustrazione motivata di una parte della sua opera, finalizzata alla costruzione della cultura progettuale. È una scelta che mira innanzitutto al coinvolgimento degli studenti nella loro formazione, e ciò provoca anche un maggiore interesse, in generale, dei visitatori, che possono entrare direttamente in contatto e capire il nucleo espressivo dell’architettura di Tessenow. Visitando la ricca esposizione di disegni, fotografie e modelli, il pensiero di Tessenow appare in filigrana con tutta la sua forza autenticamente radicale e ancora attualissima. La sua riscoperta, dopo un periodo postbellico di oblio, si deve, oltre che a Bruno Reichlin e a Marco De Michelis, soprattutto a Giorgio Grassi, che nei primi anni Settanta ha pubblicato una raccolta di suoi scritti nel volume Osservazioni elementari sul costruire (Franco Angeli), accompagnata da un eloquente saggio che è diventato uno dei testi fondanti della cosiddetta «tendenza» milanese di quegli anni. I numerosi progetti di piccole case per gli operai e per la piccola borghesia sono le opere più note di Tessenow, insieme alla Festspielhaus di Hellerau (1912), alla Landesschule di Klotsche (1925) e al grande progetto della colonia marina di Prora, sul Mar Baltico (1936).

Le piccole case sono edifici «elementari», dimostrazioni di arte costruttiva ordinata e necessaria. «A volte – ha scritto Tessenow nel 1916 – si tende a identificare la semplicità con la povertà; è vero invece che esse non hanno praticamente nulla in comune. Infatti la semplicità cui aspiriamo può rappresentare la più grande ricchezza, così come la varietà formale di cui disponiamo può rivelarsi come la più grande povertà». La ricerca della «varietà» immotivata e irrazionale, che caratterizza buona parte dell’architettura contemporanea, è con grande evidenza l’obiettivo al quale Martin Bösch vuole contrapporre il pensiero di Tessenow. La scuola, il luogo di formazione degli architetti, è il luogo deputato per ospitare questa battaglia culturale anche per il nuovo direttore dell’Accademia Walter Angonese che, presentando la mostra, ha affermato che l’architettura contemporanea si distingue per la «feroce arbitrarietà» delle sue forme.

Il valore del mestiere è un altro tema al centro del pensiero di Tessenow. Lo chiamava «lavoro artigianale» e parlava della sua necessaria lentezza, della fatica per «concentrare tutta l’attenzione sulle cose che si assomigliano per poterne cogliere le sottili differenze». L’ordine è la qualità che deriva da questa concentrazione, un ordine che si nutre di dubbi e rifugge da classificazioni, da ismi e da posizioni dogmatiche. La ragione dell’architettura, dell’adozione della soluzione più semplice – e anche più scontata – del problema costruttivo, deve prevalere rispetto alle opinioni elaborate a prescindere dalla pratica del mestiere. Nella contrapposizione tra gli architetti innovatori che difendevano le ragioni del tetto piano contro quelli che difendevano il tetto a falde, Tessenow sosteneva – ha scritto Giorgio Grassi – che «l’alternativa non è tra tetto piano o a falde, ma è tra affermazione e negazione del tetto come elemento dell’architettura».

Una mostra di grande interesse, alla quale manca forse una più esauriente panoramica del contesto culturale nel quale Tessenow ha lavorato, nel corso di un secolo denso come nessun altro di rivolgimenti sociali, politici e culturali. Auspichiamo, per esempio, che il catalogo in corso di preparazione illumini il suo rapporto, più contrastato che dialogante, con lo Stato tedesco. Marco De Michelis, che nel 1991 ha dedicato a Tessenow una corposa ricerca pubblicata da Electa, racconta che il suo ex assistente Albert Speer, che lo protesse negli anni più difficili, gli chiese un parere su un suo progetto celebrativo. Tessenow rispose: «Le pare di avere creato qualcosa? È roba che fa impressione, e basta».