A scanso di equivoci, fra la strada più chic di Lugano e la ciabatta più multiuso nel mondo, un nesso c’è: insomma il titolo non è strampalato. Infatti, si tratta di due simboli, quello dell’eleganza codificata e quello della sciatteria liberatoria, che si sono incontrati, o meglio scontrati. Con effetti evidenti, appunto, sulle sorti della Via Nassa, dove, come si sa, negozi, cosiddetti prestigiosi, chiudono, a gran ritmo. Per decifrare il fenomeno, si sono mobilitati specialisti autorevoli, e non. Proprio su «Azione», la scorsa settimana, Angelo Rossi teneva un discorso chiaro parlando di «difficile avvenire» per una Via Nassa, dove «purtroppo ogni commerciante deve risolvere la sfida da sé». Ci si trova, del resto, alle prese con una situazione ormai incancrenita, che si trascina da decenni alimentando schermaglie strapaesane fra politici, associazioni di commercianti, sindacati, enti turistici che si palleggiano le responsabilità.
Ma, in pratica, è colpa di chi e di cosa? Affitti troppo alti, richiesti da proprietari di stabili esosi? Negozi che propongono un lusso persino immorale dai prezzi esorbitanti? Negozi-fantasma, che coprono motivazioni d’ordine fiscale o di riciclaggio? La monotonia di boutiques d’abbigliamento, tutte simili, che non attirano più? Sono interrogativi entrati, in pianta stabile, sia nelle chiacchiere private sia nei dibattiti pubblici, in cui le cause di questo, come di altri disagi, si attribuiscono a eventi e fatalità lontane. Mentre, in questo caso, ogni luganese, di vecchia o fresca data, è direttamente coinvolto. E dovrebbe essere chiamato a rispondere alla domanda imbarazzante: ma tu, in Via Nassa ci vai?
Proprio qui si tocca il nervo scoperto del problema. Che è, innanzi tutto, d’ordine umano. Concerne le abitudini, i comportamenti, i consumi, gli svaghi, persino le scelte ideologiche e morali che compongono un quadro di vita in continuo cambiamento, magari nostro malgrado.
Lo sta dimostrando, inequivocabilmente, quella Via Nassa, che ha perso i connotati di ribalta e di salotto, a disposizione di una cittadinanza, che voleva vedere e farsi vedere, confermando un implicito bisogno di appartenenza identitaria. E, tutto ciò, secondo regole precise di riti, imposti dal calendario e dalle generazioni. I quattro passi dei giovani, prima di cena, la sfilata familiare la domenica mattina, dopo la messa, le chiacchiere dei nottambuli, nel silenzio di un centro città, che non conosceva l’invasione di bancarelle «street food» e consimili.
Ora, sia chiaro, si sta parlando di un’epoca conclusa e irripetibile che, certo, non consente l’illusione di restituire alla Via Nassa un ruolo, spazzato via da una trasformazione, sconvolgente e profonda del tessuto umano cittadino: numero dei residenti quasi triplicato, e, per buona parte composto di stranieri. Di conseguenza, al centro storico, con Piazza Riforma e Municipio, si sono aggiunti i centri periferici, frequentati rispettivamente da pugliesi, kosovari, portoghese, eccetera, ma anche da soci di club di tifosi e di sportivi di varie categorie. E, con ciò, si tocca ancora un altro punto determinante negli usi e costumi cittadini: il tempo libero, a cominciare dalle domeniche, è dedicato a marce, più o meno lunghe, biciclettate, nuotate, tornei di tennis, esercizi in palestra. Con evidenti ripercussioni sull’abbigliamento, dove la tuta, la felpa, la sneaker hanno finito per imporre un stile di successo, ormai accettato in tutte le occasioni: ai concerti di musica classica, nei ristoranti, in chiesa. E via libera persino all’infradito, nato come sandalo giapponese, sdoganato sul piano mondiale come «flip flop». Un consenso generale, dove fa eccezione il Touring Club che sconsiglia l’uso della ciabatta scivolosa agli automobilisti. E, sul piano estetico, una condanna è arrivata da una docente di storia dell’Università dell’Indiana, Linda Przybyszewski: «Una sciatteria che rivela una pericolosa assenza di gusto e di regole». Intanto ne ha subito le conseguenze la Via Nassa, deputata al ruolo di arbitro dell’eleganza. Oggi perso. Forse il collegamento con il LAC glielo restituirà?