È arrivato sui nostri schermi Stanlio e Ollio, bene accolto dalla critica. Al di là dei meriti cinematografici sempre discutibili, il film, diretto dall’inglese Jon S.Baird, si presenta con un valore aggiunto: vuol essere un tributo di riconoscenza ai due comici, giustamente più famosi e applauditi del mondo. Sfruttando elementi semplici, a cominciare dalla loro diversità fisica, il magro e il grassone, e caratteriale, il timido e lo sbruffone, quei due hanno espresso una comicità primordiale e irresistibile, condivisa da tutti e ovunque. Un successo che molto deve al boom dell’industria hollywoodiana, negli anni 20, quando dal muto si passò al parlato.
Proprio i dialoghi, affidati nella versione italiana a Sordi (doppiatore di Ollio, ma in teatro anche di Stanlio), contribuirono alla popolarità di film che raccontano vicende, attraverso l’intreccio di gag e battute. Questo meccanismo, da loro perfezionato esemplarmente, diventò un imitatissimo modello. Stan, inglese, amico di Chaplin, era considerato il cervello della coppia, mentre Oliver, americano, originario della Georgia, godeva la fama di perditempo e giocatore d’azzardo: come dire continui litigi nel privato e, invece, un’ininterrotta complicità nel lavoro. Insieme, in 107 film, di cui 24 lungometraggi, conquistarono le simpatie del grande pubblico che, nelle disavventure di quella coppia balorda, vedeva riflessi momenti della realtà quotidiana. Rivisitati, in chiave comica, i guai si ridimensionano, sembrano addrittura ridicoli: è la lezione che Stanlio e Ollio sono riusciti a impartire, e con loro una folta categoria di attori, non sempre apprezzati e capiti.
Nei loro confronti, la critica esita, prende tempo. Spesso lo sdoganamento arriva postumo. In Italia, il caso più clamoroso fu Totò: snobbato in vita e, da scomparso, promosso a maestro del genere. Adesso, fra i candidati alla riabilitazione figurano Troisi e persino la coppia Franchi- Ingrassia. Mentre, negli USA, dopo i fratelli Chico, Harpo, Groucho Marx, è la volta di Jerry Lewis, «Il picchiatello», lo sciocco per antonomasia. A due anni dalla morte, viene riproposto come «maestro dell’assurdo». Proprio l’assurdo è una componente essenziale nella comicità. Stravolgendo situazioni e fatti reali, riesce a sdrammatizzarli.
Da qui la funzione consolatoria, persino terapeutica, che spetta ai professionisti della risata, dell’ironia, della caricatura, dello sberleffo, rivolti in particolare ai detentori del potere. Non a caso, il loro successo cresce nei periodi più caldi della vita politica. La recente stagione elettorale ci ha fatto assistere al prestigio dei comici che, in Italia, facevano il verso a governanti, inesperti o arroganti. Per non parlare, poi, dell’importanza che questo ruolo assume nei regimi dittatoriali, dove barzellette e vignette diventano le uniche voci del dissenso. Ma anche nelle democrazie, la comicità non ha sempre la vita facile. Far ridere, sorridere, divertire sembra, già in partenza, un obiettivo banale, destinato a produrre libri, film, commedie, serie televisive di seconda e terza qualità. Ciò che, magari, avviene.
Qui ci si muove su un terreno scivoloso. La banalità e la volgarità sono dietro l’angolo. Con effetti rovinosi. Niente è più demoralizzante della comicità che, in forme diverse, battuta o commedia teatrale, vignetta, fallisce lo scopo. Non fa ridere, o peggio, diventa ridicola involontariamente.Si tratta di un’arte impegnativa non solo per chi la esercita. Comporta reciprocità: un destinatario disponibile a questo tipo di messaggi. Si deve parlare di una sorta di naturale refrattarietà in persone, più che serie, seriose, che rifiutano a priori sia la comicità esplicita sia il sottinteso ironico. È una dimensione a loro estranea. C’è chi l’attribuisce a diversità genetiche e nazionali, citando il proverbiale «humour» britannico.
Ora, se, di certo, il senso dell’umorismo non è una questione geografica, sta di fatto che le dimensioni ambientali hanno una parte. Dove ci si conosce tutti, attraverso anche legami di dipendenza professionale e sociale, scherzare è a rischio. Ne sa qualcosa il conduttore di «Politicamente scorretto» che, al suo esordio di stagione, ha provocato un putiferio. Dimostrando una suscettibilità che ci priva di una risorsa: sapersi prendere in giro.