Virus, stress e news

/ 02.11.2020
di Ovidio Biffi

Leggo su un giornale americano che c’è preoccupazione perché il riacutizzarsi della pandemia sta riproponendo tra i fenomeni collaterali anche quello dell’infodemìa, cioè la inarrestabile prevalenza di un flusso informativo direttamente legato a quanto la Covid-19 sta causando in tutto il mondo. È un fenomeno sempre più avvertito anche dalle nostre parti (ne avevo già riferito in maggio) poiché inevitabilmente radio, tv, giornali o «smart qualcosa» non solo snocciolano in continuazione dati e proiezioni, previsioni e profezie sul Coronavirus, ma relegano tutto il resto in secondo piano o all’oblio, favorendo un sempre più diffuso «non se ne può più». Di conseguenza, volendo avvertire i lettori che anch’io mi addentrerò su cose pandemiche, segnalo che cercherò di riportare e commentare argomenti solo indirettamente legati alla pandemia, in maniera da non alimentare quello che un terapeuta americano ha definito «Breaking News Stress Disorder», cioè il disturbo riscontrato in alcuni suoi pazienti colpiti da attacchi di ansia durante la campagna elettorale delle presidenziali Usa (quella del 2016 per la precisione).

Il primo esercizio l’ho compiuto dopo aver visto sul «Corriere della Sera» una vignetta di Emilio Giannelli. L’umorista ha disegnato l’entrata di una sede della Rai e, su un lato, un folto gruppo di persone con mascherina; davanti ha posto una troupe televisiva con telecamera puntata su un intervistato che parla al microfono tenendo la mascherina in mano. In primo piano ci sono due carabinieri che chiedono «Che cos’è questo assembramento?» a un distinto signore che risponde «Sono virologi in attesa di intervista». Umorismo e satira di Giannelli mi hanno subito rammentato la triste parabola di un ricercatore magnificato qualche giorno prima da media e social per le sue trancianti dichiarazioni sulla situazione epidemiologica in Italia. Nemmeno il tempo di capire bene chi fosse e lo stesso personaggio si trova proiettato sul fronte opposto, crocifisso per essere sì un esperto, come l’avevano glorificato giornali e tv, ma solo di zanzare e per questo ribattezzato con il poco decoroso appellativo di «zanzarologo». Lo so: da noi, anche se la gnàgnera non manca, queste cose non capitano. Anzi: più del presenzialismo, a disturbare è la ripetitività obbligata di pochi addetti o politici che ci informano trotterellando da un microfono all’altro a ripetere sempre i medesimi concetti.

Il giorno dopo, un martedì, un altro potenziale argomento mi sorprende mentre saltabeccavo con il telecomando per sfuggire alla noia della tappa del Giro d’Italia. Ho infatti scoperto che la televisione svizzero-tedesca stava proponendo in diretta anche la conferenza stampa del Consiglio federale, al contrario delle consorelle che, fisse, diffondevano comode «palinsièste», pardon: i palinsesti prestabiliti. Peccato, perché il responsabile per le malattie infettive presso l’Ufficio federale della sanità pubblica, Stefan Kuster, in quei momenti era impegnato a spiegare che la virulenza dei contagi in Svizzera era doppia rispetto a quella raggiunta in Italia. Kuster aveva reso intelligibile il suo resoconto tecnico ricorrendo all’indice Rt (si legge «erre con ti») che è un’emanazione del più famoso indice R0 («erre con zero») con cui l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) l’inverno scorso aveva iniziato a misurare l’indice di contagio della Covid-19 nella città di Wuhan (in Cina i valori erano compresi tra 2 e 2,5). Oltre a dire che serve a misurare la trasmissibilità potenziale dei virus – la cancelliera tedesca Angela Merkel lo aveva usato in un messaggio televisivo mirabilmente semplice e chiaro – vale forse la pena aggiungere che l’indice Rt,quando sarà disponibile un vaccino, consentirà anche di stimare la percentuale di popolazione che dovrebbe essere immunizzata attraverso la vaccinazione.

Ultimo input: il giorno prima, un lunedì, avevo seguito su La1 della Rsi alcuni momenti della trasmissione «60 minuti», ricordando un annuncio postato dal conduttore Reto Ceschi su Twitter per presentare i suoi ospiti (parlavano di Covid-19). Il mattino dopo, sempre su Twitter, scopro proprio sotto al lancio di Ceschi, una pubblicità di Swisscom con questo messaggio: «Il meglio dell’intrattenimento è tutto qui. Kitag, Teleclub, bluewin e Swisscom TV da ora insieme sotto il segno di blue». Più che un annuncio pubblicitario mi sembra un proclama della «Zersplitterung» attuata da Swisscom per potenziare la sua offerta televisiva: non solo sport (partite di calcio e hockey svizzeri, quelle della Champions a fr. 9,90 l’una), ma anche allacciamenti a canali esteri come Sky, Dazn e allettanti servizi in streaming da ricevere via internet (ognuno con il suo abbonamento) su televisori, iPad e smartphone. Mi chiedo: solo casuale, la vicinanza di quei due annunci? Sospetto legittimo, spiega chi ne sa più di me: Twitter ha sviluppato una funzionalità che consente ai suoi inserzionisti di posizionarsi prima o dopo determinati tweet e di raggiungere così utenti potenzialmente selezionati. À la guerre comme à la guerre, insomma.