«DNA. Il grande libro della vita da Mendel alla genomica» in mostra al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 10 febbraio al 18 giugno 2017.

Alla scoperta di noi stessi

Scienza - Al Palazzo delle Esposizioni di Roma sino al 18 giugno è aperta la mostra «DNA. Il grande libro della vita da Mendel alla genomica»
/ 06.03.2017
di Blanche Greco

Sapevate che l’uomo ha più del sessanta per cento di DNA in comune con una cipolla? Ciò che ci differenzia da una cipolla sta in quel determinante quaranta per cento, ma nel profondo tutti gli esseri viventi sono collegati e apparteniamo tutti al «grande albero della vita» di Darwin, discendiamo cioè, da quei primi organismi ancestrali apparsi sul pianeta più di tre miliardi di anni or sono, da renderci tutti parenti. 

Con uno scimpanzé siamo imparentati approssimativamente fino al novantanove per cento del DNA; con un gorilla, al novantacinque; con un cavallo, circa al novanta per cento, e man mano che facciamo i confronti con le altre specie, scopriamo di fare parte di un’unica grande famiglia. Ed è bene che l’uomo non si monti la testa perché – come impariamo alla Mostra «DNA – Il grande libro della vita da Mendel alla genomica», al Palazzo delle Esposizioni a Roma sino al 18 giugno – la pulce d’acqua ha un codice genetico molto più ricco dell’homo sapiens e, nella sua piccolezza, ha più risorse di noi grazie a un genoma plastico che le permette di modificare il proprio corpo a seconda dei cambiamenti dell’ambiente in cui vive, che siano periodi di grande umidità, oppure di siccità. 

La magia di questa mostra è che il visitatore aggirandosi tra le varie sezioni, di colpo si accorge che sta «scoprendo sé stesso», e che, se fino ad oggi è vissuto senza tutta una serie d’informazioni, adesso, queste sono di capitale importanza, a causa delle molte scoperte degli ultimi anni, che rivoluzioneranno la nostra vita e l’intero pianeta. Perciò questa mostra, organizzata con la supervisione di un comitato scientifico di famosi ricercatori e premi Nobel, presenta sia la storia della scoperta del DNA, sia la situazione presente, nonché il probabile futuro, e induce tutta una serie di riflessioni che fanno uscire il visitatore con più domande che risposte. 

Se queste nuove scoperte, infatti, ci forniscono strumenti potentissimi per migliorare la nostra vita (aumentando la produttività dei raccolti, mettendo a punto nuovi medicinali, scoprendo la causa di tante malattie, o ad esempio, producendo organismi con il genoma realizzato in laboratorio per combattere l’inquinamento), sono anche in grado di fornire «armi» letali, ingegnerizzando virus molto potenti.

Perciò non è un caso che la mostra inizi nel buio di una sala dove sui muri scorrono, come una pioggia benefica, le quattro famose lettere della molecola del DNA, fino a formare piante che diventano uccelli, che si trasformano in pesci che nuotano via, mentre si formano delle figure umane. Uscendo da questa sorta di grembo, ci si trova nello studio ottocentesco del frate boemo Gregor Mendel (1822-1884), il padre della genetica, riprodotto insieme a un quadratino del suo orto, dove coltivava i piselli degli esperimenti al centro dei suoi studi. C’è anche il suo microscopio, e persino la lettera, conservata negli archivi segreti del Vaticano, con la quale l’Arcivescovo di Vienna, il Cardinale Schwarzenberg nel 1855, tentò di bloccare «tutti questi studi» che sottraevano tempo alla missione ecclesiastica di frate Mendel e distraevano l’intero convento dei padri agostiniani. 

Passando in rivista i momenti e i personaggi cruciali di questa storia si arriva a Watson e Crick, con la loro molecola del DNA (1953), che valse loro il Nobel nel 1962; ma anche a Rosalind Franklin, che, prima di loro, nel 1952 fotografò e scoprì la forma elicoidale della struttura del DNA, determinante per la ricerca, ma che fu privata del Nobel a causa della sua morte prematura, e poi, quasi dimenticata. Oppure allo strano destino di Henrietta Lacks, afroamericana, morta di cancro nel 1951, alla quale è dedicata la sezione della mostra sulle malattie genetiche. 

Per raccontare l’invisibile, ossia l’importanza di una molecola che è una catena di lettere, i curatori della mostra hanno utilizzato molti linguaggi e approcci diversi: dalle ombre cinesi, alle apparecchiature interattive, ai video, ai grafici, ai disegni animati e ai reperti originali delle ricerche arrivati dai musei di tutto il mondo, in un discorso mai banale, condotto con intelligenza e ironia, ammiccando anche a serial televisivi di successo che del DNA hanno fatto quasi un personaggio. 

Così se da un lato ci viene descritto come in un thriller il mancato incontro tra Mendel e Charles Darwin (suo contemporaneo e già famoso per la teoria sull’«Origine delle Specie»), che avvenne solo postumo, intorno al 1930, quando le ricerche dei due scienziati furono integrate con successo; dall’altro, sa di fantascienza passare attraverso il «bosco dei cromosomi»; oppure trovarsi davanti al drappello degli animali clonati, riprodotti in gesso, mentre in una teca vediamo i reperti di Dolly e un maglione «con un motivo a pecorelle» creato con la lana della mitica pecora ottenuta per clonazione, in laboratorio, nel 1996. 

C’è persino la «scena del delitto», una sezione nata con la collaborazione della Polizia Scientifica che, per presentare la genetica forense, ha ricostruito un laboratorio stile CSI; e accanto, assieme al cranio di un uomo di Neanderthal, ci sono gli strumenti della paleogenetica, ossia lo studio del DNA delle specie estinte, che ha aperto agli «archeo-genetisti» scenari inaspettati sulle relazioni tra le diverse specie umane vissute fino a poche decine di millenni fa.

Ma se, come veniamo a sapere, solo a Hollywood possono resuscitare i dinosauri, si parla già per molte specie animali di de-estinzione e in Russia si sta studiando per riportare in vita i mammut lanosi. La domanda è: cosa ci faranno in un mondo così cambiato? Le continue scoperte e lo sviluppo di tecnologie emergenti nel campo della genetica hanno implicazioni di carattere etico, ma anche politico, economico e giuridico, per cui vale la pena chiedersi: con chi, condivideremo i nostri privatissimi dati genetici? Che cosa ci dice, veramente, un test genetico? Se lo chiedono da qualche tempo anche i centenari di un paesino sardo, finiti al centro di un giallo internazionale dopo che, in una ricerca sulla longevità, i dati relativi al loro prezioso DNA, sono passati di mano in mano, e poi spariti nel nulla.