«Acqua pura di sorgiva / chi ti tocca ti sente viva». Sono due versi di una poesiola, quasi una filastrocca, di Renzo Pezzani, appresa in tempi remoti, allorché a scuola si imparavano le poesie a memoria. Ho deciso di iniziare dall’acqua di sorgente perché ha un carattere di origine, di inizio assoluto. È pura e viva, l’acqua di fonte, più di ogni altra acqua. Sgorga direttamente dalla roccia, ha a che fare con la materia di cui è formato l’uomo, acqua e roccia. L’acqua di sorgente è naturale, appartiene soltanto a chi la raggiunge tra le rocce. Solo in seguito, e non tutta, verrà addomesticata e indirizzata e sfruttata, incanalata in pozzi e fontane, nei luoghi di residenza umana.
Il fascino dell’acqua pura e fresca di vita è tale da aver dato luogo alla metafora della fonte come sinonimo di origine e autenticità. Andare alla fonte delle cose, rivolgersi alle fonti non vuol dire null’altro che volgersi al momento iniziale di un processo: lo sa persino il fisco, che sa dove andare a incassare le tasse: alla fonte! L’acqua di fonte manifesta anche il primo fluire, la direzione che assumeranno ruscelli e fiumi: la direzione del loro andare sarà il senso, il significato di tutte le cose.
Se le fonti si inaridiscono, se il fiume si secca, che ne sarà del fluire della storia e degli eventi?
Nella fonte, acqua e origine sono pensati insieme: anzi, Il primo vagito della filosofia è l’enunciazione di Talete. Talete fu un filosofo, anzi il primo dei filosofi, il protofilosofo, quello che cadde nel pozzo ai suoi piedi perché camminava con la testa per aria a guardar le stelle. Di lui ci rimane ben poco: frammenti, più che altro, tra i quali la prima asserzione della filosofia, che dice: «L’acqua è il principio di tutte le cose». In principio era l’acqua, dice la voce della filosofia. Acqua e origine sono pensati insieme. L’acqua della filosofia è una fonte disponibile a tutti quelli che hanno sete di sapere, che amano la sapienza. All’inizio della filosofia è l’acqua, da intendersi sia come un materiale empirico, fluido, trasparente e scorrevole, sia come l’espressione simbolica e metaforica di qualcosa che è altrettanto scorrevole, fluido e trasparente: il pensiero.
Se le fonti si inaridiscono, se il fiume si secca, che ne sarà del fluire del pensiero e del linguaggio?
E il mare? Mare e meditazione sono da sempre congiunti in matrimonio, scrive Melville in Moby Dick. L’avventura del pensiero inizia sul mare greco. Il filosofo è colui che si imbarca, parte, lascia la riva conosciuta, salpa dall’opinione, dalla legge e dalla dottrina acquisita. Il mare sul quale naviga il filosofo o meglio il protofilosofo è un mare particolare, è proprio quella fetta di Mediterraneo orientale tra la Magna Grecia e la Ionia che ha una particolare conformazione fatta di coste frastagliate come frattali, insenature, baie, isole, isolette e isolotti – diceva Umberto Saba – belli come smeraldi. La navigazione reale e simbolica che tra essi si svolge è fatta di arrivi e partenze, di separazioni e di congiunzioni, di divisioni e unioni.
In questo andirivieni oscillante, in questo moto danzante, in questo andare e tornare sull’acqua, il pensiero filosofico si struttura nella forma tutta particolare del dialogo che è la possibilità di parlare e conversare, di trasformare il disaccordo in accordo.
Se il mare cresce perché i ghiacciai si sciolgono, se gli isolotti di cui è costellato non sono di smeraldo ma di plastica, che ne sarà del dialogo e del discorso e della ricerca incessante che essi rappresentano?