Alla conquista dell’Everest dei mari

Vela d’altura - Si è conclusa la nona edizione della mitica Vendée Globe, regata oceanica su barca in solitaria
/ 15.02.2021
di Giorgio Thoeni

Un finale pazzesco, sul filo di lana. Una metafora centometrista che si addice a una gara sull’acqua ma che dà il senso della fase finale di una competizione che è rimasta in sospeso fino all’ultimo giorno della nona edizione della Vendée Globe, regata oceanica su barca a vela, in solitaria, senza scalo né assistenza, la più grande gara di vela attorno al mondo che ha luogo ogni quattro anni e che prende il nome dalla regione di partenza, il porto delle Sables d’Olonne in Vandea.

La gara è nata sulla scia della Golden Globe Race indetta nel 1968 dal «Sunday Times», la prima circumnavigazione con il passaggio dei tre capi: Buona Speranza, Leewin e Horn. Quella che tutti considerano come l’Everest dei mari, fino a oggi la Vendée Globe ha permesso a 167 concorrenti di prendere il via lungo una rotta che non risparmia nulla nell’attraversamento degli oceani, dall’Atlantico al Pacifico all’Indiano passando per il grande Sud con i suoi venti fortissimi e un mare da cardiopalmo. Concorrenti chiamati a dar prova di resistenza, coraggio e bravura.

Oggi, a far gola, oltre a 200mila euro di premio per il primo arrivato (senza contare le ricadute economiche), 140mila per il secondo, 100mila per il terzo fino ai 15mila per il decimo, c’è soprattutto un prestigioso alloro a testimonianza di un’avventura incredibile, una contesa che a ogni edizione apre le porte a nuove frontiere tecnologiche. Una prova dove, oltre all’agonismo e alla bravura dei marinai di altura sottoposti a prove incredibili, molto è anche affidato a strumentazioni sofisticate, a barche dalle strutture innovative, più leggere ma robuste, abbastanza da sopportare quasi tre mesi di logoranti sforzi.

Per i primi arrivati è stato un temerario giro del mondo in 80 giorni, parafrasando Jules Verne, fra tempeste, naufragi, pericolose avarìe, l’insidia di temutissime collisioni con affioranti container.

Quella che viene considerata come l’Everest dei mari ha registrato il primo arrivo con il normando Charlie Dalin dopo 80 giorni, 6 ore, 15 minuti e 47 secondi ma la vittoria è andata a Yannick Bestaven, navigatore di Saint Nazaire che, sebbene giunto dopo Dalin è risultato primo in classifica dopo il calcolo dei tempi di compensazione accumulati per aver partecipato al salvataggio di un collega naufragato. Ingegnere di formazione, 48 anni, Bestaven è l’inventore degli idrogeneratori applicati sulle barche della Vandée Globe ed è stato quello che è rimasto in testa più a lungo di tutti, dal passaggio del Capo di Buona Speranza all’attraversamento dell’Oceano Pacifico fino al passaggio di Capo Horn.

L’8 novembre scorso, sulla linea di partenza erano schierate 33 barche per altrettanti skipper fra cui 10 atleti non francesi e 6 donne. Tra tutti anche 18 bizuths, così vengono chiamati i velisti che partecipano per la prima volta alla gara. Una squadra di temerari accomunati dall’obiettivo di completare la regata e oltrepassare la Nouche Sud, boa d’ingresso del canale delle Sables d’Olonne, dopo aver percorso quasi 25mila miglia nautiche di pericolose cavalcate a tutta velocità su barche costruite per potercela fare.

Lunghe 60 piedi, oltre 18 metri, le IMOCA (dall’acronimo di International Monohull Open Classes Association) sono dotate di innovazioni tecnologiche all’avanguardia. Molte di esse con l’aggiunta di foils, strutture poste lateralmente simili ad ali che immerse in alcune andature permettono alle barche in velocità di sorvolare sulla superficie dell’acqua. Un’ardita soluzione che fa però arricciare il naso ai cultori della navigazione che considerano i foils addirittura pericolosi per la sicurezza delle barche.

Eppure, molte di loro sono già sul mercato e le cifre parlano chiaro: alcune hanno raggiunto quote stratosferiche, fino a 5 milioni di euro e per acquistarle occorre almeno una cordata di sponsor. Prezzi non proprio alla portata di tutti, non per quei giovani atleti cui la regata sembrerebbe ispirarsi.

