Il 14 agosto 1792, ad un mese esatto dalla presa della Bastiglia, mentre a Parigi il caos regnava sovrano nelle giornate convulse che portarono alla definitiva vittoria delle forze rivoluzionarie, dall’altra parte dell’Atlantico maturava un’Altra Rivoluzione, altrettanto importante per la storia globale del mondo e tantopiù paradossalmente glissata dalla storiografia dominante. Siamo a Boïs Cayman, una località remota della colonia francese di Saint-Domingue, nell’isola di Hispaniola, la stessa terra fatale sulla quale Colombo aveva piantato la croce il 5 dicembre di tre secoli prima. Un gruppo di schiavi sotto la guida della Mambo Cécile Fatiman e dello Houngan Boukman Dutty – rispettivamente sacerdotessa e sacerdote del culto vodu, celebravano una liturgia che avrebbe dato il la alla prima rivoluzione antischiavista ed alla costituzione della Repubblica di Haiti nel 1803. In stato di trance, l’Houngan profetizzò che gli schiavi Jean François, Biassou e Jeannot sarebbero divenuti i leader di un movimento di resistenza contro gli oppressori bianchi per la liberazione di tutti gli schiavi di Saint-Domingue. Il sangue di un animale sacrificato venne bevuto da tutti i partecipanti in giuramento per quello che commentatori cristiani ed oppositori della rivoluzione stigmatizzarono da allora in poi come Patto col Diavolo.
Una settimana più tardi 1’800 piantagioni erano state distrutte e mille padroni di schiavi uccisi. Quello di Boukman e Fatiman era almeno il terzo tentativo di organizzare una rivolta nella colonia: Padrejean nel 1676 e François Mackandal nel 1757 già avevano provato – fallendo – di cambiare le atroci condizioni di vita degli schiavi in quella che, paradossalmente, si era guadagnata il nome di Perla della Antille. Il segretario personale di Henri Cristophe, un ex-schiavo di origine maliane che fu dal 1807 il primo presidente della Repubblica di Haiti prima di dichiararsi Re col nome di Enrico I, scriveva nelle sue memorie della schiavitù: «(I padroni bianchi) non hanno forse impiccato i loro schiavi a testa in giù? Non li hanno fatti annegare chiusi? Non li hanno crocifissi o sepolti vivi o schiacciati nei mortai? Non li hanno costretti a mangiare feci? Oppure, dopo averli frustati a sangue, non li hanno lasciati alla mercè di vermi e formiche? Non li hanno legati nelle paludi ad essere divorati dalle zanzare? Non li hanno ancora gettati nei calderoni di melassa bollente? Non hanno messo uomini e donne dentro barili foderati di chiodi per poi buttarli lungo i dirupi? Non hanno forse scatenato contro questi miserabili cani feroci che li hanno sbranati vivi fino a quando, saziatisi i cani con carne umana, venivano finiti dai guardiani con mazze e pugnali?».
Già nel 1685 Luigi XIV aveva provato a mitigare le condizioni di vita nelle ricche piantagioni di canna da zucchero: il Code Noir regolamentava le punizioni corporali e tentava di rendere meno disumane le condizioni della forza-lavoro, ma con ben poco profitto. Nel 1751 era stato un altro Houngan del vodu, il già citato Mackandal, schiavo fuggiasco della Guinea monco di un braccio e determinato a non farsi mai più angariare dai bianchi, ad avviare le prime forme di resistenza organizzata. Aveva pertanto coalizzato le varie comunità di Maroons, schiavi fuggiaschi che vivevano nel folto delle foreste nelle montagne di Saint-Domingue, e condotto raid contro i bianchi nell’isola predicandone il completo sterminio. Si stima che fra il 1751 e il 1758 le bande di Mackandal abbiano ucciso più di seimila coloni bianchi, fino a quando, fallito un tentativo di avvelenare i pozzi di acqua potabile dei coloni bianchi, fu catturato dai francesi e bruciato vivo nella piazza centrale di Cap-Français. La rivolta di Mambo Fatiman e Houngan Boukman fu più fortunata. Per qualche anno le Rivoluzioni nella colonia di Saint-Domingue e nella madrepatria parigina marciarono a braccetto, impegnate in uno dei più strani pas de deux che la storia ricordi. L’uno con l’altro armati Parigi e quella che sarebbe diventata Haiti lottavano per gli stessi valori senza peraltro trovare un’intesa sul come uscire da un impasse che guadagnava agli Altri la libertà ma faceva perdere agli Uni una delle perle della corona, peraltro ormai decollata.
Con l’abolizione della schiavitù da parte del parlamento francese nel 1793, si instaurò un regime di precario equilibrio laddove il ruolo sovversivo era ora giocato dalle classi di proprietari di piantagioni che erano contrarie all’abolizione. Una serie di riforme fondiarie portò poi all’ascesa di una potente classe di proprietari creoli che, con la sete di affermarsi come forza sociale egemonica, aveva forse ancor meno remore riguardo al trattamento della forza-lavoro della controparte bianca d’antan. Una nuova rivolta – quella guidata da Toussaint L’Ouverture, poi portata a compimento da Jean-Jacques Dessalines – portò prima alla ritirata delle truppe francesi nella parte orientale di Hispaniola in quella che sarebbe diventata poi la Repubblica di Santo Domingo e dunque alla fondazione della Repubblica di Haiti nella metà Occidentale. Il resto è Storia. Storia ovvero di uno dei Paesi più poveri del mondo che - peraltro – fu attore protagonista – per quanto a sorpresa - della lotta per quella che oggi chiamiamo la Libertà dei Moderni.