Vini del Mendrisiotto e di Odessa

/ 18.04.2022
di Ovidio Biffi

A Sagno, chi percorre la strada vecchia che scende a Vacallo, in località Fenestro incontra due case: una di inizio 900 rinnovata, l’altra moderna. Nella prima anni fa, e per qualche mese, ha vissuto il pianista Arturo Benedetti Michelangeli, prima che si trasferisse a Pura: vivendo in paese, spesso l’ho immaginato al pianoforte, ispirato e coinvolto da un panorama tra i più spettacolari del Mendrisiotto (da lassù si «godono» albe, tramonti e anche certi temporali sulla pianura padana). Nell’altra dimora, situata un po’ più a monte, ha cresciuto la sua famiglia Meinrad Perler che oggi a Genestrerio, dove ha sede l’azienda, produce vini nobilitati di recente da uno dei più prestigiosi riconoscimenti che l’enologia contempla: punteggi di eccellenza dagli esperti Parker su «The Wine Advocate», rivista specializzata che interagisce (come leggo su un sito di enologia) «direttamente con le possibilità commerciali delle più importanti riviste mondiali di vino (…) con un sistema di valutazione che parte da una base di 50 punti. A seconda della qualità, intensità e diversità aromatica del vino, il punteggio viene aumentato di un massimo di 15 punti. La profondità e l’equilibrio del vino in bocca possono aumentare di altri 20 punti. Infine, qualità complessiva e potenziale futuro determinano il punteggio finale. I vini che segnano tra 90 e 100 punti sono vini eccezionali». Ed è proprio in questo segmento che tre vini di Meinrad Perler sono stati collocati, con una punta di 94 punti per il Merlot – Riserva Tenimento d’Ör.

Sulle prime mi viene spontaneo un «E sü medaj», come si usa dire nel Mendrisiotto al cospetto di un meritato riconoscimento, anche se non posso escludere che (mi affido alla mia beata ignoranza) altri vinattieri o altri merlot del cantone siano già stati inseriti nelle classifiche Parker. Poi, ricordando che Meinrad Perler agli inizi degli anni Ottanta aveva esordito come vinattiere acquisendo ad Arzo il tenimento d’Ör, un vigneto la cui storia risale sino alla fine del Settecento, approdo a uno strano parallelo: collego la quiete bucolica del tenimento e del giardino ampelografico creato alle pendici del San Giorgio con l’insensata e brutale invasione dell’Ucraina, unendo un tenimento del Mendrisiotto con uno della regione di Odessa. Non sto vaneggiando, semplicemente seguo un fil-rouge scoperto lo scorso mese leggendo sul sito web di Infosuisse un articolo che iniziava con queste parole: «Sarebbe un momento di celebrazione, se non ci fosse la guerra. Sono passati 200 anni da quando un gruppo di svizzere e svizzeri fondarono la colonia di Shabo, in Ucraina. Poi, durante la Seconda guerra mondiale, dovettero andarsene. Ma la cultura elvetica del vino vi perdura». La cittadina di Shabo è situata nella regione che collega il Donbass con la Crimea, ossia proprio sulle terre che i russi intendono colpire per tagliare all’Ucraina l’accesso al mare. È qui che 200 anni fa, dopo un periglioso viaggio di oltre 2000 chilometri, un gruppo di una trentina espatriati vodesi decise di stabilirsi presso la laguna dell’estuario del fiume Nistro (Dniestr).

Superate drammatiche vicissitudini iniziali, i coloni svizzeri hanno trasformato la loro colonia nel più importante tenimento vinicolo sul Mar Nero, arrivando a produrre anche il miglior cognac dell’Ucraina (il sito web «http://shabo.ua/en» ricorda la storia dei coloni elvetici e dispensa conferme di questa fiorente azienda, proposta anche come attrazione turistica). Le immagini delle brutali distruzioni che l’esercito di Putin sta causando oggi in quelle terre rendono improponibile un paragone fra il dramma di milioni di profughi ucraini che stanno fuggendo in Occidente e l’avventura di due secoli fa di un manipolo di nostri compatrioti, costretti anche loro a espatriare ma per ben diversi motivi. Una differenza ribadita anche dalle parole trasmesse in patria da Louis Tardan, la guida che nel 1822 comandava quel gruppo di emigranti vodesi verso l’Ucraina: «Se volete vedere il Paradiso in terra, non c’è posto migliore di questo». Le evochiamo nella speranza che dopo due secoli anche la Svizzera e il Ticino possano apparire così a tanti degli ucraini che arrivano da noi.