Villa Rose a Gland

/ 12.11.2018
di Oliver Scharpf

Se ci passate via in bici, non noterete niente di strano, in questo villino rosa a metà strada tra Losanna e Ginevra. Ma neanche a piedi, ci scommetto quello che volete. Eppure dietro l’apparenza di tranquilla villa residenziale, rosa confetto perdipiù, si nasconde un fortino militare armato di tutto punto. Villa Rose a Gland, dove scendo dal treno all’una meno un quarto di un pomeriggio in novembre, è stata costruita nel 1940. Nell’ambito della mobilitazione scaturita dallo scoppio della seconda guerra mondiale (1939-1945). Dovrebbe essere vicina al campo da golf. Al numero otto della route Suisse, la cantonale che corre dritta tra i campi di mais. Dopo una grande quercia, sulla strada, scorgo Villa Rose (403 m): rosa confetto chiaro. Da vicino invece, di preciso sembra molto il rosa della salsa rosa nei tramontati toast, tagliati a triangolo, all’epoca del bar Portici. Le persiane sono verde scuro e le finestre sono a trompe-l’œil. Mica poi tanto ingannatrici per l’occhio, se siete lì sotto, a un passo da questo dissimulato bunker di fanteria con tetto spiovente in tegole. Ma da una certa distanza, con le tendine e tutto, tra i rami di ciliegio, funzionano. I vasi di gerani poi sviano subito dal pericolo e accrescono l’innocuità di questa fittizia casa campagnola qualunque dove adesso, lì davanti, c’è un gruppetto di persone.

Oggi ci sono le porte aperte, arrivo giusto in tempo per l’inizio di una delle visite guidate. La guida si chiama Laurent e ci dice subito che la casa fa parte di una linea fortificata lunga otto chilometri, dai primi contrafforti del Giura al Lemano. Chiamata linea della Promenthouse per via del torrente il cui corso viene ricalcato per la gran parte del tragitto, oggi è meglio nota come Sentiero dei Tobleroni. I tremila blocchi di beton posti in fila indiana come ostacolo ai carri armati, assomigliano infatti al famoso cioccolato inventato nel 1908 a Berna. Per la cui forma si è scomodato il Cervino, la piramide come simbolo massonico, lo spazio vuoto creato da una fila di gambe in fuga prospettica durante un numero di varietà al Folies Bergère di Parigi. Il Laurent ce li indica laggiù oltre la strada, ai margini dei campi, tra gli alberi. Ricordo che Tobleroni giganti in beton li avvistavo spesso dal treno, tra Ginevra e Losanna, e mi sorprendevano ogni volta. Giriamo intorno alla casa, per terra mele gala incomprese, il campo da golf è proprio qui dietro. Una vecchia golfista, vestita tutta di rosso con la visiera bianca, sferra ora un colpo. In garage, tra due bei cedri della California, c’è una mitragliatrice. Elettrizza un po’ il gruppo, siamo in nove. Un tipo vestito da ciclista che non parla francese e ha tutta l’aria di essersi fermato qui per caso, continua a far foto.

I garage sono due, uno chiuso e uno aperto ; sopra altre tre finestre trompe-l’œil con le tendine a righe dipinte. Da questa stessa angolatura – con le porte del garage ovviamente chiuse e il rosa più stinto – qualche passo più indietro, più di una dozzina di anni fa, è stata ritratta da Christian Schwager. Fotografo di Winterthur classe 1966, autore di Falsche Chalets (2004) dove oltre a Villa Rose, sono riuniti altri centosei bunker camuffati alla perfezione in stalle, granai, case di vacanza, casette da weekend, capanne di montagna, chalet. Entriamo in casa, la bucalettere qui è fatta per buttare fuori una granata. La mitragliatrice dentro ha tutto il campo da golf sotto tiro: volendo uno potrebbe fare una strage di golfisti. «Se vuole vendere questa casa un agente immobiliare non dovrebbe mai fare entrare nessuno» ci dice il Laurent aggiungendo che «i metri quadrati sono molto meno di quello che sembra fuori». Due metri e mezzo sono spesse le mura di cemento armato, non rimane molto spazio. Lo spazio è quello claustrofobico classico dei bunker. In realtà le mitragliatrici sono tre. Due dietro le porte dei garage, mentre una tiene di mira la strada. Fortino di fanteria agguerrito, altro che pacifica casetta di campagna. Scendiamo in cantina da una botola, giù per una scaletta verticale. Qui dormivano i militari, c’è ancora il letto a castello in legno. Su un tavolino, musealmente sono disposte carte da gioco, gamelle, scodelle con la croce svizzera, borracce. Attira l’attenzione, tra questo armamentario da mercatino delle pulci, il viso sorridente di una giovane badessa sull’etichetta di un Clos des Abbesses del 1944. Un chasselas grand cru che producono ancora oggi a Echandens, una trentina di chilometri da qui.

Strappa un sorriso un po’ a tutti lo sketch innescato dalla nostra guida con il ciclista qui a sbalzo. In un angolo c’è una specie di monociclo stanziale che serviva a generare energia elettrica e su proposta del Laurent, con la scusa di fargli una bella foto, il ciclista si fa convincere a montare in sella. Solo che poi ci prova un gusto imbecille a continuare a pedalare inutilmente senza intenzione di smettere, divertendo quasi tutti. «Gli albori del fitness» conclude il Laurent alla fine del nostro giro dentro la casamatta rosina, mimetizzata a meraviglia, nei campi pigri della placida Côte in pieno autunno.