La barca che apparentemente costa meno appartiene al tedesco Boris Hermann: per comprare il suo IMOCA occorrono solo 2,7 milioni di euro. Forse perché l’imbarcazione è del 2015 e viene considerata più vecchia delle altre. E chi l’avrebbe detto che la barca supertecnologica dell’intrepido skipper gallese Alex Thompson, dato per favorito alla partenza e costretto all’abbandono, vale 4,7 milioni? È costruita in modo tale da permettere una navigazione quasi senza mettere il naso fuori dal quadrato di comando…

Ma c’è anche chi ha ottenuto un ottimo risultato navigando su una barca di stampo tradizionale, magari acquistata da chi la regata l’aveva già fatta. Come Louis Bourton che nel 2016 aveva visto giusto nel comprare quella appartenuta ad Armel Le Cléac’h reduce dall’alloro appena conquistato.

Per oltre ottanta giorni gli appassionati della vela hanno seguito le avventure dei navigatori soprattutto grazie ai puntuali aggiornamenti del sito ufficiale vendeeglobe.org: foto, filmati, tracciamento e classifica per un quadro complessivo che dava l’idea degli scarti fra un concorrente e l’altro, velocità, miglia percorse e distanza dall’arrivo. Impossibile non ritagliarsi ogni giorno il tempo necessario per lasciarsi coinvolgere confinati in casa.

Decine di migliaia di visite al sito e al canale YouTube della corsa senza dimenticare la Virtual Regatta, la piattaforma di gioco digitale online più grande del mondo con oltre un milione di iscritti. Anche se a tavolino, è una partecipazione che impone disciplina e stress quasi pari a quella dei veri skipper, con tanto di levatacce e tensione al limite della nevrosi…

Ogni concorrente della Vandée Globe meriterebbe un racconto a sé, sono infatti tutti protagonisti di storie avvincenti per umanità, entusiasmi e scoramenti, gioie e dolori vissuti verso l’agognato Pantheon.

Dalla muscolosa ma breve prova del già citato Alex Thompson, velista spericolato, sempre al limite delle sue possibilità e costretto al ritiro, una sorte condivisa a poca distanza dalla velista britannica Samantha Davies dopo l’abbandono per collisione, che ha richiesto una sosta per riparare i danni prima di riprendere il mare fuori gara per concludere il suo giro del mondo.

Fra tutti gli episodi verrà però ricordato il salvataggio del bretone Kevin Escoffier da parte di Jean Le Cam, il sessantunenne navigatore di Quimper, il più anziano dei partecipanti e alla sua quinta partecipazione alla Vandée Globe. Soprannominato Roi Jean per l’impressionante Palmares di vittorie, Le Cam rimarrà senza dubbio l’eroe di questa corsa con un’impresa che ricorda quella di Renato Soldini del 1999 quando aveva tratto in salvo Isabelle Autissier affrontando una tempesta nel Pacifico durante la Round Alone e giungendo ugualmente primo. Le Cam, nonostante i forti venti e le difficili condizioni del mare, a 840 miglia a sud ovest di Cape Town, è riuscito a ripescare lo sfortunato collega dalla zattera di salvataggio trasbordandolo successivamente su una nave militare. Ha poi continuato la gara sulla sua barca, un IMOCA dall’impianto tradizionale dal nome suggestivo Yes We Cam ma che lui chiama simpaticamente Hubert. Giunto all’ottavo rango, grazie al tempo di compensazione impiegato nel salvataggio lo skipper francese si è guadagnato il quarto posto in classifica.

Ma anche Giancarlo Pedote, unico italiano in gara, tenace navigatore fiorentino che ha concluso la regata all’ottavo posto dimostrando qualità straordinarie. O il francese Damien Séguin, plurimedagliato ai giochi paralimpici, che ha portato a termine la corsa condotta in gran parte nel gruppo di testa e performante ai massimi livelli nonostante privo dalla nascita della mano sinistra. E a tenere alta la nostra bandiera nazionale non possiamo dimenticare il ginevrino Alain Roura, 24 anni, il più giovane concorrente di questa incredibile impresa che oltre a far sognare, rende liberi e salva l’anima… come sosteneva un’icona della vela quale Bernard Moitissier.