Avrebbe potuto essere un film horror, invece, giorno dopo giorno, si sta trasformando in una favoletta a lieto fine, ammesso che il connubio calcio-finanza possa proporre una parvenza di letizia. Negli scorsi giorni, dodici fra le società calcistiche più ricche e prestigiose d’Europa, hanno tentato di perpetrare un golpe, creando una Lega chiusa, sorretta da finanziamenti spaventosi, a detta loro, lucrativa all’inverosimile. (v. articolo di Lucio Caracciolo, a pagina 27 di «Azione» del 26 aprile 2021)
Secondo il boss del Real Madrid, Florentino Pérez, sarebbe stata l’unica via per salvare i grandi club dalla bancarotta. I mancati introiti dovuti all’esclusione del pubblico dagli stadi per parecchi mesi, non sono neppure lontanamente stati compensati dalla maggior presenza sugli schermi televisivi. Non ho dubbi sul fatto che la situazione finanziaria del pianeta calcio sia tragica. Le cifre parlano chiaro: i club della Premier League inglese sono indebitati complessivamente per 4,6 miliardi di euro. Il Tottenham è largamente al comando della speciale classifica con oltre un miliardo di deficit, ma anche Barcellona, Manchester United e Atletico Madrid non se la possono ridere.
Sarà forse un caso, che l’allenatore dei Colchoneros, l’argentino Diego Simeone, sia il più pagato d’Europa, con il suo pingue salario di 22 milioni netti di euro. Taccio sui compensi dei fenomeni che scendono in campo. Sarà forse un caso che abbiano aderito al farneticante progetto della Super League, sei club inglesi (Manchester United, City, Liverpool, Chelsea, Arsenal e Tottenham), tre spagnoli (Real e Atletico Madrid, Barcellona) e tre italiani (Juventus, Milan, Inter). Sarà forse un caso che le società calcistiche di questi tre paesi occupino i primi quindici posti nella triste classifica dei debiti, unica eccezione il Lione che è al nono posto. Sarà forse un caso che non ci siano club tedeschi in questa graduatoria. Sarà forse un caso che il Bayern Monaco sia stato il primo sodalizio a opporsi con veemenza alla trama ordita da Florentino Pérez (Real Madrid), Andrea Agnelli (Juventus), e Joan Laporta (Barcellona).
No, sia chiaro, non è un caso.
La Super League è figlia del delirio e della disperazione di chi ha utilizzato il pianeta calcio per farsi gli affari suoi. Di chi ha fatto male i suoi calcoli. Di chi ha gonfiato a dismisura il sistema fino a portarlo sull’orlo del crac. Che senso ha vedere Cristiano Ronaldo e Leo Messi inseriti nella cinquina di sportivi che in carriera hanno già guadagnato oltre un miliardo di dollari? Se è vero che solo a pronunciare il loro nome, entrano valanghe di quattrini nelle casse delle loro società, come si spiega il fatto che queste siano così pesantemente indebitate?
La nuova lega professionistica chiusa, che sarebbe stata finanziata dalla banca americana d’affari J.P.Morgan e da fondi arabi, il sistema calcio lo avrebbe frantumato. A dirla tutta, cifre alla mano, sia la nuova Champions League (prevista per il 2024), sia la Super League (calcio d’inizio ipotizzato per il 2022) avrebbero un fatturato di circa quattro miliardi. La prima verserebbe ai club 3,2 miliardi di premi; la seconda, 3,1. Dove starebbe quindi l’affare?
La Champions continuerà a reggersi sulla meritocrazia, il sale dello sport, sia pure falsata dal suo stesso meccanismo che va a ingrassare chi è già robusto, anche se già a partire dalle qualificazioni qualche spicciolo lo si guadagna. La seconda sarebbe una lega chiusa, con un minor numero di squadre sicure di dividersi la torta. Per fortuna ci sono state delle reazioni durissime da più fronti. Ha reagito l’UEFA, per bocca del suo presidente Aleksander Čeferin, oramai ex amico di Agnelli, della cui figliola è il padrino. Gli ha fatto eco Gianni Infantino, numero 1 della FIFA. Si sono accodate alla protesta anche le Leghe e le Federazioni dei paesi che sarebbero stati coinvolti in questa operazione.
Nei giorni scorsi si parlava di minaccia di estromissione dal calcio ufficiale per tutti i giocatori coinvolti nella SL. Se, ad esempio, il progetto fosse decollato, Ronaldo non avrebbe potuto difendere i colori del Portogallo ai prossimi europei. Addirittura, in Italia, si ventilava l’esclusione immediata di Juventus, Inter e Milan dalla Serie A. Inoltre un pool di legali stava già studiando una causa di risarcimento per la modica cifra di 50-60 miliardi di euro. Si è mosso il mondo della politica, Boris Johnson e Mario Draghi, in testa. Buon ultimo, ma non certo per tempismo e importanza, è sceso in piazza anche il popolo dei tifosi, che ha gridato a pieni polmoni il suo no.
Per malato che sia, il calcio non può passare bruscamente da una clinica riabilitativa a una camera di cure intensive, col rischio di concludere la sua avventura in quella ardente. Il vastissimo fronte di oppositori ha contribuito a far inabissare il bastimento SL. I sei club inglesi hanno fatto un passo indietro. Altri rimangono alla finestra, a scrutare l’orizzonte cupo. JP Morgan si fa da parte asserendo di aver fatto male i suoi calcoli. In Italia gran parte delle società di Serie A reclamano sanzioni contro le tre «dissidenti».
Morale: la Super League viene messa nel congelatore, in attesa di tempi migliori, in attesa di una revisione. C’è da auspicare che nel freezer ci rimanga in eterno poiché il calcio, come del resto tutta la società, ha bisogno di condivisione e di ridistribuzione delle risorse, non certo di stratagemmi che amplifichino la voragine fra ricchi e poveri.
Gran parte degli esperti di economia e di finanza ha decretato il decesso del neoliberismo. Finita l’era della deregulation. Servono regole e limiti etici. Soprattutto urgono rigore finanziario e ridimensionamento dei costi. In apertura si parlava di Happy End. Non so se il marchio Super League sia stato depositato da parte della Swiss Football League. Se così fosse, perché non richiedere a Florentino Pérez e colleghi un cospicuo risarcimento multimilionario?
Ovviamente sto scherzando. Che senso avrebbe un calcio svizzero ricchissimo a fronte del resto dell’Europa che sta precipitando nell’indigenza più nera?