Al fianco degli esclusi

La comunità Emmaüs di Rivera recupera oggetti e dà speranza a persone in difficoltà
/ 06.02.2017
di Elia Stampanoni

Mobilio, elettrodomestici, vestiti, stoviglie, libri e tutto ciò che è di troppo e che può servire ancora ad altri. Questa in sintesi la gamma degli oggetti recuperati e gestiti dalla comunità Emmaüs di Rivera, poi in parte rivenduti nel negozio, quindi riciclati e salvati dall’eliminazione. A occuparsene è un gruppo che, oltre a valorizzare e riutilizzare preziose risorse, ha il suo obiettivo primario nell’accoglienza di persone escluse o emarginate dalla società. Intento che persegue offrendo in primis un luogo di vita.

Attualmente sono una quindicina le persone ospitate nella sede di via Cantonale a Rivera e che partecipano al processo di recupero e rivendita di oggetti non più utilizzati dai proprietari. Il ritiro della merce avviene proprio grazie ai «comunitari» (le persone che vivono presso Emmaüs) i quali assieme ai responsabili circolano con i loro camion dal lunedì al venerdì su tutto il territorio ticinese. È anche possibile portare la merce direttamente in sede, ma spesso mobili e altro mobilio ingombrante per praticità vengono ritirati a domicilio. Peraltro, gli oggetti devono essere ancora in buono stato e riutilizzabili così da permettere loro di trovare una seconda vita.

La comunità si finanzia proprio con la vendita del materiale recuperato. Da esso ricavano i fondi necessari ai bisogni quotidiani dei membri della comunità, ma anche per il mantenimento degli stabili e per far fronte a tutte le altre spese correnti. Prima di passare nelle mani di un nuovo proprietario, il materiale raccolto, se necessario, viene riparato, pulito e revisionato dagli addetti di Rivera. Gli scarti e gli ingombranti vengono invece smaltiti nel modo corretto, separando dove possibile i vari materiali come legno, carta, cartone, vetro, ferraglia o metalli.

«Sì, il nostro è un lavoro anche a favore dell’ambiente, ma non ci sostituiamo ai centri di smaltimento dei rifiuti» commenta René Leu, responsabile Comunità Emmaüs Ticino: loro sono in cerca di oggetti buoni. Vengono infatti ritirati solo quelli ancora utilizzabili. Tuttavia alcuni potrebbero non trovare acquirenti, per cui pur venendo comunque raccolti seguono la strada dell’eliminazione. «Esatto, e in questi casi chiediamo una partecipazione ai costi, in modo da poter supportare le spese di smaltimento che ricadono su di noi». 

Un servizio per l’ambiente, ma con uno sguardo attento anche all’ambito sociale dal momento che «le persone che vivono nella nostra piccola comunità non beneficiano di uno stipendio, ma hanno un luogo di vita, una giornata strutturata con delle regole e delle mansioni definite, dove tutti contribuiscono alle attività svolte. Dal recupero, alla riparazione e alla vendita, senza dimenticare i compiti di casa, come la preparazione dei pasti o le pulizie domestiche». 

L’edificio alle spalle del negozio di Rivera ospita i «comunitari» dal 2005, traslocati nella nuova sede dopo quasi vent’anni di presenza in Ticino. Ma chi sono? «Persone sole o a volte anche famiglie, con un passato e un presente difficile. Gente che ha perso tutto e vuole ritrovare serenità. Alcuni rimangono qualche mese, altri anche due o tre anni, finché non riescono a reinserirsi nella società e ridare un senso alla propria vita anche al di fuori della comunità», conclude René Leu. 

Il movimento Emmaüs ha infatti le sue radici nel secondo dopoguerra, quando la crisi mise in condizioni di precarietà diverse persone. Fu allora che si organizzarono i primi centri per accogliere le numerose famiglie senza alloggio e senza possibilità di guadagno. Lo slancio decisivo per la nascita del movimento venne dall’abate Pierre che, nel febbraio del 1954, di fronte all’immobilismo dell’autorità, lanciò il suo primo appello. A partire da quella data egli s’impegnò per la lotta contro la miseria, portando la testimonianza della sua esperienza con Emmaüs.

In Svizzera fu la grande ondata di freddo del febbraio 1956 (che causò sofferenza a molte famiglie e persone socialmente isolate) a dare l’impulso decisivo alla nascita della prima comunità d’Emmaüs; correva l’anno 1957 e fu fondata a Ginevra. Per combattere la miseria e per risvegliare la coscienza all’aiuto reciproco se ne aggiunsero altre, compresa quella ticinese negli anni Ottanta.

Nel 1971 fu creata Emmaüs Internazionale che oggi conta 350 associazioni distribuite in 37 Paesi membri, tra Africa, Americhe, Asia ed Europa. Tutte s’adoperano per creare delle attività economiche a favore del reinserimento delle persone escluse, in modo che le stesse possano accedere ai diritti fondamentali di ognuno. Sin dalla sua creazione, Emmaüs vuole dimostrare che le azioni collettive sono alternative credibili alle situazioni d’ingiustizia. Celebre una frase dell’Abbé Pierre del 1949 rivolta a un vecchio carcerato che aveva appena tentato di suicidarsi: «Non posso darti niente. Ma tu che non hai niente, al posto di morire, vieni ad aiutarmi ad aiutare». Parole che divennero tra i fondamenti del movimento.

Henri Grouès, detto l’Abbé Pierre, nacque il 5 agosto 1912 e nel 1947 comprò una casa a Neuilly-Plaisance per farvi un ostello per la gioventù. Decise di battezzare questa casa Emmaüs, in riferimento a quel villaggio della Palestina dove due compagni di Cristo ritrovarono la speranza. Per portare assistenza al primo gruppo di comunitari, avviò l’attività del recupero di merce usata e altri materiali. Oggi, a dieci anni esatti dalla morte dell’Abbé Pierre, il movimento Emmaüs resta fedele al suo fondatore impegnandosi nella lotta alle cause della miseria e nell’azione quotidiana al fianco degli esclusi della società. Benché l’abate fosse un religioso, le comunità non hanno alcun carattere confessionale e tutti vengono accolti senza distinzioni di razza o religione.