Ho sognato l’aldilà. Se vi fa piacere ve lo racconto, un giorno potrebbe tornarvi utile.
Lo so anch’io che a cena bisogna tenersi leggeri, ma a casa mia siamo contrari allo spreco, non buttiamo via il fritto misto preparato per una coppia di amici che all’ultimo momento hanno declinato l’invito. Ieri sera, dopo aver cenato, ho visto un affascinante documentario trasmesso dalla benemerita Rai 5 sull’arte funeraria presente nel cimitero monumentale di Staglieno, a Genova, in val Bisagno. Belle immagini dai colori caldi e interviste catturate al volo. Una gentile signora: «I miei morti non sono qui. Io vado a portare un fiore sulle altre tombe sperando che qualcuno faccia altrettanto al cimitero del mio paese». Si potrebbe installare sui social un «flowers on the grave crossing». Sul rullo di coda del documentario mi sono addormentato. E ho sognato l’aldilà.
Dovete credermi sulla parola, l’aldilà è un treno che viaggia nella notte. Ma un treno molto ma molto più largo dei nostri. La gentile hostess che mi introduceva in questo mondo ha aperto la porta di uno scompartimento. Conteneva una fila di almeno trenta letti uno attaccato all’altro, in una sorta di camerata. I letti erano tutti occupati dai dormienti, disposti con la testa a sinistra e i piedi a destra.
Una luce fioca, diffusa e uniforme, illuminava l’ambiente; aguzzando la vista, ho potuto notare che il penultimo letto in fondo era libero. «È quello il mio posto?», ho domandato alla hostess. «No, è occupato. Per lei non c’è posto, non ha prenotato».
«Bisognava prenotare? Come si fa? Mica sapevo quando sarei partito per questo viaggio…».
«Mi fa specie. Lei non è di Torino? Il vero torinese non si affida al caso, prenota sempre».
Ho guardato l’ora, erano le due. Mi ha consolato il pensiero che dopo poche ore sarebbe sorta l’alba, i miei compagni di viaggio si sarebbero svegliati e avrei potuto con il loro aiuto organizzare la mia sistemazione: se fra trapassati non ci si dà una mano…
Così ho scavalcato 28 letti senza svegliare gli occupanti e sono approdato al ventinovesimo. Faccio appena in tempo a sdraiarmi e a chiudere gli occhi che arriva il titolare del letto; è un signore che sembra più giovane di me con la tuta tesa da una bella pancetta prominente. «Sa», ci tiene a informarmi, «io sono un rotariano».
Non avrei mai creduto che il Rotary e il Lyons arrivassero fin qui. Per mostrami all’altezza della situazione gli rivelo che io sono Sbandieratore onorario del Palio di Asti e Premio Simpatia del comune di Frabosa Soprana. Il suo sguardo assente prova che non ha capito.
Cedo il posto, torno a scavalcare i letti ed esco dallo scompartimento. Guardo l’ora, l’orologio segna l’una. Prima erano le due. «Com’è possibile?», domando alla hostess che ritrovo in corridoio, «il tempo va all’indietro?».
«Qui da noi il tempo va come gli pare, avanti, indietro, sopra, sotto, sta fermo. Cosa ve ne fate del tempo ormai?
«E voi cosa ne fate degli orologi che vi fate consegnare?».
«C’è una fabbrica dismessa, pensiamo di farci un museo del Tempo, con i proventi della nostra lotteria».
«Anche da questa parte musei e lotterie? Se non le dispiace il mio orologio per il momento vorrei tenermelo, me l’hanno dato quando, dopo 25 anni di servizio, sono diventato Anziano Rai. A quelli che ci arrivano adesso danno una stretta di mano. Vigorosa, però»
Dei trapassati non mancava nessuno. Abbiamo rievocato i vecchi tempi, quando la televisione era una cosa seria, non come quella di adesso…. Con la scomparsa del tempo non abbiamo potuto riprendere quelle discussioni sugli orari, sulle trasferte, sugli straordinari. Una domanda mi stava a cuore: «Com’è qui la mensa?».
«Non c’è, non abbiamo più bisogno di mangiare. C’è solo uno spaccio, ma non è granché».
In effetti… c’erano pacchi di biscotti di marche scomparse da decenni, bottiglie di Spuma bianca e Spuma nera, tra i liquori il Millefiori Cucchi con il rametto dentro la bottiglia, il liquore Galliano, il Latte di suocera. Ho finito per ordinare una grappa, un bicchierino di Fiamma Verde.
Lo stavo gustando quando sono venuti a chiamarmi, dovevo posare per il poeta che doveva farmi il ritratto di parole da incidere sulla lapide. Si è arrabbiato perché non stavo fermo, ma non sei un pittore, pensavo tra me… Fra tante proposte ho finito per scegliere «poliedrico cantore della piccola borghesia» e a quel punto è suonata la sveglia.