Gentile dottoressa,
ho sessantacinque anni e sono felicemente giunta alla pensione dopo aver lavorato come contabile, sempre nella stessa ditta. Non mi sono mai concessa svaghi dovendo assistere mia mamma, gravemente invalida. Purtroppo dallo scorso luglio è venuta a mancare e mi manca tanto.
Per uscire dalla depressione, avrei un desiderio: fare un pranzo da sola al ristorante. Non è questione di soldi, posso permettermelo. Quello che mi frena è la vergogna, la paura di sentirmi fuori posto, di essere compatita, come se la gente intorno dicesse: guarda quella poverina, è sola come un cane. E temo che i camerieri non mi prendano in considerazione, che mi assegnino un tavolo vicino alla toilette o dietro a una colonna, che ci mettano tre ore a servirmi e mi guardino con un sorrisetto ironico. Non mangio molto, sono astemia, certi piatti moderni non li conosco neanche. Sarà un problema fare l’ordinazione e alla fine sospetto che il conto sarà così basso da farmi fare brutta figura. Eppure vorrei riuscire a vincermi e a superare un blocco che anch’io trovo assurdo. Mi dia, per favore, qualche consiglio. Grazie. / Letizia
Cara Letizia,
innanzitutto complimenti per essere «felicemente» giunta alla pensione: significa che si aspetta di trascorrere anni sereni e in buona salute. Anche il fatto di aver formulato un desiderio e di volerlo realizzare conferma una buona disposizione d’animo e una riacquistata voglia di vivere dopo le rinunce richieste dalla lunga, assidua assistenza a sua mamma.
Credo che la prima risposta che viene in mente a chiunque legga la sua lettera è il consiglio di invitare un’amica, una parente, un’ex collega. Un invito al ristorante fa piacere a tutti e sono certa che nessuna le dirà di no. Ma la questione che lei pone ha una motivazione che, a mio avviso, va oltre la questione del pranzare: riguarda l’insicurezza, l’autostima, il coraggio di tentare e di rischiare. Andando al ristorante da sola lei vuole mettersi alla prova, dimostrare che può e sa bastare a se stessa. Se questo è il problema, mi sembra che l’impresa serva a rompere il ghiaccio, a iniziare un percorso che prevedo in discesa.
Innanzitutto, come accade alle donne che svolgono una professione, può immaginare di pranzare fuori casa per esigenze di lavoro. È una circostanza molto frequente. Scelga poi un locale di buon livello che non sia la pizzeria per ragazzi, ma neppure la trattoria di quartiere e tantomeno il ristorante pluristellato. In ogni caso si sentirebbe fuori posto. Un locale tradizionale, di buon livello, potrebbe essere il più adeguato alle sue esigenze. Quando il cameriere le verrà incontro per accompagnarla al tavolo, lo saluti con un sorriso, è il miglior modo per stabilire un clima amichevole. Se il posto che le propone non le piace, glielo dica subito e se ne faccia assegnare un altro, di suo gradimento. Si prenda il tempo che le serve per leggere il Menù e scelga preferibilmente piatti che già conosce, senza preoccuparsi del costo. È probabile che il cameriere, nei momenti di pausa, venga a scambiare quattro chiacchiere con lei: le farà compagnia. Può accadere anche che qualche singolo o singola, trovandosi nella stessa situazione, senta una certa affinità e cerchi di far conversazione. Quando si assume un atteggiamento cordiale, la solitudine non dura molto. Se ha gradito le portate, può anche esprimere un commento positivo che, accompagnato da una buona mancia, propizierà il suo ritorno.
In ogni caso, consideri questa «prova» la prima mossa sulla scacchiera della vita che lei sta riorganizzando. In questi casi però, lo so per esperienza, non basta fare da sole, è molto importante chiedere l’aiuto degli altri, trovare delle amiche, sentirsi parte di un gruppo, stabilire un calendario d’incontri e un luogo cui fare riferimento. Per fortuna una cara lettrice ci ha inviato, proprio in questi giorni, una proposta molto interessante per lei, per la signora Gabriella (vedi «Azione» del 29.7.2019) e per tante altre lettrici: «Buongiorno Signora Vegetti, sono anch’io un’assidua frequentatrice de “La stanza del dialogo”. È così che sono venuta a conoscenza dei gruppi di auto-aiuto. E proprio in queste settimane stiamo lavorando alla costituzione di un nuovo gruppo: “Vivere da sole nell’anzianità”. Tramite la Conferenza del volontariato sociale e sotto l’egida di AvaEva abbiamo preparato un progetto. Ho imparato che nei gruppi di auto-aiuto non avvengono miracoli, però come sono utili! Le auguro ogni bene.... ah, che belle le piccole cose! Giovanna».