Nonostante le ridotte dimensioni, la cittadina di confine di Chiasso ha sempre giocato un ruolo importante nell’universo sportivo non solo ticinese, ma anche svizzero – soprattutto se si pensa alla celeberrima Società di Ginnastica, che ha da poco festeggiato i 153 anni di attività. Tuttavia, neppure tra le mura della SFG è facile imbattersi in un palmarès come quello di Georg «Georges» Miez, ginnasta elvetico che, tra gli anni ’20 e ’30, collezionò ben otto medaglie olimpiche, di cui quattro ori: un successo quasi irripetibile, per la Svizzera (a tutt’oggi eguagliato soltanto dal compagno di squadra Eugen Mack), e che fa di Miez uno dei più grandi olimpionici di sempre. Tuttavia, il fascino di questa figura oggi quasi dimenticata risiede anche nella sua vicenda personale di uomo e sportivo determinato, dotato non solo di una volontà di ferro, ma anche di un sano spirito ribelle, responsabile della forte impronta individualista mostrata durante tutta la sua carriera.
Nato nel 1904 a Töss (sobborgo della città di Winterthur), Miez intraprese la carriera olimpica nel 1924, anno in cui un secondo posto alle qualificazioni per i campionati nazionali di ginnastica artistica gli permise l’ingresso alle Olimpiadi estive di Parigi; e già nel 1928, i tre ori e l’argento conquistati ai Giochi di Amsterdam (suddivisi tra il concorso generale individuale e quello a squadre) gli valsero il titolo di «più grande ginnasta del mondo». Erano quelli gli anni in cui la Svizzera la faceva da padrone nel campo della ginnastica; e in quel periodo, l’instancabile Miez si cimentò anche in varie altre imprese (oltreché allenatore in Olanda, fu infatti militare di carriera e innovativo designer di indumenti sportivi), dimostrandosi uomo quantomeno poliedrico e anticonformista – nonché poco incline a compromessi, come la sua parabola atletica dimostra. Non ebbe, tuttavia, alcun problema a integrarsi a sud delle Alpi: alla fine degli anni ’20, prese infatti l’inaspettata decisione di trasferirsi a Chiasso, cittadina all’epoca popolata da gradevoli villette liberty e aiuole rigogliose, non ancora decimate dalla speculazione edilizia a venire; e fu proprio in quest’atmosfera vagamente mediterranea e, al contempo, di respiro internazionale, che Miez decise di immergersi, sposando una ragazza di Balerna ed esercitando la professione di istruttore di ginnastica. Ma il 1932, anno di svolta per l’atleta, era ormai dietro l’angolo. Nel pieno della crisi economica causata dalla Grande Depressione del ’29 non fu possibile, per la Confederazione, inviare atleti ai Giochi Olimpici, quell’anno in programma a Los Angeles; e fu questa l’occasione per Miez di mostrare al mondo la propria grinta, recandosi in America a competere a proprie spese (il viaggio gli avrebbe anche permesso di rimpatriare il corpo del fratello, deceduto qualche tempo prima proprio negli Stati Uniti). L’esperienza si sarebbe rivelata controversa: dato che, proprio quell’anno, la specialità di Georges – il corpo libero – veniva infine ammessa come disciplina olimpica, le fu dedicata una competizione a sé stante, alla quale soltanto i ginnasti delle delegazioni nazionali potevano prendere parte. Per esservi ammesso, Miez dovette così ottenere il voto favorevole delle altre nazioni partecipanti; ma una volta in lizza, fu contrariato dal comportamento dei giudici, i quali gli assegnarono soltanto la medaglia d’argento (l’oro andò, per uno scarto minimo, all’ungherese István Pelle). Disilluso, Miez si ritirò dai Giochi e trascorse il resto del soggiorno statunitense viaggiando e tenendo conferenze; tuttavia, l’argento da lui vinto a Los Angeles sarebbe stato per la Svizzera l’unica, preziosa medaglia di quell’Olimpiade.
Fortunatamente, la carriera di Georges Miez era tutt’altro che in declino, dato che, nel 1934, egli trovò il tempo di partecipare al suo primo (e unico) Campionato Mondiale, vincendo ben due ori e un argento: ma, nonostante avesse ormai superato la boa dei trent’anni, il vero momento di gloria del ginnasta elvetico sarebbe giunto solo due anni dopo, in occasione delle celeberrime Olimpiadi di Berlino del ’36 – proprio la famigerata edizione dei Giochi che ogni libro di storia cita come maggior trionfo propagandistico del regime nazista, enfatizzato dalle solenni riprese di Leni Riefenstahl e dall’esasperato patriottismo che contraddistinse l’immensa macchina organizzativa dell’evento. E proprio in un simile frangente, Miez, proveniente da una nazione che da lì a poco si sarebbe distinta per la sua neutralità, si guadagnò l’innegabile onore di essere uno dei pochi atleti (oltre, naturalmente, all’afroamericano Jesse Owens) a rifiutarsi di rivolgere il saluto nazista a Hitler durante le cerimonie dei Giochi – un gesto oggi ricordato da pochi, ma che, in un certo senso, vale perfino di più del tanto agognato oro individuale nel corpo libero infine conquistato da Georges come tassello finale del suo sogno olimpico.
Anche dopo simili successi, e a seguito della devastazione portata dalla Seconda Guerra Mondiale (durante la quale lavorò per la Croce Rossa in Finlandia), il grande ginnasta sarebbe sempre rimasto fedele all’amato Ticino, decidendo di stabilirsi definitivamente a Lugano come allenatore; e seppure vissuti in modo piuttosto ritirato e lontano dai riflettori di gioventù, gli anni maturi di Miez in terra ticinese sarebbero stati brillanti quasi quanto la sua carriera di campione olimpico. Infatti, oltre a dedicarsi anche alla pratica e all’insegnamento del tennis, egli avrebbe pubblicato diversi manuali sportivi, e perfino testi di medicina dello sport.
Fino all’ultimo dotato di incredibile agilità e flessibilità fisica, «Giorgio», come lo chiamavano in terra ticinese, si sarebbe spento a Savosa nel 1999 – e sebbene non molti compatrioti siano oggi consapevoli del segno indelebile da lui lasciato nella storia dello sport, il suo sarà sempre ricordato, anche e ben oltre i confini elvetici, come uno dei grandi trionfi dell’agonismo internazionale.